Ferdinando I de' Medici
Ferdinando, figlio quintogenito di Cosimo I (1519-1574) e Eleonora di Toledo (1522-1562), alla morte dei due fratelli maggiori Giovanni (1543-1562) e Garzia (1547-1562), intraprese la carriera ecclesiastica originariamente riservata al secondogenito e fu creato cardinale nel 1563 da Pio IV (1499-1565), anche se non prese mai gli ordini sacri. Nel 1587, quando il fratello Francesco I (1541-1587) morì senza lasciare eredi maschi, abbandonò la porpora e divenne Granduca di Toscana.
In politica estera Ferdinando, pur rimanendo formalmente fedele alla Spagna, mise in atto un progressivo avvicinamento alla Francia sposando nel 1589 Cristina di Lorena (1565-1636) e dando in moglie a Enrico IV di Navarra (1553-1610) la nipote Maria (1575-1642), figlia del defunto Francesco I, nel 1600.
In politica interna favorì Pisa e Livorno, promulgando leggi che ne garantissero lo sviluppo demografico. Il potenziamento del porto di Livorno fu poi uno degli obiettivi che il nuovo Granduca perseguì con maggior decisione; la città costiera divenne in breve tempo un centro nevralgico per i traffici mediterranei, attirando, fra l'altro, tecnici ed esperti di navigazione da tutta Europa.
Ferdinando contribuì all'accrescimento delle collezioni medicee sia di arte - basti ricordare, tra le altre iniziative, la nascita dell'Opificio delle pietre dure - che di strumentazione tecnico-scientifica; curioso osservatore della natura, ma anche politico accorto, seppe individuare nell'impegno culturale di promozione delle scienze, come già il padre Cosimo I, un utile strumento di governo. Nel 1588 commissionò ad Antonio Santucci la grande "macchina universale" del mondo secondo la concezione aristotelico-tolemaica, che richiese cinque anni di lavoro e grande dispendio di denari; mantenne personalmente strette relazioni con il naturalista Ulisse Aldrovandi (1522-1605) e finanziò, nel 1590-91, la spedizione a Creta alla ricerca di piante del botanico fiammingo Jodocus De Goethuysen (italianizzato in Casabona o Benincasa) (c.1535-1595).
Durante gli anni del suo governo mostrò benevolenza nei confronti di Galileo, conferendogli la cattedra a Pisa nel 1589, concedendogli in seguito il permesso di trasferirsi a Padova e infine volendolo tra i precettori del figlio Cosimo (1590-1621) durante i mesi estivi; complessivamente, però, non investì molto su di lui al contrario dei suoi successori.
Una lettera, con cui Galileo chiedeva a Belisario Vinta se l'invito a trascorrere l'estate del 1608 presso la Corte medicea fosse dettato da reale stima o da formalismo, testimonia come questi non avesse una chiara percezione dei sentimenti di Ferdinando nei suoi confronti. Così lo rassicurò il Segretario di Stato: "ella (la Granduchessa) mi rispose subito: "Scrivi al Galilei che essendo egli il primo et il più pregiato matematico della Christianità, che il Granduca et Noi desideriamo che questa estate venga qua, ancorché gli sia per essere d'incomodo, per esercitare il S.r Principe nostro figliuolo in dette matematiche, che tanto se ne diletta; et che con lo studio che farà seco questa estate, potrà poi rispiarmarlo di non lo far venire così spesso qua; et che c'ingegneremo di far di maniera che non si penta d'esser venuto" ( Ed. Naz. vol. X, p. 214 ).
A differenza del figlio, Ferdinando I non curava direttamente i rapporti con Galileo, anche perché il pisano non incarnava pienamente il suo programma di politica culturale in campo scientifico, volto più al naturalismo che alle matematiche. Solitamente la corrispondenza con Galileo era tenuta dai segretari Belisario Vinta e Curzio Picchena, come nel caso della trattativa per l'acquisto di una calamita di grande potenza posseduta da Giovanfrancesco Sagredo e che Ferdinando I voleva assolutamente acquistare; "negozio" che si concluse felicemente a favore del Granduca. Così il Vinta: "Arrivò la calamita benissimo conditionata, et arrivorno tutti quelli istrumenti; et il Gran Duca, mio Signore, et il Sig. Principe n'hanno fatta la prova con tutti quegl'instrumenti che son arrivati, et con tutte quelle regole et avvertimenti che V.S. n'ha dati, et ne sono rimasti sopramodo sodisfatti et contentissimi: et m'hanno comandato di scrivergliene, et aspettano a far la risposta per poterle dare il contento complito della loro sodisfattione et approbatione ed aggradimento insieme, havendomi certo comandato ch'io gli dica che restano sodisfattissimi della sua diligenza" ( Ed. Naz. vol. X, p. 210 ).
Data aggiornamento 26/gen/2008