Acquedotto Leopoldino
L'aumento della popolazione di Livorno, nel corso del Settecento, rese necessario un nuovo acquedotto, in sostituzione di quello costruito da Giovanni del Fantasia sotto il governo di Ferdinando I de' Medici. Il Granduca Pietro Leopoldo di Lorena commissionò il lavoro a Francesco Bombicci, che presentò un progetto molto ambizioso, ma anche molto costoso. Fu così che nel 1792 il nuovo Granduca Ferdinando III incaricò dell'opera il fiorentino Giuseppe Salvetti. Questi propose una soluzione meno onerosa, che prevedeva un tracciato, attraverso le colline, dalle sorgenti di Colognole a Livorno.
I lavori subirono una battuta di arresto, prima per l'occupazione francese (1799) e poi per la morte dello stesso Salvetti (1801). Nel 1806 la regina d'Etruria Maria Luisa approvò il progetto dell'architetto Calocchieri che mirava a concludere l'opera nella forma più conveniente. Fu così riaperto il cantiere sotto la direzione di Ranieri Zocchi, allievo di Salvetti. Nel 1809 la direzione passò a Pasquale Poccianti, che fece arrivare l'acqua a Livorno il 30 maggio 1816 (da allora, fino al 1912, l'acquedotto è stato il principale mezzo di rifornimento idrico della città). Poccianti garantì inoltre la manutenzione con una serie di opere, fra le quali sono da segnalare le tre grandi cisterne (Cisternino di Pian di Rota, Cisternone e Cisternino di città) che dovevano purificare l'acqua lungo il percorso, garantendone un'adeguata distribuzione. Nel 1858, anno della morte di Poccianti, subentrò il suo allievo Angiolo della Valle con il quale, poco dopo l'unità d'Italia, la grande opera fu portata a compimento.
Oggi è possibile seguire il suggestivo percorso dell'imponente acquedotto, di circa diciotto chilometri, nei boschi delle colline livornesi, dove si incontrano quindici serie di arcate, piccole edicole di forma poligonale per la purificazione delle acque, gallerie e cisterne.
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Scheda a cura di Graziano Magrini
Data aggiornamento 13/feb/2008