Il microscopio di Galileo - Il microscopio semplice

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Sebbene il microscopio nasca composto (fig.1) di due o più lenti (fig.2), il protagonista delle prime ricerche su insetti, vermi e animaletti (fig.3) non visibili a occhio nudo fu il microscopio semplice (fig.4) che, impostosi nella seconda metà del Seicento (fig.5), garantiva un maggiore ingrandimento e un più elevato grado di risoluzione.

L’olandese Antoni van Leeuwenhoek (1632-1723) (fig.6) costruì circa 550 microscopi costituiti di una sola, piccolissima lente biconvessa. Ancora oggi sono conservati nove dei suoi straordinari esemplari (fig.7), tra i quali il migliore ha un potere di ingrandimento di circa 270 diametri. Alcuni particolari dei suoi disegni fanno però supporre che egli ne possedesse di più potenti, con i quali poté osservare, a partire dal 1677, globuli rossi, spermatozoi (fig.8), rotiferi, batteri.

Anche il suo connazionale Jan van Musschenbroek (1687-1748) si servì, per la ricerca entomologica, di un microscopio semplice (fig.9), montato su un braccio snodato che si rivelò efficacissimo. Utilizzato da Abraham Trembley (1710-1784), esso si impose come microscopio “acquatico”(fig.10), per l’osservazione di flora e fauna dall’esterno (fig.11) di un contenitore di vetro. Il particolare comportamento del “polipo d’acqua dolce” o Hydra (fig.12) fu osservato con questo tipo di microscopio da Trembley nel 1740, così come la sua sorprendente capacità di rigenerazione delle parti amputate.

L’evoluzione del microscopio semplice passò quindi attraverso la “tavoletta anatomica” di Pierre Lyonnet (1708-1789) (fig.13), di cui si servì fra gli altri Lazzaro Spallanzani (1729-1799) (fig.14) per minute dissezioni. Il naturalista italiano utilizzò, per la ricerca entomologica, probabilmente il microscopio concepito da James Wilson (1655-1730) (fig.15) e costruito da John Cuff (c.1708-1772) intorno al 1742, noto anche come “portatile” o “da tasca”. Esso, che è solo in apparenza un microscopio composto, permise fra l’altro a Spallanzani, nel 1773, di scoprire i tardigradi (fig.16) e la loro capacità di morire e “risorgere” più volte: ovvero quel fenomeno noto oggi come anabiosi, che costituì uno dei più importanti rompicapo della biologia teorica settecentesca.

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