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Gli ambienti creativi

Da Via Panisperna all'Italia: creatività scientifica e creatività istituzionale
   Giovanni Battimelli, Giovanni Paoloni e Raffaella Simili

Busto di Pietro Blaserna, fondatore dell’Istituto Fisico di Roma.«Antico collega di Pietro Blaserna nell'Università di Roma e preside della Facoltà ove egli insegnò per oltre quarant'anni – esordiva Vito Volterra al Senato, commemorando Blaserna nella seduta del 27 febbraio 1918 – esprimo i sentimenti di profondo cordoglio suscitati oggi per la sua morte. Egli venne chiamato in Roma, insieme col Cremona e col Cannizzaro, allorché fu ricostituita sopra nuove basi, dopo il 1870, la nostra Università, e con zelo grandissimo pose subito mano alla costruzione ed alla organizzazione dell'Istituto di fisica che fu modello dei nostri istituti scientifici…».[1] L'Istituto cui Volterra si riferiva era il Regio Istituto Fisico, che Pietro Blaserna si era trovato a dirigere nel 1872, allorquando da Palermo fu chiamato sulla Cattedra di Fisica Sperimentale all'Università di Roma La Sapienza. Proprio a Palermo aveva avuto inizio il sodalizio scientifico con Stanislao Cannizzaro, allora rettore di quella Università, un sodalizio che diede i suoi frutti in seguito proprio nel periodo romano.

L’acceleratore Cockroft-Walton del Laboratorio di Fisica della Sanità.La solida formazione sperimentale di Blaserna, maturata nei laboratori europei più all'avanguardia, fornì il più proficuo contributo allo svecchiamento dell'Istituto tanto sul piano della didattica e della ricerca, quanto su quello di una politica innovativa degli insegnamenti. Egli istituì una Scuola Pratica di Fisica, la prima in Italia in cui gli studenti potevano condurre personalmente gli esperimenti. La progettazione dell'Istituto Fisico di Via Panisperna fu merito indiscusso di Blaserna. Fu lui, rettore dal 1874 al 1876, a individuare sul colle del Viminale, insieme a Cannizzaro, gli spazi per la nuova sede della Facoltà di Scienze, della quale fu poi preside dal 1885 al 1891. La costruzione ebbe luogo nel 1877 con uno stanziamento di £ 100.000; nel 1881 l'Istituto si trasferì dal Palazzo della Sapienza, sede storica dell'Università romana, al nuovo edificio di Via Panisperna. Da allora Blaserna moltiplicò le iniziative, fra le quali il Circolo Fisico di Roma, per diffondere la cultura fisica e far conoscere le scoperte più significative del tempo. Memorabili furono le conferenze sul radio svolte fra il 1897 e il 1899, alla presenza della regina Margherita. Alcuni anni prima, e precisamente nel 1887, nell'ambito delle sue ricerche di acustica, aveva dato vita all'Ufficio Internazionale del Corista Uniforme, potenziando così ulteriormente la dotazione dei laboratori nonché il raggio di azione dell'Istituto. Nel 1899 riuscì a ottenere una Cattedra di Fisica Complementare, che fu assegnata al suo allievo Alfonso Sella.

Nel 1900 Blaserna fu inoltre artefice della chiamata di Vito Volterra sulla Cattedra di Fisica Matematica di Roma, adoperandosi non poco sia nel mettere a tacere le possibili aspirazioni di Ulisse Dini, sia nell'intervenire presso il Ministro e il Consiglio Superiore dell'Istruzione Pubblica. Edoardo Amaldi con la moglie (seconda e terzo da sinistra) durante una gita ai colli romani nel 1953.Giunto a Roma, Volterra trasferì la sede della Cattedra, che era situata presso la Scuola di Ingegneria a San Pietro in Vincoli, all'Istituto Fisico di Via Panisperna: l'istituto romano veniva così ad avere tre ordinari, ciò che all'epoca lo rendeva, de facto, unico a livello nazionale. Iniziava così un ulteriore fecondo sodalizio, che portò Volterra ad assumere dopo qualche anno la guida dell'intera Facoltà romana: «il nostro vero e autorevole padrone», lo definì scherzosamente in seguito lo stesso Blaserna. Una guida indiscussa: nel 1910 Blaserna informava Volterra dell'andamento delle elezioni a preside scrivendogli che «la terna per il preside è stata la seguente: Volterra, Prof. Volterra, Prof. Vito Volterra. Quale di questi nomi sarà il prescelto? … io ho votato per il primo».[2] C'era tra i due una piena sintonia, sia sul piano internazionale (entrambi rappresentarono l'Italia presso il Bureau des poids et mésures, come segretario il primo, come presidente il secondo), sia su quello nazionale, quali presidenti dell'Accademia Nazionale dei Lincei, rispettivamente dal 1904 al 1912 e dal 1923 al 1926.

Nei primi anni del secolo Volterra aveva collaborato strettamente con Cannizzaro nell'ambito di una commissione formata appositamente per istituire e ordinare il Politecnico a Torino. Nel 1906 si adoperò con successo affinché venisse proposta dai chimici italiani la candidatura di Cannizzaro per il Premio Nobel, purtroppo senza esito. In alcune corrispondenze dal febbraio al dicembre di quell'anno Cannizzaro raccontava a Volterra, anzitutto, le iniziali difficoltà della proposta in questione dovute a «la negligenza e la faccia tosta dei chimici», su cui erano dovuti intervenire lui stesso e Paternò; e successivamente, la sua amarezza dopo l'assegnazione del Premio ad altri due italiani, Golgi e Carducci, il primo amico personale «di Rhesius accademico di Stoccolma molto influente», il secondo «raccomandato dalla Regina Margherita presso il Re di Svezia»,[3] assegnazioni che avevano probabilmente compromesso la concessione del Premio a un terzo italiano.

Sempre nel 1906, l'attivissimo Volterra proponeva al congresso dei naturalisti di Milano di fondare un'associazione nuova, interdisciplinare, che riuscisse anche a far collaborare il mondo della scienza con quello dell'industria e della tecnologia, riallacciandosi idealmente alla tradizione dei La sede dell’Istituto di Fisica in via Panisperna.Congressi degli Scienziati Italiani e, in particolare, alla mozione presentata da Cannizzaro all'ultimo di quei congressi, tenuto a Palermo nel 1875. Se nella costituzione della Società Italiana per il Progresso delle Scienze (SIPS) aveva avuto un ruolo centrale Volterra, coadiuvato da Bonaldo Stringher, direttore della Banca d'Italia, e dal ministro Luigi Luzzatti, nell'organizzazione del primo Congresso della SIPS (Parma 1907) fu in primo piano l'Istituto Fisico, grazie a Pietro Blaserna e ad Alfonso Sella, che divenne poi segretario della Società: sicché la SIPS ebbe di fatto la sua prima sede presso l'Istituto di Via Panisperna. Della fase organizzativa del congresso restano alcune vivaci lettere di Sella a Volterra, che raccontano dell'attività febbrile, dei litigi tra professori (in particolare tra i chimici capeggiati – pare – da Paternò e sui quali intervenne ancora Cannizzaro per calmare gli animi), nonché delle assurde pretese dei politici locali che rivendicavano a gran voce la presenza di Giolitti!

Quando Sella morì prematuramente, poco dopo il varo della SIPS, fu chiamato a succedergli Corbino, che rispondendo alla proposta scriveva, rivolgendosi a Volterra: «una notizia da me assolutamente inaspettata … conosco le mie forze, e so cosa vuol dire sostituire Sella. Mi lasci sperare nel Suo aiuto altissimo, illuminato: solo allora la Facoltà potrà non dolersi molto della scelta fatta».[4] Presto la coppia Blaserna-Volterra, dopo aver collocato Corbino al posto di Sella anche come segretario della Società Italiana di Fisica e nella redazione del "Nuovo Cimento", si mise di nuovo al lavoro, questa volta per la candidatura di Poincaré al Premio Nobel in Fisica. La chiamata di Corbino a Roma segnò il suo ingresso nel sodalizio dell'Istituto, nel quale la collaborazione con Volterra si allargò poi all'attività politica e istituzionale, presso l'Ufficio Invenzioni e Ricerche (coordinato da Volterra durante la guerra) e presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche (di cui Volterra fu il primo presidente dal 1923 al 1926).

L’elettrosincrotone del Laboratorio di Frascati.Nel 1918, alla fine della Prima Guerra Mondiale, Orso Mario Corbino successe nella carica di direttore dell'Istituto a Pietro Blaserna. Corbino era una personalità complessa, presente a vario titolo in diversi punti cruciali del dibattito scientifico, politico e industriale dell'Italia giolittiana e del ventennio fascista. La sua carriera di ricercatore scientifico, professore universitario e organizzatore del sistema della ricerca in Italia, si intreccia con quelle, parallele, di politico, di esponente del sistema industriale (in particolare dell'industria elettrica) e di sostenitore della stretta integrazione tra le esigenze dello sviluppo economico e quelle della crescita della ricerca scientifica applicata, specialmente nel settore dell'elettrotecnica, a lui più vicina per competenza professionale. Fra gli incarichi da lui ricoperti nell'amministrazione vi fu quello di componente della Commissione per gli studi sul sottosuolo e l'unificazione delle leggi minerarie, presidente della Sezione per l'elettrificazione del Consiglio Superiore delle Acque, e presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Nel 1920 fu nominato senatore, nel 1921-1922 fu ministro della Pubblica Istruzione nel governo Bonomi e nel 1923-1924 ministro dell'Economia Nazionale nel governo Mussolini. Marconi lo designò come presidente del Comitato Radiotelegrafico del Consiglio Nazionale delle Ricerche, dove fu anche componente del Comitato di Fisica. Come scienziato, Corbino era consapevole dello stato di relativa arretratezza di cui soffriva la fisica in Italia: mentre l'attività sperimentale si manteneva nei migliori istituti a un livello dignitoso, con alcune punte di riconosciuto prestigio internazionale, era del tutto carente la ricerca sui modelli teorici relativi alla struttura della materia, che nel corso del primo quarto del Novecento avevano portato, soprattutto in Germania, alla nascita della "nuova fisica" della relatività e dei quanti. Egli usò quindi la sua posizione influente per trasformare l'Istituto di Fisica di Roma in un centro dove la nuova fisica fosse adeguatamente coltivata e insegnata.

Un passo fondamentale in questa direzione fu l'istituzione a Roma della prima Cattedra italiana di Fisica Teorica, vinta da Enrico Fermi; Fermi e Corbino, insieme, prepararono i passi necessari a portare l'Istituto al livello dei migliori centri di ricerca del settore, formando alla fine degli anni Venti un gruppo di studiosi destinato a divenire famoso come "i ragazzi di Via Panisperna". Quando nel 1927 il CNR venne riformato, e Marconi (con cui Corbino aveva ottimi rapporti) ne fu nominato presidente, alla testa del nuovo Comitato per la Fisica andarono come presidente Antonio Garbasso, fondatore a Firenze di una scuola che aveva molti punti in comune con quella dell'Istituto romano, e come segretario Enrico Fermi. I due ebbero un G.C. Trabacchi, direttore del Laboratorio di Fisica della Sanità (a sinistra), e L. Zanchi, amministratore dell’Istituto di Fisica.ruolo determinante nell'orientare la distribuzione delle risorse disponibili verso le ricerche in fisica nucleare a Roma e sui raggi cosmici a Firenze. A partire dal 1929 Fermi e Rasetti cominciarono a rendersi conto che il campo della spettroscopia e della fisica atomica andava esaurendosi, e che la fisica del futuro doveva puntare all'esplorazione del nucleo atomico; Corbino si convinse anch'egli di questa esigenza, e con Fermi, divenuto in quello stesso anno membro dell'Accademia d'Italia, si adoperò per procurare i mezzi necessari. Il primo tentativo effettuato, nel gennaio 1930, fu quello di trasformare l'Istituto di Fisica in un ente di ricerca autonomo, sotto l'egida del Ministero dell'Educazione Nazionale; fallito questo primo passo, si decise di affrontare la questione in altro modo: innanzitutto attraverso il finanziamento del CNR, che nei primi anni Trenta rappresentava, secondo Franco Rasetti, «una ricchezza favolosa, se si considera che la media per gli istituti di fisica delle università italiane era circa un decimo di quella somma».[5] Borse di studio vennero ancora dal CNR, dalla Fondazione Volta presso l'Accademia d'Italia e dall'International Board of Education della Fondazione Rockefeller, dove era ancora ascoltato Vito Volterra. Un supporto logistico indispensabile in termini di strumentazione e di materiali venne invece dal Laboratorio di Fisica della Sanità Pubblica: sorto nel 1923 ad opera di Corbino come Ufficio del Radio alle dipendenze del Ministero dell'Economia Nazionale, era poi divenuto, con la nuova denominazione, organo tecnico della Sanità alle dipendenze del Ministero dell'Interno, di cui la Sanità era allora parte; lo dirigeva Giulio Cesare Trabacchi, assistente di Corbino, e fino al 1936 ebbe sede presso l'Istituto di Fisica dell'Università. Il Laboratorio era dotato di risorse proprie sul bilancio del Ministero dell'Interno: senza il suo sostegno, e in particolare senza il suo costosissimo radio e senza i suoi preparati chimici, ben poca ricerca avrebbe potuto svolgere il gruppo di Fermi negli anni Trenta.

Gli anni Trenta, come è noto, furono una marcia trionfale dal punto di vista scientifico per i ricercatori di Via Panisperna: dalla prima uscita internazionale, il Congresso di fisica nucleare organizzato a Roma nel 1931 col sostegno della Fondazione Volta, al Premio Nobel di Fermi nel 1938, il gruppo aveva le sue ragioni di soddisfazione, nonostante qualche passo falso, come essersi imbattuto senza comprenderlo nel fenomeno della fissione. Ma sul piano istituzionale la sopravvivenza nel clima culturale e politico dell'Italia fascista era sempre più difficile, e l'impresa era possibile solo grazie all'influenza politica e amministrativa di potenti protettori, come Corbino e Marconi, cui si aggiunse a partire dal 1935 Domenico Marotta, altra singolare figura di scienziato e grand commis, direttore generale dell'Istituto Superiore di Sanità. Fu proprio grazie a lui che Fermi ottenne dal Ministero dell'Interno le risorse necessarie per la costruzione del primo acceleratore italiano, un Cockroft-Walton da 1 MeV installato presso l'Istituto Superiore di Sanità ed entrato in funzione nel giugno 1939. Nonostante il suo costo fosse più contenuto di quello di un ciclotrone, l'acceleratore della Sanità eccedeva le risorse non solo di un istituto universitario, ma dello stesso CNR. Quando esso entrò in funzione, peraltro, Fermi era già lontano, partito nel dicembre 1938 per il viaggio senza ritorno che lo avrebbe portato a Stoccolma e poi negli Stati Uniti.

Tra il 1937 e il 1939, d'altra parte, il gruppo di Via Panisperna aveva perso tutti i suoi protettori salvo Marotta, aveva visto nuovamente respinta la richiesta di Fermi di dar vita a un Istituto Nazionale per lo Studio della Radioattività, e si era smembrato per effetto di eventi come la scomparsa di Ettore Majorana, l'esilio volontario di Rasetti (emigrato in Canada), e quello forzato di Segrè e Pontecorvo, costretti ad andarsene dalle leggi antiebraiche. Anche in Istituto l'atmosfera era cambiata dopo che a Corbino, morto improvvisamente nel gennaio 1937, era succeduto Antonino Lo Surdo. Il vuoto lasciato dalle partenze, in particolare da quella di Fermi, ricadde (all'inizio per impulso dello stesso Fermi) sulle spalle di Edoardo Amaldi. Questi si rese conto poco a poco, nel corso del 1939, che la possibilità di dare un futuro in Italia all'esperienza del gruppo di Via Panisperna era legata a un'assunzione di responsabilità da parte sua; fu un processo non facile, giunto a maturazione durante il viaggio negli Stati Uniti che Amaldi fece, di nuovo col sostegno della Fondazione Volta, per studiare la fattibilità di un ciclotrone a Roma: era lì nel settembre 1939, quando la Germania hitleriana invase la Polonia. «Al ristorante del St. Moritz Hotel, sul lato sud del Central Park – ricorda Amaldi – Felix Bloch parlò a lungo per convincermi a non imbarcarmi ... Allora egli cambiò completamente tono e disse che se io rientravo in Italia dovevo rendermi conto che sulle mie spalle sarebbero cadute grosse responsabilità. Tutto, o quasi tutto, quello che era stato costruito nel campo della fisica negli ultimi anni era ormai distrutto o quasi e se qualcuno restava aveva il difficile compito di salvare almeno qualcosa. Il discorso fu lungo, articolato, non privo di punti sgradevoli, o quasi, ma mi poneva per la prima volta nella mia vita di fronte a problemi e prospettive che fino ad allora non avevo mai minimamente considerato. ... Il giorno dopo, 4 ottobre 1939, mi imbarcai sul Vulcania per Napoli, ove giunsi il 14 ottobre. In ben pochi periodi della mia vita, forse in nessun altro, mi sono sentito così angosciato come in quei dieci giorni di navigazione. Tornavo sapendo che il nostro gruppo era definitivamente distrutto, senza speranza di lasciare nei prossimi anni l'Italia fascista, in un'Europa in cui era scoppiata la guerra, nella quale in non molti mesi anche il nostro paese sarebbe stato buttato e, ancor peggio, dalla parte sbagliata».[6]

Gli sconvolgimenti provocati dalle leggi razziali e dagli anni della guerra mutarono in profondità la geografia della fisica italiana e ne condizionarono pesantemente gli orientamenti di ricerca. Del gruppo riunito dieci anni prima a Via Panisperna intorno a Fermi, quasi tutti erano emigrati, e nessuno sarebbe più tornato stabilmente in Italia. A L’aula principale dell’Istituto di Fisica.Roma era rimasto solo Amaldi, che con un gruppo di giovani appena laureati era riuscito nonostante le difficoltà della situazione a mantenere in piedi un lavoro scientifico di livello soddisfacente. La guerra aveva toccato Roma in modo meno devastante di quanto non avesse fatto nel nord del paese, ed era finita prima, permettendo una qualche continuazione dell'attività e una più rapida riorganizzazione al termine dell'emergenza bellica. I fisici romani avevano deliberatamente interrotto nel 1941 le ricerche sulla fissione, iniziate nel 1939 con l'entrata in funzione dell'acceleratore della Sanità, per non rischiare di essere coinvolti in progetti di applicazione a fini militari della fisica nucleare, e gli sforzi si erano indirizzati verso lo studio delle proprietà dei costituenti elementari della materia, attraverso una riconversione delle ricerche verso la fisica dei raggi cosmici. Entrava così a far parte delle competenze e della sfera di attività dei fisici romani quella che era stata la linea dominante dell'altra grande scuola italiana di fisica degli anni Trenta, costituitasi originariamente a Firenze attorno a Bruno Rossi e con lui poi migrata a Padova, che aveva prodotto ricercatori come Giuseppe Occhialini e Gilberto Bernardini. Ancora sotto l'occupazione tedesca, Marcello Conversi e Oreste Piccioni diedero il via negli scantinati di un liceo romano ad una serie di esperimenti sulla vita media dei mesotroni dei raggi cosmici e quindi sulle proprietà della loro interazione con la materia; questa ricerca, completata alla fine del 1946 con la partecipazione di Ettore Pancini, mostrò che era impossibile identificare queste particelle con quelle ipotizzate da Yukawa come mediatrici delle interazioni forti. Una nuova insospettata famiglia di costituenti elementari della materia prendeva corpo in seguito ai risultati di Conversi, Pancini e Piccioni, il cui esperimento è spesso menzionato come il più significativo momento di transizione dalla fisica nucleare alla fisica delle particelle elementari.

Conversi si era laureato a Roma con Ferretti, Piccioni veniva dalla scuola fiorentina di Bruno Rossi, Pancini era di formazione milanese. In modo fortemente simbolico, la composizione stessa del gruppo mostra quella che sarà una caratteristica della fisica italiana degli anni seguenti, l'integrazione e il mescolamento di culture sperimentali e stili Orso Maria Corbino in un ritratto del 1908, anno in cui divenne direttore dell’Istituto di Fisica.di ricerca originariamente legati a scuole locali, che a partire dal dopoguerra cominciano a diffondersi fino a creare una rete diffusa su tutto il territorio nazionale, per cui si può parlare a partire da un certo momento di una tradizione di ricerca della fisica italiana, senza ulteriori specificazioni. In buona misura, si tratta di una naturale conseguenza dei meccanismi accademici di promozione e conseguente mutamento di sede delle persone, cui vanno ad aggiungersi i cambiamenti dovuti all'emigrazione verso l'estero, fenomeno che continua anche dopo la guerra, e al processo inverso di rientro in Italia di alcuni nomi di rilievo, in una dinamica che ridisegna in continuazione il panorama delle diverse sedi universitarie. Ma non si tratta solo di questo mescolamento fisiologico. In questi anni prende corpo presso alcuni tra i fisici più attenti ai mutamenti in atto nella disciplina e alle necessità della scienza italiana la percezione netta della necessità di un'innovazione radicale nella politica scientifica, che per quanto riguarda la fisica si può tradurre nelle seguenti linee di condotta: concentrare le risorse umane e finanziarie in pochi centri scelti da cui ripartire per la ricostruzione, ridisegnare il piano delle attività di ricerca in modo da rendere compatibile lo svolgimento di un lavoro significativo con l'esiguità dei mezzi a disposizione, e puntare a un coordinamento nazionale delle attività per realizzare quella massa critica di ricercatori e mezzi che appare ormai obiettivo impossibile per una singola sede. Perseguire questi tre obiettivi porterà in rapida successione alla costituzione dei primi Centri di Studio del CNR per la fisica fondamentale, alla focalizzazione delle attività di ricerca verso la fisica dei raggi cosmici, alla fondazione dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.

Espressione coerente e determinata di questo progetto sarà in modo particolare l'azione di Edoardo Amaldi. L'esperienza maturata accanto a Fermi nella seconda metà degli anni Trenta aveva radicato in Amaldi la coscienza dell'indispensabile funzione di un adeguato supporto istituzionale affinché la creatività individuale potesse esprimersi appieno e trovare uno sbocco produttivo, e la conoscenza di prima mano della situazione della fisica americana del dopoguerra (il riferimento con cui occorreva ormai confrontarsi, ma su una scala sconosciuta alla scienza prima della guerra) gli aveva fornito i parametri necessari per valutare con realismo le possibilità aperte alla ricerca italiana e i traguardi cui occorreva puntare. Si trattava in sostanza di riprendere e portare a compimento il progetto che Fermi aveva disegnato ma che non era riuscito a portare a buon fine, quello di mantenere il livello di creatività intellettuale e di competitività internazionale della fisica italiana, dotandola delle necessarie strutture istituzionali su scala nazionale, nel contesto radicalmente mutato della ricerca in fisica fondamentale (per entità dei finanziamenti necessari, per numero e composizione dei gruppi di ricerca, nonché per la crescita, puramente e semplicemente, delle dimensioni degli apparati sperimentali).

La costituzione nel 1945 del Centro di Studio per la fisica nucleare e delle particelle elementari del CNR, con sede presso l'Istituto di Fisica dell'Università di Roma, è un primo passo; seguiranno negli anni successivi gli analoghi centri di Padova, Torino e Milano, che insieme a Roma formeranno il nucleo intorno al quale prenderà forma tra il 1951 e il 1952 l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, di cui Gilberto Bernardini sarà il primo presidente. In misura diversa, e pur continuando a dedicare attenzione al settore della fisica nucleare propriamente detta, le quattro sedi sposteranno sempre più la propria attività in direzione della ricerca sui raggi cosmici, l'unico terreno che consente ancora di ottenere con relativa povertà di mezzi risultati rilevanti. È un campo di ricerca in cui la fisica italiana vanta una solida tradizione, la cui eredità è ora messa alla prova in condizioni particolarmente difficili. La creatività dei fisici italiani trova diverse maniere di esprimersi, dall'invenzione di nuove tecniche di rivelazione delle particelle, magari realizzate grazie all'utilizzo ingegnoso di materiale elettronico di scarto, fino all'invenzione di argomenti persuasivi atti a convincere gli industriali del biellese a tirare fuori i finanziamenti necessari per realizzare un laboratorio in alta quota per lo studio della radiazione cosmica. La capanna costruita nel 1947 alla Testa Grigia sopra Cervinia sarà per vari anni un punto di incontro di ricercatori provenienti dalle differenti sedi, un luogo in cui si comincia a sperimentare una inedita dimensione collaborativa della ricerca.

"Collaborazione" è un termine che prende ora un significato nuovo. Non si tratta più semplicemente della naturale disposizione degli scienziati a discutere le proprie ricerche Alfonso Sella, titolare della prima Cattedra di Fisica Complementare dell’Università di Roma, istituita nel 1899.nell'interazione intellettuale con altri colleghi, o dello scambio e del confronto di risultati tra diversi laboratori. Per la prima volta nella storia, la scala delle esperienze da realizzare richiede che si mettano in comune risorse e competenze di diversi gruppi di ricerca, spesso di differenti paesi. Nel corso dei primi anni Cinquanta, i fisici delle diverse sezioni dell'INFN partecipano ad alcune di queste collaborazioni internazionali, che ottengono brillanti risultati sulle proprietà della radiazione cosmica e sulla classificazione delle particelle elementari. E sempre più, nell'ambito di questi sviluppi, emerge la difficoltà (per i fisici italiani, ma più in generale per la ricerca dei vari paesi europei) di reggere il passo con i laboratori americani, dove la disponibilità delle nuove grandi macchine acceleratrici sta scavando un solco sempre più difficile da colmare. Esemplare al riguardo la vicenda della scoperta dell'antiprotone, sfiorata dal gruppo romano di raggi cosmici diretto da Amaldi, che inizia quindi una collaborazione con il gruppo di Emilio Segrè a Berkeley volta alla conferma del risultato, conferma che si avrà solo dopo che la prova definitiva dell'esistenza dell'antiprotone sarà già stata ottenuta dal gruppo di Segrè in un esperimento fatto al grande acceleratore del laboratorio.

La coscienza del divario sempre più accentuato tra i mezzi a disposizione dei fisici americani e quelli dei singoli gruppi di ricerca europei è alla radice del progetto di uno sforzo unitario, che si realizzerà nel corso degli anni Cinquanta portando alla creazione del CERN, nel 1954, e alla realizzazione di un grande laboratorio europeo a Ginevra in cui entra in funzione nel 1959 il più potente protosincrotrone del mondo. Tra i principali promotori del nuovo laboratorio è Edoardo Amaldi, che guida la partecipazione italiana al progetto giocando una delicata partita di politica scientifica, in cui l'impegno nell'impresa europea è complementare ad un'analoga iniziativa su scala nazionale. In singolare coincidenza con i tempi del CERN, nel 1954 l'INFN mette in cantiere la realizzazione di un laboratorio nazionale, e nel 1959 entra in funzione a Frascati l'elettrosincrotrone italiano, una brillante macchina acceleratrice con cui si corona l'antico progetto di Fermi di un istituto italiano di fisica adeguatamente dotato di mezzi e di strumentazione.

La scelta di Frascati come sede del laboratorio nazionale arrivò al termine di un complicato processo in cui si dovettero superare non poche difficoltà; essa rispondeva comunque ad una logica generale che vedeva concentrate al nord le attività più legate agli sviluppi del nucleare applicato, riservando così all'area romana il laboratorio dedicato alla ricerca fondamentale. La costruzione del sincrotrone, affidata a una speciale sezione diretta da Giorgio Salvini, fu un'impresa complessa e del tutto inedita per l'Italia, in cui furono positivamente messe alla prova competenze strettamente scientifiche e capacità di progettazione e di produzione industriale.

Se non altro per ovvi motivi geografici, l'ambiente scientifico romano fu particolarmente coinvolto nel progetto. A Roma in quegli anni riprese vivacità la fisica teorica, dopo che se ne erano andati prima Giancarlo Wick e poi Bruno Ferretti, in Franco Rasetti al congresso della Società Italiana per il Progresso delle Scienze del 1937.particolare con l'arrivo di Bruno Touschek, un fisico di origine austriaca. E fu grazie a un'idea di Touschek che decollò, subito dopo l'entrata in funzione del sincrotrone, un progetto che ha fatto voltare una pagina nella storia della fisica delle alte energie: l'ideazione di una nuova concezione di macchine acceleratrici (gli anelli di accumulazione), in cui un fascio di particelle e uno delle relative antiparticelle circolano nello stesso anello in versi opposti e vengono fatti collidere frontalmente. Il primo prototipo, AdA, era un anello per elettroni e positroni di circa due metri di diametro, e fu realizzato nel corso del 1960. Fu seguito da un vero grande acceleratore, Adone, che è stato il capostipite di tutta una generazione di macchine acceleratrici, di energie molto più elevate e in grado di lavorare con protoni oltre che con elettroni, ispirate al medesimo principio. Con un'enfasi più che giustificata, si è parlato, a proposito dell'ideazione di queste macchine e della fisica che esse permettono di studiare, di una «via italiana alle alte energie». Certamente queste realizzazioni possono essere viste come il punto di approdo di una strada che parte da lontano, seguendo il filo dell'immaginazione e della creatività intellettuale e insieme tenendo la rotta del terreno istituzionale, che solo consente all'immaginazione e alla creatività di esprimere le loro potenzialità.

Note

[1] Volterra 1918.

[2] Lettera di P. Blaserna a V. Volterra, Roma, 13 giugno 1910, Accademia Nazionale dei Lincei, Archivio Volterra, serie I, fasc. Blaserna.

[3] Lettera di S. Cannizzaro a V. Volterra, dicembre 1906, Accademia Nazionale dei Lincei, Archivio Volterra, Corrispondenza, fasc. Cannizzaro.

[4] Paoloni 1990, p. 53.

[5] Fermi 1962, p. 548.

[6] Amaldi 1997, pp. 78-79.

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