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Strade ferrate nella Toscana dei Lorena

Strade ferrate nella Toscana dei Lorena

Sin dagli anni Venti dell’Ottocento l’opinione pubblica toscana si mostrò interessata alla grande innovazione nel settore dei trasporti che in quel periodo si andava sperimentando in Inghilterra. La necessità di trovare nuove soluzioni a problemi mai affrontati prima costrinse gli ingegneri a un costante aggiornamento per mantenersi al livello dei tecnici anglosassoni che, in un primo momento, curarono interamente la messa in opera e il funzionamento delle strade ferrate italiane pre-unitarie.

George Stephenson
La rivoluzione ferroviaria

Con un anno di anticipo rispetto all’apertura della prima linea ferroviaria a vapore, la Stockton-Darlington, inaugurata nel 1825, il giornale toscano l'Antologia già si interrogava sull’utilità e i vantaggi di un simile mezzo di trasporto. I timori per i costi elevati e i dubbi sull’effettivo riscontro economico frenarono a lungo la realizzazione in Italia di una linea ferroviaria. La prima, la celebre Napoli-Portici, aperta nel 1839, rimase un caso isolato nel Regno delle Due Sicilie e bisognerà attendere il decennio successivo per trovare, nel Granducato di Toscana e nel Lombardo-Veneto austriaco, i primi esempi di strade ferrate concepite per favorire il trasporto di uomini e merci. In realtà i benefici economici si rivelarono quasi sempre al di sotto delle aspettative, ma le ricadute per lo sviluppo scientifico dell’Italia dell’epoca furono enormi. Dall’esempio e dall’opera di alcuni dei pionieri dell’ingegneria ferroviaria inglese si formò una generazione di tecnici locali, e toscani in particolare, che non aveva nulla da invidiare alle maestranze straniere. Per il materiale rotabile e per le locomotive, si continuò ad avvalersi, però, quasi esclusivamente di creazioni inglesi e americane: in particolare furono le locomotive di Stephenson e Norris ad avere il sopravvento nelle strade ferrate toscane.

Locomotiva Rocket, Science Museum, London
Le innovazioni tecnologiche

Sebbene il primo prototipo di locomotiva a vapore fosse stato sperimentato dall'inglese Richard Trevithick già nel 1804, furono i connazionali George e Robert Stephenson ad ideare, negli anni Venti del XIX secolo, le soluzioni tecniche che avrebbero caratterizzato questi mezzi di locomozione per oltre un secolo. L'esigenza di ottenere una sempre maggiore potenza portò, da una parte, alla creazione di caldaie più capienti, dall'altra ad un diverso posizionamento dei cilindri, che da verticali passarono ad orizzontali, diminuendo le vibrazioni causate dalla velocità e rendendo, quindi, il mezzo più stabile. Se nella Rocket (1829), a ragione considerata la prima locomotiva "moderna", fu adottata per la prima volta una caldaia multitubolare, fu con la Planet, nel 1832, che venne applicato il posizionamento orizzontale dei cilindri, mentre nei successivi modelli gli Stephenson migliorarono ulteriormente le prestazioni aumentando le dimensioni delle caldaie (Long Boiler) e delle ruote. Si deve, invece, agli americani la creazione di un nuovo tipo di rodiggio (l'insieme degli organi - ruote, cerchioni, assi, ecc. - compresi tra il binario e la sospensione elastica) con l'introduzione di un carrello portante anteriore a due assi al posto dell'asse singolo fino ad allora adottato.

 

La nuove velocità raggiunte dai treni, estremamente elevate per l'epoca pur aggirandosi, per motivi di sicurezza, attorno alle 25 miglia orarie, ossia molto al di sotto della teorica potenzialità delle locomotive, presuppose la risoluzione di gravi problemi legati al raggio delle curve e al deflusso delle acque dalla massicciata delle rotaie. Ostacoli naturali come colli, fiumi o profonde vallate costituirono altrettante sfide per gli ingegneri impegnati nella realizzazione di linee come la Subappennina o la Porrettana, che furono superate soltanto grazie a strumenti e mezzi sempre più sofisticati. Nel caso toscano, la creazione, nell’arco di meno di vent’anni, di un sistema ferroviario integrato e capillare comportò anche questioni di carattere urbanistico. Nelle città nacque un nuovo tipo di edificio pubblico destinato a divenire un potente luogo di aggregazione, la stazione, attorno a cui sorsero nuovi quartieri e si concentrarono le attività produttive. Queste strutture offrirono anche agli architetti la possibilità di sperimentare all’estremo l’eclettismo stilistico e tecnico del nuovo linguaggio espressivo, in voga nell'Ottocento, costituito dall'uso combinato di ferro e vetro.

Ferrovie dello Stato, foto storica
Il viaggio in treno

Sebbene le ferrovie a vapore costituissero la punta avanzata della tecnologia ottocentesca ancora molto rimaneva da fare per quello che riguardava il comfort dei passeggeri. Le testimonianze dell’epoca, infatti, ci ricordano come il viaggio in treno non dovesse essere privo di rischi neanche per i viaggiatori di prima classe: non sono rari gli accenni, in letteratura, a scintille provocate dalle locomotive che incendiavano abiti e campi, o alle condizioni estreme dovute a carrozze stipate all'inverosimile, per non parlare della scomodità delle vetture di terza classe che originariamente erano scoperte. Non bisogna, inoltre, dimenticare che i treni raramente erano in orario e che in mancanza di una politica unitaria non si creò, tra le varie società ferroviarie, un sistema integrato di orari e coincidenze. Grande attenzione, invece, fu posta al problema della sorveglianza a causa dei numerosi attentati subiti nei primi tempi da parte dei proprietari che si erano visti espropriare i terreni e dei piccoli trasportatori che con l'avvento delle ferrovie avevano perso il loro lavoro.

Ex Stazione Leopolda di Firenze, disegno raffigurante la veduta esterna del palazzo dell'Esposizione italiana del 1861 in Firenze, secondo il progetto dell'architetto Giuseppe Martelli, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, Firenze.
La Leopolda

L'idea di una linea ferroviaria che congiungesse la capitale del Granducato con il suo porto più importante, Livorno, era già stata presentata nel 1826 dal marchese Carlo Ginori Lisci all'indomani dell'apertura, in Inghilterra, della prima rete ferroviaria pubblica, la Stockton-Darlington. Il progetto, prematuro per la Toscana dell'epoca, fu ripreso in considerazione solo un decennio più tardi da Luigi Serristori e Piero Dini Castelli: nonostante un'accurata ricerca di mercato atta a saggiare la situazione in ambiente commerciale e gli sforzi sostenuti per trovare imprenditori interessati a finanziare l'impresa, i due promotori si videro scavalcare dal potente banchiere fiorentino Emanuele Fenzi e dal commerciante livornese Pietro Senn che, grazie ad una maggior sicurezza finanziaria e all’appoggio di influenti personaggi, riuscirono ad ottenere dal Granduca la concessione per la nuova ferrovia. A causa dell'inesperienza dei tecnici italiani, la direzione dei lavori fu affidata all'inglese Robert Stephenson, l'ingegnere ferroviario più rinomato del tempo, anche se la maggior parte del lavoro fu in seguito da lui demandata ai suoi assistenti, William Hoppner e Robert Townshend.

Tra i vari tracciati proposti fu scelto quello passante per Empoli, Pontedera e Pisa: nel 1844 fu inaugurato il tratto Livorno-Pisa, mentre nel 1845 William Bray, succeduto a Hoppner, riusciva a portare la linea fino a Pontedera inaugurando, al contempo, il servizio merci. Un anno dopo la ferrovia giungeva ad Empoli e nel 1848 la linea poteva dirsi conclusa. L'impresa fu un tale successo che il Fenzi decise di immortalarla nel proprio stemma di famiglia dove una locomotiva a vapore è raffigurata fra il Duomo di Firenze e il Fanale dei Pisani di Livorno.

Facciata della stazione ferroviaria di Lucca.
La Subappennina

L'esito positivo del primo esperimento ferroviario toscano indusse numerose compagnie private a sottoporre al Granduca Leopoldo II nuovi progetti per una ulteriore linea che congiungesse la capitale a Pistoia e che, in onore della consorte del regnante, si sarebbe chiamata Maria Antonia. L'incarico, concesso alla Società Italiana ed Austriaca, fu affidato all'ingegnere Isidore Kingdom Brunel che, a sua volta, delegò il lavoro a Benjamin Herschel Babbage. La costruzione del primo tratto, tra Firenze e Prato, richiese circa tre anni (dalla seconda metà del 1845 al febbraio del 1848) e fu osteggiata dalla popolazione locale, stanca dei continui disagi a cui era sottoposta. Furono proprio i problemi di carattere sociale e tecnico che si prospettavano anche per il secondo tratto a convincere i concessionari a cedere l'incarico alla Società Anglo-Italiana. La direzione dei lavori fu, così, affidata a Thomas Woodhouse che riuscì a portare a compimento l'impresa nel luglio del 1851.

 

Contemporaneamente alla realizzazione del primo tratto della Maria Antonia, l'ingegnere austriaco Enrico Pohlmeyer aveva realizzato il breve tratto Pisa-Lucca, inaugurandolo nel 1846. La Lucchese, passando attraverso il Ducato di Lucca, che sarebbe stato annesso al Granducato di Toscana solo nel 1847, costituì a tutti gli effetti la prima linea ferroviaria italiana a congiungere due stati sovrani.

 

Problemi maggiori si ebbero, invece, per il tratto che avrebbe dovuto congiungere Lucca a Pistoia, completando la direttrice subappennina da Firenze a Pisa. I lavori, affidati ancora una volta al Pohlmeyer, subirono, infatti, una battuta di arresto di fronte alle difficoltà riscontrate nell'attraversamento delle barriere naturali costituite dal fiume Pescia e, soprattutto, dal rilievo collinare di Serravalle. Decisivi, in tal senso, furono l'intervento di Tommaso Cini, succeduto all'ingegnere austriaco nella direzione dei lavori, e l'interessamento del capitalista Michelangelo Bastogi che impresse nuova linfa vitale all'impresa. Il ponte sul Pescia fu ridisegnato più volte dal Cini per far fronte alle proteste della popolazione e dei cartai della zona preoccupati per il restringimento dell'alveo del fiume. Analogamente la galleria di Serravalle fu riprogettata allungandone il percorso per diminuirne la pendenza. Se il tratto Lucca-Pescia nel 1847 poteva dirsi concluso, la ferrovia arrivò a Montecatini solo dopo altri sei anni, mentre il completamento dell'intera linea, con l'apertura della galleria di Serravalle, fu raggiunto nel 1859.

Ex Stazione Ferroviaria Centrale di Siena.
La Centrale Toscana

Risale al 1842 l'idea di una strada ferrata che partendo dal tracciato tra Firenze e Livorno arrivasse a Siena. Promotori della nuova linea furono Giuseppe Pianigiani e Luigi Serristori (già coinvolti nel progetto della Leopolda rispettivamente in qualità di ingegnere e consulente organizzativo), ma fu l'imprenditore Policarpo Bandini a dirigerne l'impresa. Anche in questo caso i numerosi problemi tecnici insorti, relativi soprattutto all'attraversamento del Monte Arioso, oltre alle feroci critiche mosse al Pianigiani per la tortuosità del tracciato da lui originariamente proposto, rallentarono i lavori. La nuova linea, iniziata nel 1846, divenne completamente operativa nel 1850, grazie all'utilizzo di rotaie e locomotive inglesi.

Interno di un capannone adibito alla lavorazione delle rotaie
L'Aretina (la Ferdinanda)

Negli stessi anni in cui veniva progettata la strada ferrata per Siena furono avanzate diverse proposte per una ferrovia che portasse fino ad Arezzo. Dell'andamento della nuova linea venne inizialmente incaricato l'ingegnere toscano Francesco Guasti, sostituito nel 1846 da Francesco Del Greco e Camillo Giordanengo. L'intera vicenda, ostacolata dall'atteggiamento indeciso di Leopoldo, fu pesantemente condizionata dalla misteriosa sparizione del progetto che provocò il rinvio della questione ai primi anni Cinquanta. Fu in questo periodo che, in prospettiva della realizzazione di una ferrovia che dal nord scendesse fino a Roma, la concorrenza con la linea senese fece riaccendere il dibattito sull'Aretina. Grazie ad una forte campagna di sensibilizzazione pubblica condotta dal Municipio di Arezzo, Del Greco poté iniziare i lavori di sterro fra Rovezzano e Pontassieve già nel 1852, ma la situazione di estrema incertezza relativa al reperimento di capitali portò ad un ulteriore periodo di stallo. Il progetto, che originariamente prevedeva alcuni tratti a doppio binario ed altri a binario unico, fu infine affidato al francese Joseph Ducros che assegnò il lavoro a 4 gruppi diversi. La soluzione si rivelò tutt'altro che vincente e nel 1859 il Ministero dei Lavori Pubblici vietò, per motivi di sicurezza, l'apertura dell'unico tratto teoricamente pronto, quello fino a Pontassieve. La vicenda si sarebbe conclusa solo nel 1866 con l'arrivo della ferrovia a Ponte S. Giovanni e il conseguente congiungimento all'Ancona-Roma.

Ferrovia Porrettana
La Porrettana

Fu Tommaso Cini, già protagonista nella vicenda della Subappennina, a proporre nel 1845 il progetto per una ferrovia che, collegando Pistoia a Porretta, avrebbe messo in comunicazione la Toscana con gli Stati del nord. Il progetto, a lungo avversato dai fautori di una linea che passasse per Prato e la Valle del Bisenzio, anziché per la Valle del Reno, fu approvato solo dopo la morte del suo promotore, nel 1852. Nel frattempo (1851) il Granducato di Toscana aveva sottoscritto, insieme allo Stato Pontificio, ai Ducati di Parma e Modena e al Governo Austriaco, una convenzione che sanciva la creazione di una strada ferrata transappenninica che avrebbe collegato Pistoia a Piacenza. I lavori del tratto toscano iniziarono attorno al 1856. Nonostante le numerose difficoltà offerte dal territorio, che richiesero la deviazione del fiume Reno e la creazione di ben 47 gallerie lungo un percorso di 130 chilometri, la sapiente direzione del tecnico francese Jean-Luois Protche permise di inaugurare la linea ferroviaria nel 1863.

Ponti di Vara, Carrara.
Ferrovie complementari e industriali

La corsa al progresso che caratterizzò gli anni Quaranta e Cinquanta dell'Ottocento portò al proliferare di progetti che, per motivi tecnici e talvolta politici, si rivelarono ben presto inattuabili. Tra questi, uno dei più dibattuti fu sicuramente quello per una linea che congiungesse il Tirreno all'Adriatico, la cui realizzazione, però, eccedeva le capacità tecniche dell'epoca. Ci furono anche manovre meramente speculative, il cui caso più eclatante è sicuramente costituito dalla vicenda della Maremmana, che ottenne i capitali ma non fu mai costruita.

Menzione a parte meritano, invece, alcune ferrovie a carattere industriale, come la Carbonifera di Montebamboli, in Maremma, e per il periodo post-unitario la Ferrovia Marmifera sulle Apuane. In particolare, la prima, nata tra la metà e la fine degli anni Quaranta per favorire il trasporto di lignite dalla miniera di Montebamboli al mare, era una ferrovia che funzionava in parte a trazione animale (in salita) in parte sfruttando la forza di gravità (in discesa).

TAV
Uno sguardo al sistema ferroviario nel periodo post-unitario

Alla costituzione del Regno d'Italia, la Toscana vantava una rete ferroviaria di oltre 250 km, inferiore solamente alle reti del Piemonte e del Lombardo-Veneto. Lo sviluppo delle ferrovie non si esaurì, ovviamente, con i Lorena, ma ricevette nuovo impulso dalla necessità di creare un sistema più organico a livello italiano. Il processo di statalizzazione delle ferrovie fu, comunque, lento e problematico, e la gestione diretta delle linee precedentemente concesse alle Società private fu assunta dal nuovo Ente Ferrovie dello Stato solo nel 1905. Nuove costruzioni e perfezionamenti in campo tecnologico furono adottati durante il periodo fascista, ma il secondo conflitto mondiale danneggiò gran parte delle strutture preesistenti e dei più recenti mezzi elettrici. Sarà il lungo e difficile processo di ricostruzione del dopoguerra che porterà la rete ferroviaria toscana ad assumere un ruolo fondamentale nello sviluppo dell'intero sistema nazionale dei trasporti grazie soprattutto alla creazione, tra il 1978 e il 1991, della "Direttissima" Roma-Firenze, la prima vera linea ad alta velocità della rete italiana. Sono, invece, ancora in corso di realizzazione i tratti toscani della nuova linea superveloce (TAV) che dovrebbe attraversare entro pochi anni l'intera penisola.

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Scheda a cura Elena Fani

Data aggiornamento 07/gen/2008