Francesco de' Vieri, detto il Verino secondo
Di nobile famiglia, detto il Verino secondo perché nipote dell’omonimo Francesco de’ Vieri (ovviamente detto il Verino primo, un umanista, platonico ficiniano della prima ora, formatosi alla scuola di Iacopo da Diacceto), seguì le orme dell’avo dedicandosi agli studi filosofici. Insegnò allo Studio di Pisa tenendo prima la cattedra di Logica, poi, dal 1559 al 1590, quella di Filosofia. Nonostante vigessero gli statuti universitari voluti da Cosimo I de’ Medici che vietavano di deviare dalla linea aristotelica, il Verino secondo ottenne dal granduca Francesco I il permesso di impartire pubbliche letture di filosofia platonica, ma, contestato dai colleghi, fu costretto a interromperle. Il suo vagheggiare la rinascita dell’Accademia platonica aveva però l’impronta conciliazionista decollata con Giovanni Pico della Mirandola, che vedeva in Aristotele il primo platonico, il cui pensiero non poteva che essere concorde con quello del maestro. Bersaglio della polemica antiperipatetica nelle Vere conclusioni di Platone conformi alla dottrina christiana et a quella d’Aristotile (Firenze, 1589) era il suo principale nemico, l’aristotelico aretino Girolamo Borri, professore anch’egli allo Studio di Pisa. Il Verino pubblicò fra l’altro un Trattato delle metheore (Firenze, 1572), un Trattato della lode, dell’honore, della fama et della gloria (Firenze, 1577), i Discorsi delle maravigliose opere di Pratolino et d’Amore (Firenze, 1587) e un Discorso del soggetto, del numero, dell’uso et della dignità et ordine degl’habiti dell’animo (Firenze, 1568), nel quale caldeggiava l’insegnamento del pensiero di Platone nei suoi aspetti politici e morali. Lasciò manoscritte le Lezzioni d’amore, un commento al Cavalcanti pubblicato in tempi recenti.
Data aggiornamento 09/feb/2008