In una lettera a Giuliano de’ Medici (1574-1636), ambasciatore toscano a Praga, datata 11 dicembre 1610, Galileo (1564-1642) annuncia una clamorosa scoperta astronomica per mezzo di un complesso anagramma che Keplero (1571-1630) tenterà invano di sciogliere. L’enigma sarà poi svelato in una lettera del 1° gennaio 1611, sempre a Giuliano de’ Medici: la madre degli Amori, cioè Venere, imita le configurazioni di Cinthia, ovvero della Luna. In altri termini, esattamente come la Luna, il pianeta Venere presenta delle fasi.
La scoperta prospettava grandi implicazioni cosmologiche. Nel sistema tolemaico, infatti, ogni pianeta si muoveva su un cerchio, l’epiciclo, il cui centro ruotava su un cerchio più grande, detto deferente, attorno alla Terra, immobile al centro dell’universo. Per spiegare il fatto che Venere e Mercurio non si allontanano mai oltre una certa distanza angolare dal Sole, il modello tolemaico prevedeva che il centro dell’epiciclo avesse un periodo di un anno e fosse sempre centrato sul Sole. I due pianeti si trovavano perciò perennemente al di sotto dell’orbe solare e avrebbero quindi dovuto mostrare il fenomeno delle fasi senza tuttavia andare mai oltre una sottile falce.
Nel sistema copernicano invece il Sole è immobile al centro dell’universo, mentre tutti i pianeti, Terra compresa, gli ruotano attorno. Le orbite di Venere e Mercurio risultano dunque comprese entro l’orbita terrestre. Per questa ragione, dovevano mostrare l’intera gamma delle fasi, che è quello che Galileo riuscì per primo ad osservare.
La scoperta delle fasi di Venere rafforzò la convinzione di Galileo della verità del sistema copernicano.
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