Il cannocchiale di Galileo - Il cannocchiale Kepleriano

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Il cannocchiale galileiano fornisce immagini diritte, ma possiede un campo visivo estremamente ridotto, che diminuisce rapidamente al crescere dell’ingrandimento. Se, infatti, il campo visivo di un galileiano da 20 ingrandimenti è indicativamente di 15 minuti primi, cioè circa la metà del diametro apparente della Luna, esso diviene dell’ordine di soli 5 primi in un cannocchiale da 50 ingrandimenti. Campi così limitati non solo rendevano difficile l’utilizzo del cannocchiale galileiano nell’uso civile e militare, ma soprattutto ne impedivano, in campo astronomico, l’incremento delle prestazioni oltre le poche decine di ingrandimenti.

Johann Kepler (1571-1630) (fig.1), l’astronomo tedesco celebre per le sue tre leggi dei moti planetari (fig.2), aveva tuttavia dimostrato, sin dal 1611, la possibilità di sostituire l’oculare divergente del cannocchiale galileiano con una lente convergente, con il vantaggio di un campo visivo assai più vasto e contrastato. Questa combinazione ottica, oggi nota come cannocchiale kepleriano (o astronomico), fornisce però immagini capovolte che lo rendevano inutilizzabile per l’uso terrestre. Galileo (1564-1642) (fig.3) rimarrà sempre fedele alla combinazione ottica che porta il suo nome. Tuttavia, negli anni ’30 del XVII secolo, il cannocchiale kepleriano cominciò a diffondersi, principalmente ad opera dell’ottico napoletano Francesco Fontana (c.1580-1656) (fig.4), fino a soppiantare completamente, verso la metà del secolo, il galileiano. L’ultimo grande lavoro (fig.5) astronomico realizzato per mezzo di un cannocchiale di questo tipo, pubblicato da Hevelius (1611-1687) nel 1647, fu la raffigurazione della superficie lunare (fig.6). Inoltre, il cannocchiale kepleriano si impose ben presto anche nell’uso terrestre, grazie all’introduzione del cosiddetto erettore (fig.7), un dispositivo ottico, solitamente costituito da due lenti convesse di uguale focale, che, raddrizza l’immagine (fig.8) capovolta prodotta dall’obbiettivo.

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