Filippo Salviati
Filippo Salviati nacque a Firenze nel 1582. Secondo alcune fonti fu discepolo di Galileo a Padova, e certamente fu suo grande amico. Ricordato dai contemporanei come uomo di grande ingegno e nobiltà d'animo, di lui sono rimaste poche fonti biografiche. Discendente della potente casata Salviati, imparentata con la famiglia granducale, Filippo perse la madre alla nascita e il padre a 12 anni. Fu allevato dallo zio Antonio che lo avviò alla gestione dei banchi che avevano reso la famiglia ricca. Una volta cresciuto, il giovane preferì rinunciare alle grandi ricchezze in cambio di un vitalizio che gli consentisse di attendere ai suoi studi piuttosto che agli affari, esclusa per la sua salute cagionevole la carriera militare, che tanto lo affascinava. Si dedicò dapprima al latino, poi alla filosofia (attratto in particolare dal pensiero stoico) e infine alle matematiche. In una delle sue ultime lettere a Galileo definì Giovan Battista Baliani (1582-1666), che divenne grazie a questa presentazione corrispondente di Galileo, come "un filosofo alla usanza nostra".
Per Galileo Salviati fu a Firenze ciò che Sagredo (1571-1620) fu a Venezia: amico, sostegno e attento interlocutore scientifico. La frequentazione fra il nobile fiorentino e lo scienziato fu molto assidua negli anni fra il ritorno di Galileo in Toscana e la partenza di Filippo nel 1614 per la Spagna, dove avrebbe trovato la morte. A Palazzo di Salviati, nell'attuale via Ghibellina a Firenze, si tenne la nota disputa sul galleggiamento dei corpi con un gruppo di aristotelici capeggiati da Lodovico delle Colombe (1565-?) e Vincenzo di Grazia. Lo scienziato, che era stato invitato a dimostrare per via sperimentale le proprie tesi, fece confluire le sue opinioni nel Discorso intorno alle cose che stanno in su l'ac qua o che in quella si muovono (Firenze, 1612).
A Villa Le Selve, residenza della famiglia Salviati vicina a Lastra a Signa, Galileo trascorse lunghi periodi soprattutto negli anni 1611-1612, trattenendosi in conversazione con l'amico e portando avanti le osservazioni celesti nella tranquillità della campagna fiorentina. La prima e la terza delle lettere sulle macchie solari, datate 1612, furono composte proprio a Villa Le Selve. E proprio al Salviati Galileo sceglierà di dedicare l'Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari (Roma, 1613).
Nel 1612, dopo che Filippo era già diventato membro dell'Accademia della Crusca, Galileo propose al principe Federico Cesi (1585-1630) la sua affiliazione all'Accademia dei Lincei; la proposta venne accolta e lo stesso Cesi disse di approvare il "soggetto proposto" lodandone ampiamente "l`ingegno, il valore, le qualità".
Un certo mistero avvolge gli ultimi anni del nobile fiorentino. Una questione d'onore lo mise in urto con i fratelli Bernardetto e Ottaviano Medici, nipoti di papa Leone XI (1535-1605). Il primo di questi lo ingiuriò, insinuando che su una carrozza che aveva irrispettosamente sorpassato la sua a gran velocità vi fosse una cortigiana. Il buon nome di Salviati fu attaccato ed egli per tutta risposta mandò a bastonare il servo di Bernardetto che aveva offeso il suo cocchiere al sorpasso. Per uno scambio di persona fu malmenato un servo di Ottaviano, che così si ritrovò coinvolto nella controversia. Perché la questione non sfociasse in duello il Granduca, attraverso Belisario Vinta (1542-1613), ottenne una tregua fra i tre. Nel 1614, forse per una recrudescenza della lite, Filippo fu costretto a "cedere" e, indispettito per non aver visto soddisfatte le sue ragioni, partì per un lungo viaggio di studio che aveva per meta la Spagna. La partenza, che dalle fonti appare organizzata in fretta, potrebbe essere stata, però, forzata per sfuggire ad un progettato omicidio (documentato da alcune lettere), stretto com'era fra l'odio dei fratelli Medici e quello degli avversari dello scienziato pisano che in lui vedevano uno dei più forti "galileisti". Fra l'altro in questo periodo è documentata anche una denuncia al Sant'Uffizio di un Filippo Salviati, anche se non vi è certezza si tratti del nostro. In quest'ottica questa sorta di autoesilio temporaneo potrebbe essere letto come un favore all'amico, già al centro di aspre critiche da parte di uomini di Chiesa.
A testimoniare la grande stima che Galileo ebbe per Filippo Salviati sta la scelta darne il nome al proprio alter-ego nelle opere della maturità. Dal proemio "Al Discreto lettore" del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (Firenze, 1632): "Mi trovai, molt'anni sono, più volte nella maravigliosa città di Venezia in conversazione col Sig. Giovan Francesco Sagredo, illustrissimo di nascita, acutissimo d'ingegno. Venne là di Firenze il Sig. Filippo Salviati, nel quale il minore splendore era la chiarezza del sangue e la magnificenza delle ricchezze; sublime intelletto, che di niuna delizia più avidamente si nutriva, che di specolazioni esquisite."
Salviati morì a Barcellona il 22 marzo 1614 a soli 32 anni.
Data aggiornamento 07/gen/2008