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Fig.5
Fig.6  
Fig.7

Il successo dei velocipedi a pedali stimolò i costruttori a cercare nuove soluzioni e a produrre nuovi modelli. Furono gli inglesi gli inventori più attivi: James Starley e William Hillman, di Coventry, brevettarono nel 1869 il biciclo "Ariel", caratterizzato da una ruota anteriore molto più grande di quella posteriore. Starley e Hillman concepirono una singolare iniziativa per promuovere il proprio veicolo: in sella all'Ariel percorsero i 153 km tra Coventry e Londra in un giorno solo, attirando l'attenzione della stampa del tempo. Per diversi decenni l'Ariel fu il modello più comune di biciclo, copiato e modificato da moltissimi costruttori (Fig. 5, 6, 7). Essendo interamente di metallo, il biciclo era più leggero dei precedenti velocipedi. L'impressionante diametro della ruota anteriore (che poteva raggiungere i tre metri) serviva per aumentare la distanza percorsa con un'unica pedalata, ma una volta in sella mantenere l'equilibrio e non travolgere i pedoni richiedeva un certo sforzo..

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Fig.5 Biciclo da corsa. 1870-1880; Rudge. ferro. Fabbricato dalla ditta inglese Rudge, questo biciclo presenta interessanti accessori: il fanale marca "The Gem", il pedale marca "The Raleigh". Il nome della ditta costruttrice è inciso sul manubrio.

  curiosità  

 


Head over heels, cioè "gambe all'aria", era chiamata la tipica caduta dal biciclo: una brusca frenata bloccava l'enorme ruota anteriore, e il ciclista, ancorato ai pedali, si trovava ad eseguire una spettacolare capriola verso il basso.

A partire dal 1870 in alcune città europee si stabilì l'obbligatorietà di una patente per condurre i bicicli. Vennero quindi aperte apposite scuole-guida che preparavano i futuri ciclisti ai relativi esami.

Nel 1877 il parigino Victor Renard costruì un biciclo, soprannominato grand-bi, la cui ruota anteriore aveva un diametro di 3 metri. Pesava 65 kg e per montare in sella bisognava usare una scaletta di 6 gradini. Con una pedalata si coprivano 9 metri e mezzo.

"Faccia da ciclista" (bicyclist's face) era un'espressione in uso a fine Ottocento. Indicava l'aria ansiosa di chi stava per montare su un biciclo, spesso alto più di un metro e mezzo, da cui poteva cadere con effetti decisamente poco piacevoli.

 

 


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