Un decennio straordinario
Il dato che più chiaramente di ogni altro palesa il nesso non accidentale e momentaneo che si strinse tra l'ideologia e il programma sperimentale dell'Accademia di Leopoldo de' Medici e le discipline scientifiche oggi dette 'morbide', è rappresentato dalla gran messe di trattati medici e naturalistici dati alla luce nel corso degli anni sessanta del XVII secolo da autori che avevano ruotato intorno al circolo leopoldino. Tra il 1661 e il 1668, cioè nell'arco di anni che si apre con il trattato De pulmonibus observationes anatomicae di Marcello Malpighi (1628-1694) e si chiude con le Esperienze intorno alla generazione degli insetti di Francesco Redi, si stamparono, fra Firenze e Bologna, alcuni fra i principali trattati di anatomia comparata, sottile e sperimentale e di fisiologia umana e animale di tutta la storia medica moderna. Oltre alle due opere citate, basterà qui ricordare l'Exercitatio anatomica de structura et usu renum (1662) di Lorenzo Bellini (1643-1704), le Tetras anatomicarum epistolarum de lingua et cerebro (1665) dello stesso Malpighi e di Carlo Fracassati (1630-1672), il Gustus organum (1665), ancora di Bellini, e il Canis carchariae dissectum caput (1667) di Niccolò Stenone. Malpighi, Fracassati e Bellini, sebbene soltanto quest'ultimo fosse suddito granducale, avevano seguito a Pisa le ricerche del Borelli e, tramite lui, si erano più volte affacciati sulla soglia della Corte Medicea, assorbendone l'atmosfera e respirandone l'esuberanza intellettuale. Nelle stanze dei palazzi granducali riservati alle ostensioni anatomiche e nelle larghe aule nelle quali si ammassavano le migliaia di libri che formavano la biblioteca dei prìncipi, essi avevano potuto, con larghezza di mezzi e disponibilità di tempo, mettere a fuoco e impostare il quadro dei motivi e delle problematiche necessario a dare sostanza all'intera impalcatura portante della loro successiva, e tanto ricca, riflessione medica. E proprio negli anni critici dell'attività del Cimento avevano potuto mettere alla prova, all'ombra dell'attività di più anziani maestri, il valore e l'efficacia dei principi e dei metodi delle conoscenze tradizionali.
Niccolò Stenone, approdato nel Granducato dalla Francia nei primi mesi del 1666, già consapevole delle tendenze di ricerca e del programma scientifico dell'Accademia di Leopoldo, si integrò immediatamente al suo interno, sviluppandone alcuni spunti e portando a maturazione, proprio in Toscana, alcune sue opere. Sebbene nessun documento possa attestare la sua diretta partecipazione alle più tarde sedute accademiche, egli strinse contatti, talora anche controversi, con ognuno dei suoi membri e stese un memoriale difensivo a favore di alcune descrizioni sperimentali pubblicate nei Saggi di naturali esperienze. Nel 1667 egli dette alla luce a Firenze la sua a lungo meditata e rinviata descrizione geometrica della struttura muscolare del corpo umano, alla quale decise di accludere la narrazione di una dissezione della testa di uno squalo pescato nell'ottobre 1666 nelle acque antistanti Livorno. Lo studio della dentatura dell'animale gli fu decisivo per smentire perentoriamente e una volta per tutte la cosiddetta virtù alessifarmaca delle glossopetre, identificando questi mitici materiali petrosi con gli stessi denti dei selaci e dimostrandone l'origine organica.
Su questa stessa linea di verifica, revisione e, numerose volte, di aperta ritrattazione delle credenze tradizionali, si collocò anche il giovane Francesco Redi, che dall'Accademia del Cimento seppe ereditare il più schietto metodo di indagine e applicare perfettamente lo spirito sperimentale. Nel 1668, cioè a un anno dalla data che simbolicamente chiuse l'attività del consesso cortigiano, egli fece stampare a Firenze un suo trattato sulla generazione spontanea, sotto forma di lunga epistola indirizzata a Carlo Roberto Dati. Come si sa, con quest'opera egli venne definitivamente risolvendo una questione la cui soluzione era stata da secoli affidata a considerazioni del tutto teoriche e autoritarie. Con l'introduzione sistematica nelle ricerche biologiche della metodologia sperimentale tipica del Cimento, sebbene supportata da ampi e sostanziosi ricorsi letterari, Redi riuscì, primo fra tutti gli scienziati del suo tempo e circondato da molti contradditori, a revocare in dubbio tutte le teorie che avevano accreditato la possibilità dell'origine della vita dalla materia inorganica e dalle sostanze organiche putrefatte, dimostrandone decisamente la provenienza non equivoca.