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Benozzo Gozzoli. Nel cuore e nella memoria degli abitanti di Castelfiorentino

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Il fascino di Castelfiorentino è dato soprattutto dalla sua ubicazione, un piccolo centro edificato su di un colle lungo l'antica via Francigena, in prossimità del fiume Elsa. La sua posizione strategica, i legami con le vicine diocesi di Firenze e Volterra, fecero di questa terra un luogo privilegiato ed in costante crescita economica.

Quando Benozzo Gozzoli arrivò a Castelfiorentino era già un pittore affermato a capo di una fiorente bottega. Era nato a Firenze verso il 1420, in un'epoca fondamentale per lo sviluppo della storia dell'arte italiana. Negli anni tra il 1430 e il 1440, infatti, lavoravano a Firenze i pittori più celebri e innovativi del periodo: Filippo Lippi, Paolo Uccello, Domenico Veneziano, Piero della Francesca e, soprattutto, Beato Angelico col quale Benozzo collaborò, negli anni giovanili, alla decorazione del convento fiorentino di San Marco, alle volte della cappella di San Brizio del Duomo di Orvieto e ai decori della cappella del pontefice Niccolò V in Palazzo Vaticano.

La prima impresa monumentale che Benozzo realizzò in autonomia fu la decorazione ad affresco con le storie di San Francesco eseguita nel 1452 a Montefalco, in Umbria, alla quale seguirono, nel 1459, gli affreschi nella cappella privata di Palazzo Medici a Firenze.
Dopo la larga fama ottenuta con questo lavoro, Benozzo si trasferì a San Gimignano dove realizzò un prestigioso ciclo di affreschi con le Storie di Sant'Agostino per la chiesa della città.

Benché quasi interamente perduta durante i bombardamenti del 1944, l'opera più monumentale dell'artista resta, però, il grande ciclo murale eseguito tra il 1468 e il 1484 per il Camposanto di Pisa, città in cui continuò a lavorare fino al 1494.
Già in precedenza Benozzo aveva ottenuto numerosi riconoscimenti anche al di fuori dei grandi centri urbani, ed in particolare nel territorio della Val d'Elsa. Tra questi incarichi si annovera la decorazione del monumentale tabernacolo collocato lungo la strada che da Castelfiorentino conduce a Castelnuovo, affidatagli da messer Grazia, Priore di Castelnuovo, nel 1484.

Benozzo realizzò quest'opera ad affresco, tecnica ad alta durevolezza consistente in una pittura su muro, così denominata perché eseguita applicando i colori sull'intonaco umido, ossia, ancora fresco.

Come base si prediligeva un muro costituito da un unico tipo di materiale, generalmente pietra o mattone, per evitare che i diversi movimenti di assestamento danneggiassero le pitture.
Si cominciava stendendo sulla parete l'arriccio, uno strato d'intonaco piuttosto ruvido, dello spessore di un centimetro, ottenuto mescolando, con l'acqua, calce spenta e sabbia di fiume a grana grossa.
Dopo aver aspettato che l'arriccio fosse asciugato, il pittore cominciava a disegnare, con una terra rossa, la composizione che intendeva rappresentare. Il disegno così ottenuto prende il nome di sinopia.
Eseguita la sinopia, aveva inizio la pittura vera e propria. Dopo aver deciso quale porzione del disegno eseguire, il pittore copriva questa parte con un nuovo intonaco, che doveva risultare perfettamente liscio: l'intonachino.
L'intonachino, destinato a ricevere il colore, è un velo trasparente, composto da una parte di calce spenta e due parti di sabbia macinata fine. Dovendo restare ben umido durante tutto il lavoro di coloritura, veniva applicato sull'arriccio solo per quella quantità di superficie che l'artista poteva colorare in una giornata di lavoro.
Poi il pittore ripassava a mano libera, con un pennello, il disegno della sinopia che intravedeva attraverso l'intonachino. I colori, macinati e mescolati con l'acqua, venivano incorporati nell'intonaco mentre questo seccava.
L'artista era quindi obbligato a completare in poche ore la parte su cui aveva steso l'intonaco fresco: ognuna di queste parti si chiama giornata.

Il Tabernacolo commissionato da messer Grazia era dedicato alla Vergine, ma per la costante devozione concessa dalla gente del luogo, che qui accompagnava i figli colpiti da pertosse, fu detto in seguito della Madonna della Tosse .
Il tema dominante è la Dormizione della Vergine. Nella parete centrale è affrescata una finta pala d'altare: cinque angeli rimuovono il drappo per mostrare la Vergine in trono col Bambino circondata dai santi Pietro, Caterina d' Alessandria, Margherita e Paolo. Davanti alla scena principale e in posizione asimmetrica, una piccola icona con l'effige del Volto Santo, che per effetto illusionistico sembra casualmente appoggiata sopra la finta predella.
La scena con le Esequie della Vergine occupa la parete destra; partecipa a questo episodio sacro, inginocchiato in primo piano, il committente messer Grazia. Questi è ritratto con grande realismo e raffigurato in una scala metrica uguale a quella delle figure sacre, superando la convenzione medievale secondo cui le effigi di persone reali dovevano assumere una minore importanza rispetto ai personaggi sacri.
Sulla parete sinistra è raffigurata l'Assunzione della Vergine in cielo secondo l'interpretazione datane da Jacopo da Varagine nella sua Legenda Aurea, opera sulla vita dei santi redatta in latino alla fine del Duecento, che illustra la Madonna in atto di gettare la cintola a san Tommaso, l'apostolo che aveva dubitato della Resurrezione di Cristo.
Sulla volta, entro un clipeo, è raffigurato Dio Padre Gesù Benedicente, mentre sulle vele sono rappresentati i 4 apostoli con gli usuali attributi iconografici: Marco con il leone, Luca con il bue, Matteo con l'Angelo, Giovanni con l'aquila.

Nel 1853 il tabernacolo, per ragioni di conservazione, fu inglobato in una cappella in stile neogotico e trasformato in oratorio.
In quell'occasione fu apposta una lapide commemorativa accanto ad un'iscrizione frammentaria più antica indicante il nome di Benozzo e la data di esecuzione del 24 dicembre 1484. Nonostante questo la critica è propensa a riconoscere nell'opera anche la mano del figlio Francesco.
La partecipazione dei figli, Alesso e Francesco, è era invece esplicitamente citata nel contratto stipulato per la realizzazione in una perduta iscrizione del Tabernacolo della Visitazione, opera commissionata a Benozzo, sempre da messer Grazia, per il convento delle Clarisse di Castelfiorentino. L'esecuzione di questi affreschi è databile al 1491, 1490 per lo stile fiorentino, come testimonia una memoria del 1632 conservata presso la curia vescovile di Volterra. Il documento riporta un'iscrizione perduta che correva lungo il perimetro del tabernacolo: "Questo tabernacolo ha fatto fare il Venerabile prete Messer Gratia Francesco Priore di Castelnuovo di Val d'Elsa Il dipintore fu messer Benozzo fiorentino e Francesco e Alfonso suoi figlioli. Nel 1490 adì 12 di febraro"

Le pitture, disposte su due registri sovrapposti intervallati da elementi architettonici dipinti, raffigurano alcuni episodi della Vita della Vergine.
L'ordine di lettura ha inizio dalla parete interna, con la lunetta dove è rappresenta la Cacciata di Gioacchino. Gioacchino mentre si trova ad offrire incenso al Signore viene allontanato dal tempio dal sacerdote Ruben che lo biasima per la sua infertilità, considerata, nella tradizione ebraica, segno della maledizione di Dio.
Segue, sulla destra, la scena del Sogno di Gioacchino: Gioacchino pieno di vergogna si allontana piangendo e si reca in una terra lontana lasciando per cinque mesi la moglie Anna senza notizie.
Durante il suo ritiro un Angelo lo invita a tornare a casa: gli annuncia che per grazia di Dio Anna concepirà una figlia. Gioacchino cade quindi in un sonno profondo in cui l'Angelo gli appare di nuovo. Stupito da questa seconda apparizione, Gioacchino decide di ritornare a casa; nel frattempo Anna, anch'ella avvisata dall'Angelo, si reca incontro al suo sposo.
Sul registro superiore della facciata posteriore è raffigurata Anna che di fronte alla Porta Aurea abbraccia Gioacchino tornato con i pastori.

Nella città fortificata rappresentata in questa scena, quasi certamente intesa come trasposizione della Gerusalemme celeste, è forse possibile ipotizzare una veduta di Castelfiorentino dall'attuale via Gozzoli dove era posto in origine il tabernacolo.
Sarebbero riconoscibili le mura con le antiche porte di accesso alla città, vicine al corso dell'Elsa, e la Chiesa di San Lorenzo caratterizzata dalla costruzione in laterizio.
La cupola raffigurata, che potrebbe invalidare questa ipotesi essendo quella di S. Lorenzo realizzata due secoli più tardi, sarebbe stata dipinta per identificare il Santo Sepolcro in questa duplice lettura Gerusalemme-Castelfiorentino.
Ulteriori differenze architettoniche presenti in vedute posteriori di appena un secolo si giustificherebbero, invece, con il forte cambiamento che le città subirono nel Cinquecento, periodo in cui, ad esempio, gran parte delle case torri furono cimate.

Sul lato destro è la scena con la Natività della Vergine: Anna e Gioacchino hanno potuto concepire Maria.
La lettura riprende quindi in senso antiorario lungo il registro inferiore, dove purtroppo i danni provocati dalle frequenti piene del fiume Elsa -che scorreva poco distante dal tabernacolo- hanno compromesso le pitture. Iniziando dalla parete interna, nell'intradosso a sinistra era raffigurata la Presentazione di Maria al Tempio. Di quest'episodio si intravedono solo alcune architetture che decoravano la parte superiore.
Anche la storia con lo Sposalizio della Vergine, che occupava la porzione destra dell'intradosso, è purtroppo scomparsa.
Nell'estradosso, inserita in un ambiente esterno contraddistinto da architetture quattrocentesche, è l'Annunciazione dell'arcangelo Gabriele alla Vergine e nell'intradosso del registro superiore sono raffigurati gli Evangelisti e i Dottori della Chiesa.
Sulla parete destra si intuisce un'elegante prospettiva architettonica dove si ambientava la perduta scena con la Visitazione di Maria ad Elisabetta, già descritta dalle fonti ottocentesche.
La storia prosegue con il racconto della Natività di Cristo della quale non rimane che qualche frammento della capanna sovrastata dagli angeli e, sul lato sinistro, la pressoché perduta Adorazione dei Magi.
Il programma iconografico si concludeva con una finta pala d'altare, sull'esempio di quella ancora conservata nell'altro Tabernacolo, dove era celebrata la Madonna in trono col Bambino tra i santi Paolo, Lorenzo, Stefano e Pietro in piedi, San Francesco e Santa Chiara genuflessi, come testimoniano alcune fonti antiche.

Nel 1872, il tabernacolo della Visitazione di cui "il tempo e le ingiurie degli uomini distrussero la parte migliore", come dichiara la lapide in marmo apposta in quell'occasione, fu protetto con la costruzione di una nuova cappella che lo incorporava completamente.
Tuttavia questa soluzione non risolse i problemi legati alle frequenti alluvioni; l'alto tasso di umidità, infatti, aveva provocato la solfatazione dell'intonaco, processo per cui la pittura può spolverare, cioè perdere pigmento, e l'intonaco può formare bolle che poi esplodono.
Tra il 1965 e il 1970 fu quindi ritenuto opportuno strappare gli affreschi dalle pareti dei tabernacoli.

Il procedimento dello strappo consiste nell'applicare, a scopo di protezione, sulla superficie dipinta un intelaggio composto da tele di cotone e colla animale, sul quale poi si incolla una tela più robusta di dimensioni maggiori rispetto al dipinto. Sulla parete si esegue un'incisione profonda lungo i margini della pittura.
Si batte ripetutamente il dipinto per distaccarlo dal muro adoperando un mazzuolo in gomma, procedendo poi, con l'ausilio di una sorta di punteruolo, a strappare l'intonachino partendo dal basso.
Il retro dell'affresco viene quindi assottigliato per rimuovere le eccedenze di calce e ricostituito con un intelaggio definitivo fatto di tela incollata e malta.
Si fa aderire l'affresco così preparato ad un supporto rigido in materiale sintetico.
Con l'ausilio di un vaporizzatore ad acqua calda e alcool etilico decolorato, si rimuovono infine le tele utilizzate per proteggere la pittura durante la fase dello strappo.
Durante la rimozione degli affreschi, sul tabernacolo della Visitazione furono rinvenute le sinopie, che furono staccate e rimontate su supporti sintetici. Gli affreschi furono, invece, puliti con carbonato d'ammonio e acqua distillata, fissando le parti di colore sollevato e intervenendo nelle zone lacunose con un restauro pittorico di intonazione neutra.

Le pitture rimasero fino al 1987 presso i depositi della Soprintendenza fiorentina e furono in seguito collocate nella Biblioteca di Castelfiorentino.
La nuova esposizione se da un lato rendeva alla collettività l'opportunità di ammirare i capolavori di Benozzo dall'altro compromise una corretta lettura dell'opera: gli spazi a disposizione non permisero, infatti, di rimontare i tabernacoli in altezza e quello della Visitazione fu esposto smontato in tre parti.
Oggi, grazie al proficuo impegno del Comune di Castelfiorentino, i tabernacoli hanno potuto trovare una nuova e più corretta collocazione, in un recente ambiente appositamente progettato. Per i motivi conservativi che già a suo tempo ne provocarono il distacco, gli affreschi non sono potuti tornare nel luogo per il quale erano stati concepiti da Benozzo, ma ci auguriamo che anche con l'ausilio di questo documentario i visitatori siano in grado di comprenderne, oltre all'alto valore artistico, anche e soprattutto il valore storico, liturgico e culturale, preziosa testimonianza del nostro passato.