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Bonifiche in Toscana

Bonifiche in Toscana

Il paesaggio costiero della Toscana dell’età medicea, dal fiume Magra a Livorno, dalle colline di Rosignano al confine con lo Stato Pontificio, era diffusamente caratterizzato da paludi, stagni, acquitrini e lagune dovute alla difficoltà di regolamentare il deflusso delle acque per la poca pendenza verso il mare e la presenza dei tomboli e delle dune che creavano difficoltà di scolo dei terreni. Anche all’interno i bacini palustri occupavano molta superficie. Basti pensare alle paludi di Chiusi e Montepulciano, a quella di Fucecchio e al grande lago di Bientina.

Canale dei Navicelli da Tirrenia verso Pisa.
Le politiche medicee

In questo settore la politica medicea fu estemporanea in quanto non seguì un programma organico di bonifiche. Gli interventi erano occasionali, volti a fronteggiare le calamità naturali e spesso legati agli interessi del sovrano per migliorare le condizioni delle aree dove si trovavano fattorie o peschiere granducali. Con questi lavori, dunque, si volevano attuare politiche di sfruttamento che avevano lo scopo di incrementare l’agricoltura, il pascolo, la pesca e la caccia. Furono tuttavia realizzate anche significative opere idrauliche, in particolare lungo il corso dell’Arno che costituiva la più importante via d’acqua del Granducato. Fra gli interventi di grande efficacia sotto il profilo della comunicazione deve certamente essere segnalato lo scavo del Canale dei Navicelli che collegava il porto di Livorno con l’Arno presso Pisa.

 

Ai Medici si deve, inoltre, l’istituzione di appositi centri di controllo periferici, come l’Ufficio dei Fiumi e Fossi di Grosseto, istituito nel 1592 dal Granduca Ferdinando I, che costituì il più importante provvedimento adottato per porre rimedio alla precarietà idraulica della zona. Per la prima volta il sovrano delegava ad un ente periferico locale il coordinamento, il controllo e l’individuazione delle iniziative di bonifica in una provincia scarsamente popolata e perennemente devastata dalle scorrerie di bestiame brado, che causavano la sistematica distruzione di qualsiasi manufatto idraulico.

 

A partire dal Cinquecento il sistema di bonifica prevalentemente adottato nel Granducato era quello per colmata, che consisteva nel rialzare il livello di un terreno paludoso sino alla pendenza necessaria a favorire lo scolo naturale. Di bonifiche e problemi idraulici di questo tipo si era occupato Leonardo da Vinci, che per alcuni aspetti può essere ritenuto il padre della moderna scienza idraulica. Problemi analoghi attirarono successivamente l’attenzione di scienziati come Galileo Galilei, Benedetto Castelli, Giovanni Alfonso Borelli, Vincenzo Viviani e Vincenzo Manetti.

Casa Rossa di Leonardo Ximenes, Castiglione della Pescaia.
Le politiche lorenesi

La decisa politica di bonifica attuata dai Lorena fu una evidente manifestazione della loro volontà di rendere visibile la presenza dello Stato anche attraverso la realizzazione di opere di interesse pubblico. Gli interventi attraversarono tre diverse fasi divenendo sempre più organici. Durante i primi anni fu proseguito il tipo di bonifica estemporaneo dei Medici. A partire dalla metà del Settecento, per impulso del granduca Pietro Leopoldo, si sviluppò un importante dibattito intorno ai problemi idraulici del territorio e si iniziò a concepire la bonifica come ambientale. Furono così recuperate all’agricoltura e all’insediamento umano vaste zone con importanti mezzi tecnici e finanziari. Dalla prima metà dell’Ottocento la bonifica diventò civilizzatrice in quanto acquisì lo scopo di risollevare intere aree particolarmente arretrate, creò posti di lavoro e fu motivo di nuova fiducia nei proprietari agricoli di queste zone.

 

Con le bonifiche ambientale e civilizzatrice il governo attuò, quindi, una politica volta a interessare tutta la popolazione, mettendo in atto progetti di bonifica integrale con i quali si intendeva recuperare quasi tutti i comprensori degradati in modo da assicurarne l’incremento demografico e lo sviluppo economico. Per questo scopo furono incaricati valenti ingegneri fra cui vanno ricordati Leonardo Ximenes, Tommaso Perelli, Pietro Ferroni, Vittorio Fossombroni, Alessandro Manetti, Giuseppe Ruggero Boscovich, Eustachio Zanotti e Lorenzo Nottolini.

 

Particolarmente significativi furono gli interventi messi in atto, sotto Leopoldo II, nella Maremma settentrionale, nel Valdarno Inferiore e in Valdichiana. Con l’impiego delle tecnologie più sofisticate e con grandi risorse umane ed economiche si riuscì gradualmente a dare una svolta decisiva nella sistemazione idraulica di questi difficili territori.

Idrovore, Lago di Massaciuccoli, Massarosa.
Gli interventi nel Novecento

All’indomani dell’Unità d’Italia si registrò un sostanziale disinteresse da parte degli organi politici e amministrativi del nuovo Stato. Le opere che erano state iniziate dall’ultimo granduca lorenese, in particolare nella Maremma grossetana, nelle pianure pisane e in Valdinievole, ripartirono tra le due guerre mondiali con nuovo impulso, grazie all’installazione di macchine idrovore più potenti. Infine, nell’immediato periodo postbellico si registrò il progressivo completamento delle bonifiche e il prevalente uso dei terreni per uno sfruttamento agricolo intensivo.

 

Oggi con l’istituzione di riserve e parchi naturali si intende salvaguardare le preziose oasi palustri; al tempo stesso, i vari consorzi di bonifica garantiscono una efficace opera di manutenzione idraulica dei vari comprensori della Toscana.

Chiusa dei Monaci, Ponte a Chiani, Arezzo.
Bonifiche in Valdichiana

«Qual dolor fora, se de li spedali

di Valdichiana tra ‘l luglio e ‘l settembre

e di Maremma e di Sardigna i mali

fossero in una fossa tutti ‘nsembre,

tal era quivi, e tal puzzo n’usciva

qual suol venir de le marcite membre».

[Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno – XXIX, 46-51]

 

«poi ch’è tanto di là da nostra usanza,

quanto di là dal mover de la Chiana

si move il ciel che tutti li altri avanza».

[Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso – XIII, 22-24]

 

In questi versi di Dante Alghieri la Valdichiana è ricordata come luogo malsano e desolato. Sebbene l’area abbia visto tentativi di bonifica da parte degli Etruschi e dei Romani, è di origine medievale la più antica testimonianza materiale di un intervento idraulico. Si tratta della Chiusa dei Monaci, costruita intorno al 1151 con la funzione di regolamentare il deflusso delle acque dell’area paludosa della Valdichiana verso l’Arno. Più volte travolta dalle piene, ricostruita e modificata nel corso dei secoli, oggi la struttura – inserita nel Parco della Chiusa dei Monaci, ubicato nella parte terminale del Canale Maestro della Chiana – sta a testimoniare l’intervento lorenese in Valdichiana. É tuttavia l’intero bacino ad aver impegnato menti illustri che vi hanno dato pareri o presentato progetti. Caratteristici sono alcuni edifici che risalgono al periodo delle bonifiche granducali come, ad esempio, l’imponente complesso colonico di Rugliano, costruito nel Settecento su un precedente insediamento romano e visitabile lungo un affascinante itinerario che da Pieve al Toppo porta a Viciomaggio attraverso la statale 73 senese-aretina.

Riserva Naturale Padule di Fucecchio presso Anchione, Barchino palustre, Ponte Buggianese.
Bonifiche nel Valdarno Inferiore

Lungo il bacino inferiore dell’Arno si trovano due grandi aree che sono state oggetto di significativi interventi idraulici. Nella zona di Fucecchio è stata istituita la Riserva Naturale del Padule di Fucecchio che tutela ciò che è rimasto dell’antico lago-padule, promuovendo al tempo stesso itinerari didattici di tipo naturalistico e storico-ambientale. Lungo il canale dell’Usciana, emissario principale del lago, si trova la chiusa di Ponte a Cappiano, bella e significativa testimonianza che sostanzialmente conserva ancora oggi l’impianto voluto da Cosimo I de’ Medici. Efficaci interventi di bonifica dell’area furono realizzati nel periodo lorenese con il Granduca Pietro Leopoldo e, successivamente, con Leopoldo II. Al 1860 risale un progetto di completo prosciugamento del padule, per fortuna mai realizzato, mentre gli ultimi interventi di bonifica risalgono al 1931.

 

Poco distante dal padule di Fucecchio si trova il bacino di Bientina, in passato noto anche come lago di Sesto. In parte sotto il controllo di Lucca e in parte sotto quello del Granducato di Toscana, rappresentava in passato il più grande lago della Toscana. La storia della bonifica dell’area è ancora oggi documentata, oltre che da vari canali, dall’elegante edificio delle cateratte edificate su progetto di Leonardo Ximenes a partire dal 1757 lungo un canale, oggi interrato, e dalla cosiddetta botte (un canale sotterraneo lungo 255 metri) costruita sotto l’alveo dell’Arno da Alessandro Manetti poco dopo la metà dell’Ottocento.

Ponte Giorgini (1930). Sullo sfondo Castiglione della Pescaia.
Bonifiche dell'area costiera

Lungo la costa, da nord a sud, era un susseguirsi di zone umide. Nella parte meridionale della Versilia troviamo il lago di Massaciuccoli. In passato aveva una estensione maggiore, comprendendo anche un’ampia area paludosa. Soltanto nel Novecento furono bonificate vaste zone che oggi rientrano nel parco naturalistico di Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli. Il parco si estende lungo la costa dalla parte meridionale di Viareggio fino al Canale dei Navicelli, includendo al suo interno le foci dei fiumi Serchio e Arno, le zone umide di Tirrenia e di Calambrone e la tenuta di Coltano. L’insieme è caratterizzato da pinete, da boschi con la tipica macchia mediterranea, da depressioni umide e da dune.

 

A sud di Livorno troviamo altre zone umide che rientrano nella Maremma settentrionale, nota anche come Maremma pisana, che per quasi un millennio ha impegnato valenti idraulici. Dall’area paludosa di Vada alla pianura di Cecina e Bibbona, dalla zona umida del Rifugio faunistico del padule di Bolgheri al bonificato lago di Rimigliano, dall’ex lago di Piombino al padule di Scarlino è un succedersi di luoghi che testimoniano la lunga stagione degli interventi idraulici.

 

Entriamo così nella Maremma grossetana, per secoli l’area paludosa della Toscana più difficile dal punto di vista del risanamento ambientale. La zona era caratterizzata dalla presenza del grande lago di Castiglione, la cui definitiva colmata fu attuata nella prima metà dell’Ottocento. Presso Castiglione della Pescaia è possibile visitare la Casa Rossa, imponente struttura costruita per controllare il deflusso del Canale Reale che consentiva il ricambio delle acque del lago. Oggi l’edificio, che ospita un museo multimediale, rappresenta il portale d’ingresso alla Riserva Naturale Provinciale Diaccia Botrona, una delle più significative aree umide europee. Lungo il fiume Bruna, in prossimità del mare, si trova il Ponte Giorgini, i cui meccanismi avevano lo scopo di evitare che le acque dolci del fiume e quelle salate del mare si mescolassero. Questo effetto, infatti, era considerato una delle cause principali della malaria.

 

Fra Castiglione della Pescaia e Grosseto si trovano altre opere idrauliche lorenesi, come il ponte Tura realizzato nel 1829 sul fiume Ombrone. Ancora più a sud si trova il Parco dell’Uccellina che costituisce una fra le numerose e suggestive riserve naturali della provincia di Grosseto. A nord dell’Ombrone si trova la Palude della Trappola, ciò che rimane di un’ampia area umida bonificata per volere di Leopoldo II. Un sistema di canali attraversa sia la palude, sia la pineta, fatta piantare nella prima metà dell’Ottocento dal Granduca per proteggere le coltivazioni retrostanti. Infine, giunti quasi al confine con il Lazio, il lungo itinerario costiero toscano si chiude con la laguna di Orbetello, uno straordinario esempio di ecosistema nel quale convive fauna ittica marina e d’acqua dolce, e con la riserva naturale del lago di Burano, un suggestivo rifugio faunistico.

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Scheda a cura Graziano Magrini

Data aggiornamento 22/gen/2008