A partire dalla metà del XVIII secolo, le macchine elettrostatiche a disco furono fra le più utilizzate, rimanendo in uso, almeno per scopi dimostrativi e didattici, sino all'inizio del XX secolo.
Pur con variazioni di forma e di particolari costruttivi, tali macchine presentano alcuni elementi comuni: un disco, generalmente di vetro, imperniato su un asse munito di manovella; una o più coppie di cuscinetti di cuoio imbottiti di crine o di feltro per strofinare il disco; e una coppia di pettini, che permetteva di trasferire le cariche elettriche dal disco al conduttore principale, formato da uno o più cilindri cavi di ottone, sul quale si accumulavano le cariche elettriche.
Ponendo il disco in rotazione, esso viene strofinato dai cuscinetti, caricando così il vetro di elettricità positiva. Per induzione elettrostatica, sulle punte dei pettini si accumulano le cariche negative, che tendono a neutralizzare quelle positive del vetro. In tal modo, i conduttori metallici ai quali sono collegati i pettini si caricano positivamente. Avvicinando ad essi un elettrodo collegato a terra, è possibile far scoccare una forte scintilla, che scarica istantaneamente la macchina.
I generatori elettrostatici a globo o a cilindro, pur avendo una diversa configurazione, funzionano esattamente nello stesso modo.
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