Le pompe pneumatiche a due cilindri divennero comuni nei laboratori a partire dalla metà del Settecento e restarono in uso sino agli inizi del Novecento. Tali pompe non potevano produrre un vuoto particolarmente spinto. Nonostante si osservino numerose varianti nel design, questi apparecchi funzionavano tutti secondo il medesimo principio.
I cilindri, in ottone o in vetro, sono fissati ad una base metallica collegata, tramite un apposito rubinetto e delle condutture, al piatto della pompa sul quale poggia la campana di vetro da evacuare. I cilindri, con premistoppa di cuoio, sono azionati da un manubrio munito di pignone che ingrana le cremagliere fissate ad essi.
Innalzando il pistone di destra, la valvola che ottura la comunicazione con il piatto si apre e l'aria viene aspirata. La valvola dell'altro pistone rimane invece chiusa. Invertendo il movimento, la valvola del pistone di destra si chiude, mentre l'aria in esso contenuta viene compressa e passa nell'atmosfera attraverso una piccola valvola inserita nel pistone. Il pistone di sinistra funziona nello stesso modo, anche se sfasato rispetto a quello di destra: quando uno aspira l'altro preme e viceversa.
Rispetto a quelle a cilindro singolo, le pompe a due corpi permettevano di accelerare l'estrazione dell'aria dal recipiente nel quale si desiderava produrre il vuoto. Con questo tipo di apparecchio era possibile passare dalla pressione normale, corrispondente ad una colonnina di mercurio di circa 760 mm, ad un vuoto equivalente a qualche millimetro di mercurio.
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