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Le sfere celesti cristalline

Il matematico Eudosso di Cnido (IV sec. a.C.) concepì una serie di modelli geometrici per spiegare i complessi moti dei pianeti rispetto alla Terra, ritenuta immobile al centro dell'Universo. Ciascun modello impiegava tre o quattro sfere concentriche alla Terra, ruotanti uniformemente l'una dentro l'altra. Callippo di Cizico (IV sec. a.C.) rese tali modelli più fedeli ai fenomeni osservati elevando il numero delle sfere fino a quattro o cinque per pianeta.

I modelli di Eudosso e di Callippo erano probabilmente mere costruzioni geometriche. Tuttavia, quando disegnò l'architettura fisica del Cosmo, il filosofo Aristotele (384-322 a.C.) pensò di riunire proprio questi modelli in un'unica macchina celeste. Il movimento si propagava per contiguità dalle regioni esterne del Mondo verso quelle interne, smorzandosi progressivamente. Iniziava dalla più alta e veloce sfera delle stelle, si comunicava nell'ordine alle sfere di Saturno, di Giove, di Marte, di Mercurio, di Venere e del Sole, e giungeva infine alla più bassa e lenta sfera della Luna. Per collegare fra loro i singoli modelli di Eudosso e di Callippo, Aristotele introdusse un consistente numero di sfere aggiuntive fino a raggiungere il numero complessivo di 55 (Metaphysica, XII, 8). Tutte le sfere celesti erano costituite di una materia cristallina ingenerata, eterna, incorruttibile, imponderabile, perfettamente trasparente (De Caelo, II, 1) - l'etere, o quintessenza - ben diversa dagli altri quattro elementi che componevano il mondo sublunare pesante e corruttibile: terra, acqua, aria e fuoco.



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