Urbano VIII (Maffeo Barberini)
Nato a Firenze nel 1568 dalla nobile famiglia dei Barberini, Maffeo intraprese la carriera ecclesiastica nel 1588, dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza allo Studio pisano. Ricoprì varie cariche a corte sotto Sisto V (1520-1590), Gregorio XIV (1535-1591) e Clemente VIII (1536-1605). Paolo V (1552-1621) lo creò cardinale nel 1606 e dal 1611 al 1614 fu legato a Bologna. Rientrato a Roma, divenne prefetto della Segnatura di Giustizia. Fu eletto papa nel 1623.
In politica interna riuscì ad annettere allo Stato Pontificio il dominio di Urbino, a scapito dei Medici che si erano imparentati con Vittoria della Rovere, ultima erede della casata. Dal 1641 al 1644 ingaggiò una guerra con i Farnese, che non ebbe esito positivo, per il dominio di Castro. Il papa fu coinvolto in tutti i principali avvenimenti del suo tempo, e particolarmente nella guerra dei Trent’anni che infiammava l’Europa. Urbano VIII si assestò su una posizione filofrancese per controbilanciare il potere degli Asburgo, ma questo scatenò la reazione della fazione che parteggiava per la cattolicissima Spagna.
Maffeo Barberini era stato membro della commissione del Sant’Uffizio durante il processo del 1616 conclusosi con la sospensione di Copernico e l’ammonizione a Galileo. Pare che insieme al cardinale Bonifacio Caetani si fosse dimostrato contrario a condannare per eretica la teoria della mobilità della Terra, dichiarata infatti soltanto falsa, perché contraria alla Scrittura. Quando nel 1623 salì al soglio pontificio con il nome di Urbano VIII, suscitò l’entusiasmo dei letterati e degli eruditi suoi contemporanei, degli accademici Lincei in particolare, che gli vollero dedicare Il saggiatore di Galileo, della cui stampa si erano assunti l’onere, mirando a creare un clima favorevole alla riabilitazione del copernicanesimo. Antico ammiratore di Galileo, cui aveva dedicato addirittura dei versi celebrativi col titolo di Adulatio perniciosa ai tempi della pubblicazione delle prime novità celesti, papa Barberini non aveva, né avrebbe mai, preso le distanze dalle posizioni ufficiali della Chiesa. In alcuni incontri con Galileo in occasione delle sue visite a Roma, si era preoccupato di chiarirgli la propria idea di un sapere scientifico subalterno a quello rivelato, data la manifesta incapacità della ragione umana nel comprendere le infinite possibilità creative di Dio. In occasione della pubblicazione del Dialogo sopra i due massimi sistemi (Firenze, 1632) pretese addirittura che questo suo argomento venisse posto a chiusura dell’opera, quando le dimostrazioni copernicane dovessero apparire troppo stringenti. L’azzardo di Galileo nel far illustrare il pensiero del papa a Simplicio, l’aristotelico di basso profilo, scarso di acume e d’ingegno, continuamente punzecchiato dagli altri personaggi, capaci di vedere ben più lontano, non giovò certo alla causa galileiana. In occasione del processo, alle durezze dell’istituzione si aggiunse l’offesa personale del suo primo rappresentante, ritenuta a fatica nei numerosi colloqui con l’ambasciatore toscano che cercò invano di addolcire le sorti del Primario matematico del suo Granduca oltreché suo ospite e amico personale. Gli esiti non potevano perciò essere altri da quelli che furono. L’ira del papa perseguitò Galileo anche dopo la morte: Urbano VIII impedì al Granduca Ferdinando II di fargli edificare un sepolcro nella Basilica di Santa Croce, mausoleo delle grandi menti, ignaro che in capo a due anni sarebbe andato ad occupare quello scolpito per lui da Gian Lorenzo Bernini.
Data aggiornamento 23/feb/2008