I primi motori elettrici erano piccoli strumenti dimostrativi da laboratorio più che macchine capaci di fornire energia sfruttabile per applicazioni pratiche.
Nella prima metà dell'Ottocento vennero proposti molti motori funzionanti grazie ai fenomeni di attrazione e repulsione fra magneti ed elettromagneti. Spesso ispirati al design delle macchine a vapore, essi trasformavano il moto alternativo in moto rotativo tramite sistemi di bilancieri e bracci articolati. A questa tipologia appartiene il motore ideato dal fisico italiano Luigi Magrini verso il 1840. Esso è composto da due elettromagneti sopra i quali possono muoversi delle barre di ferro trattenute da aste mobili parallele. Tramite bracci mobili ed eccentrici le barre sono a loro volta collegate ad un volano di ottone.
Quando la corrente di una pila passa in uno degli elettromagneti, la barra vicino ad esso ne è attirata e trasmette il suo movimento al volano. Nel momento in cui la distanza fra la barra e l'elettromagnete è minima, quest'ultimo viene disattivato automaticamente. Ciò avviene tramite un commutatore che lancia simultaneamente la corrente nell'altro elettromagnete, il quale attira la barra che lo sovrasta. Tale ciclo continua, trasformando così il movimento alternativo orizzontale delle barre mobili in rotazione continua del volano.
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