Museo della Geotermia Enel
«Monte Cerboli – così lo descriveva il Granduca Pietro Leopoldo di Lorena – è un piccolo castello di 3 in 400 anime, passato il quale a un miglio si trovano in una valletta tutta erbosa per il giro di un miglio grandissime aperture e vari fumacchi [...]. In molti l’acqua non bolle più, altri sono secchi e fumano solamente; molti poi sono laghetti di acqua che bolle con grand’impeto, in altri è spinta fuori l’acqua 4 o 5 braccia con rumore; in molti si sente escire di sotto terra il vento solamente con gran strepito e si vede che fanno continue mutazioni, in un luogo se ne spengono, altrove se ne aprono di nuovi».
Le manifestazioni naturali della zona di Larderello (lagoni, soffioni e sorgenti d’acqua calda) erano già note agli Etruschi e ai Romani, che utilizzavano i sali di boro per uso farmaceutico e per la preparazione di smalti. Nel Medioevo e nel Rinascimento proseguì l’utilizzazione termale e farmaceutica delle acque.
Nella seconda metà del Settecento, in seguito alla scoperta dell’acido boracico nei lagoni volterrani ad opera del chimico Uberto Francesco Hoefer, direttore delle spezierie granducali, iniziarono i primi tentativi di sfruttamento economico. Il grande anatomista Paolo Mascagni, nativo di Pomarance, forniva una efficace descrizione dei lagoni: «Si chiamano lagoni nel Volterrano e nel Senese certi spazi di terreno di maggiore o minore estensione, spogliati di vegetabili, dove è contenuta in certi incavi dell’acqua, che bolle con più o minore strepito, dalla cui superficie si solleva una bianca nuvola di vapori più o meno densa, che forma un fumo, che si dissipa per l’aria, e fa sentire a gran lontananze un forte odore di fegato di solfo. A cagione di questo fumo in alcuni luoghi son chiamati fumacchi, altrove come a Viterbo bulicami».
Nel 1818 Francesco Giacomo Larderel, un commerciante di origine francese, impiantò presso Montecerboli il primo nucleo industriale per la produzione del borace e in pochi decenni l’industria boracifera, grazie alle continue innovazioni tecniche, divenne un modello d’avanguardia nel panorama industriale e tecnologico toscano. Fu così che nel 1846 il Granduca Leopoldo II di Lorena, per rendere omaggio al fondatore dell’industria boracifera, dette ad un abitato della zona il nome Larderello. Altre fabbriche furono costruite a Lustignano, Serrazzano, Monterotondo, Castel Nuovo, Sasso e Lago.
Attualmente i soffioni sono utilizzati nel settore dell’energia geotermoelettrica. Il primo storico esperimento di produzione geotermolettrica risale al 4 luglio 1904, quando con un motore a pistoni azionato da vapore ottenuto in uno scambiatore di calore, alimentato da un pozzo di vapore di Larderello e collegato ad una dinamo di 10 kw, furono accese cinque lampadine di pochi watts ciascuna, che permisero tuttavia di verificare la possibilità di produrre energia mediante fluidi geotermici. Nel 1913 si ebbe l’installazione della prima centrale geotermica del mondo.
La storia dell’industria boracifera e dello sfruttamento industriale dell’energia geotermica è ricostruita, grazie ad un dettagliato ed interessante apparato iconografico, documentario e strumentario, dal Museo della Geotermia, fondato nel 1956 dalla Larderello Spa. Le origini del Museo risalgono alla piccola esposizione divulgativa allestita a Palazzo De Larderel alla fine dell’Ottocento. Oggi la proprietà appartiene alla ENEL Greenpower Spa ed il Museo è ospitato in una sede provvisoria (una cupola geodetica), in attesa della conclusione dei restauri di Palazzo De Larderel.
La collezione si compone di reperti storici, databili da metà Ottocento a metà Novecento, legati allo sfruttamento delle sorgenti boracifere. Comprende campioni di minerali e rocce, macchinari per la perforazione, strumenti e macchinari delle centrali elettriche, apparati scientifici vari, compresa la strumentazione della vecchia farmacia di Larderello. Della collezione fanno parte inoltre plastici relativi allo sviluppo dell’area di Larderello, ai metodi di estrazione dell’acido borico, alle attività di perforazione e di produzione di energia elettrica. La collezione presenta, inoltre, registri contabili, carte geologiche e documentazione relativa all’attività produttiva. La biblioteca e l’archivio del Museo sono in deposito presso l’archivio storico dell’ENEL a Firenze.
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Scheda a cura di Graziano Magrini
Data aggiornamento 11/feb/2008