Il cannocchiale di Galileo - Le macchie solari

Versione dinamica

Osservata al telescopio, la superficie solare mostra delle macchie scure, dovute – come oggi sappiamo – a intensi campi magnetici che bloccano i moti convettivi degli strati sottostanti. Ricevendo una minore quantità di energia, queste aree presentano una temperatura inferiore e appaiono quindi più scure. Thomas Harriot (1560-1621) osservò per primo col telescopio questo fenomeno, che fu divulgato in una pubblicazione da Johann Fabricius (1587-c. 1615) nel 1611.
Galileo (1564-1642) ebbe un’aspra controversia sulla natura delle macchie solari con il gesuita Christoph Scheiner (1573-1650), che, nel 1612, sotto lo pseudonimo di Apelle nascosto dietro al dipinto, aveva pubblicato tre lettere sull’argomento. Per salvare il dogma aristotelico dell’immutabilità dei corpi celesti, Scheiner aveva ipotizzato l’esistenza di nugoli di piccoli pianeti orbitanti attorno al Sole, i quali, interponendosi tra questo e la Terra, apparivano come macchie oscure sullo sfondo del disco solare. Galileo riteneva invece che il fenomeno avesse luogo sulla superficie del Sole o nelle sue immediate vicinanze, attribuendo il moto delle macchie da est a ovest alla rotazione dell’astro in un periodo di circa un mese. A sostegno di questa ipotesi, egli addusse numerose prove osservative. Le macchie infatti non mostrano alcuna periodicità e si generano e si dissolvono continuamente, anche in prossimità del centro del disco solare, assumendo forme irregolari e di giorno in giorno mutevoli. Inoltre, il movimento di un pianeta orbitante a grande distanza dal Sole dovrebbe procedere sullo sfondo di questo con velocità pressoché costante. Galileo, al contrario, aveva osservato un rallentamento delle macchie a mano a mano che esse si avvicinano al bordo del Sole, in perfetto accordo con l’ipotesi della loro contiguità alla superficie dell’astro.

 

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