Tommaso Campanella
Giovanni Domenico Campanella, nato a Stilo in Calabria nel 1568, vestì a soli quattordici anni l’abito domenicano, spinto dalla lettura di Alberto Magno e Tommaso d’Aquino. Precocemente stanco dell’aristotelismo e della tradizione scolastica, si dedicò a Platone, Plinio, Galeno, agli Stoici, a Democrito, ma, soprattutto, a Telesio, subendo fortemente il fascino della sua filosofia libera, che rifiutava ogni autorità nel continuo appello ai sensi e alla natura. Trascinato dal desiderio di conoscere personalmente Telesio, andò a Cosenza per incontrarlo, ma giunse tardi e ve lo trovò cadavere. Oltre al naturalismo telesiano, la lettura dei testi della tradizione platonica e medica antica occuparono gli anni precedenti all’abbandono del convento e al conseguente trasferimento a Napoli, dove i contatti con Giovambattista Della Porta e quindi l’influenza della tradizione magico-astrologica rinascimentale lo mossero a una conciliazione fra le due componenti della sua formazione, la naturale telesiana e la spirituale platonica. In difesa di Telesio scrisse la Philosophia sensibus demonstrata (Napoli, 1591) e il suo telesianismo lo portò a subire un processo e la condanna al rientro in Calabria. Ma Campanella non la rispettò e iniziò a girare per l’Italia, a Roma, a Firenze in cerca di una cattedra, a Bologna. Durante il viaggio subì un processo per sodomia, uno per eresia, ripetuti sequestri dei suoi manoscritti, il carcere, fino all’obbligo del definitivo rientro in Calabria, dove dietro all’apparente clausura monastica si celava in realtà la sotterranea organizzazione di una rivolta. L’intento di una riforma globale che abbracciasse la filosofia, la religione, la politica, fallì miseramente e l’insurrezione antispagnola esplosa nel 1599, della quale il Campanella fu ispiratore e guida, una sorta di profeta alla testa di una marmaglia di frati corrotti e di fuorilegge alla macchia, fu presto repressa. Dopo un processo civile e religioso insieme, per sedizione ed eresia, fu condannato. Fingendosi pazzo sfuggì alla forca, non risparmiata a molti suoi compagni, ma passò in carcere a Napoli i successivi ventisette anni, durante i quali lavorò alle sue opere, la Città del sole, il De sensu rerum, la Metafisica, l’Atheismus triumphatus, gli Astrologica, la Philosophia realis, la Philosophia rationalis, fra sequestri, dispersioni, riscritture e tentativi di pubblicazione, solo pochi dei quali fortunosamente andati in porto. Lasciato il Castel dell’Ovo nel 1626, fu subito arrestato per ordine del papa e rinchiuso nelle carceri del Sant’Uffizio, dalle quali uscì presto, ma, di fronte all’ostilità degli ambienti curiali romani, preferì riparare in Francia, dove si dedicò finalmente alla pubblicazione integrale del corpus delle opere, bruscamente interrotta dalla sua morte nel 1639.
Nonostante l’Apologia pro Galileo scritta nel 1616 (ma pubblicata solo nel 1622), le continue attestazioni di stima e le profferte di aiuto in occasione del processo del 1633, Campanella non ebbe in cambio grandi slanci e Galileo, probabilmente perplesso di fronte all’esuberanza istintiva dell’interlocutore, preferì sempre mantenere una certa distanza e non andò mai oltre un freddo rispetto.
Data aggiornamento 15/giu/2009