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  • Erodoto. Busto con testa di età romana del II sec. d.C., copia di un originale greco, Chiesa di Santa Maria Maggiore, Firenze.zoom in altra finestra
  • Ritratto di Erodoto, particolare del profilo. Busto con testa di età romana del II sec. d.C., copia di un originale greco, Chiesa di Santa Maria Maggiore, Firenze.zoom in altra finestra

Chiesa di Santa Maria Maggiore

Di fondazione sicuramente anteriore all’XI secolo, Santa Maria Maggiore è una delle chiese fiorentine più cariche di storia. L’edificio conobbe una fase romanica di cui rimane ancora chiaramente leggibile il campanile, nel quale sono inseriti anche marmi romani di spoglio. L’interno si presenta con le forme gotiche assunte nel rifacimento del XIII secolo, allorquando la chiesa passò sotto la tutela dei Vallombrosani. L’impianto, di tipo cistercense, è a tre navate divise da archi a tutto sesto, mentre la zona presbiteriale termina con tre cappelle a fondo piano. L’aspetto che la chiesa presenta attualmente è frutto di un radicale processo di restauro realizzato agli inizi del XX secolo volto a restituire, tramite l’eliminazione delle sovrastrutture barocche, la veste gotica dell’edificio che, secondo il Vasari, sarebbe da attribuire ad un certo Maestro Buono. Tra le numerose opere d’arte che impreziosiscono l’area presbiteriale e le cappelle laterali si segnala un bassorilievo ligneo policromo raffigurante la Madonna con bambino, tradizionalmente attribuito alla scuola di Coppo di Marcovaldo, ma che secondo recenti ipotesi potrebbe costituire uno dei rarissimi esempi di pittura medio bizantina a Firenze.

L’interesse che la chiesa di Santa Maria Maggiore riveste per la storia della scienza è legato al monumento commemorativo di Salvino degli Armati, a lungo ritenuto erroneamente l’inventore degli occhiali. L’origine di questa leggenda affonda le sue radici nello spirito campanilistico della Firenze del XVII secolo. Tutto ebbe origine con la Lettera intorno all'invenzione degli occhiali composta da Francesco Redi nel 1678, nella quale l’erudito aretino pubblicò parte di un sermone che il frate Giordano da Rivalto tenne, nel 1305, dal pulpito della chiesa di Santa Maria Novella. Il religioso di origine pisana aveva affermato che erano appena trascorsi vent’anni dall’invenzione degli occhiali, scoperta espressamente elogiata dallo stesso come una delle più utili al mondo. Sulla scorta di questo limite cronologico il Redi giunse a stabilire che gli occhiali furono ideati in Toscana negli anni a cavallo tra il XIII e il XIV secolo. A distanza di sei anni da questo saggio l’antiquario fiorentino Ferdinando Leopoldo del Migliore, animato da grande amor di patria, vide nella notizia una ghiotta opportunità per accrescere le glorie della propria città. Nel celebre sermone, infatti, Giordano da Rivalto aveva anche sostenuto di aver conosciuto personalmente l’inventore, un personaggio di cui però non aveva rivelato il nome. Del Migliore, quindi, doveva soltanto dar vita a una figura storica plausibile che potesse interpretare il ruolo del misterioso scopritore. Grazie ad una accurata conoscenza della storia delle principali famiglie fiorentine, identificò in Salvino d’Armato degli Armati il candidato ideale. La stirpe degli Armati, infatti, era estinta da tempo e i suoi monumenti funebri, originariamente conservati a Santa Maria Novella, erano andati distrutti da secoli. Non ebbe, quindi, grande difficoltà ad affermare nella sua Firenze città nobilissima illustrata (1684) che la lastra funeraria di Salvino d’Armato, sulla quale l’uomo era espressamente ricordato come «inventor degli occhiali», era rimasta visibile nella chiesa di Santa Maria Maggiore sino a pochi anni prima. La scelta di questa chiesa, oltre ad essere motivata dalla vicinanza con le case degli Armati (il cui nome sopravvive ancor oggi in quello di una stretta viuzza non lontana), era dovuta anche al fatto che l’edificio era stato soggetto, nella prima metà del XVII secolo, a radicali lavori di restauro che giustificavano facilmente la perdita della tomba. A prova della sua asserzione Del Migliore citava un fantomatico Sepoltuario antico, da lui posseduto in un’unica copia e mai visto da altri, nel quale l’epigrafe era riportata per esteso come segue:

QUI DIACE SALVINO D’ARMATO DEGL’ ARMATI DI FIR.
INVENTOR DEGL’ OCCHIALI DIO GLI PERDONI LA PECCATA
ANNO D.MCCCXVII.

Tanta era stata l’abilità con cui Del Migliore aveva costruito questa impostura storica, sfruttando sapientemente i dati oggettivi ricavati dalle pubblicazioni precedenti, che non stupisce come a distanza di oltre cinquant’anni uno studioso accorto, anche se non meno amante delle glorie fiorentine, quale Domenico Maria Manni abbia confermato appieno la notizia giungendo a comporre un’opera dal titolo Degli occhiali da naso inventati da Salvino Armati (1738), la cui fortuna nella Firenze dell’epoca è confermata dalle due edizioni che del trattato furono stampate. Nonostante alcune sporadiche critiche, come quelle espresse dal Tempesti nel 1787, da Canovai nel 1791 e da Cantini nel 1796, possiamo affermare che la communis opinio del mondo scientifico del tempo riconosceva senza ombra di dubbio in Salvino degli Armati l’inventore degli occhiali. A suggello di questa ormai diffusa credenza, nel 1841, a un secolo dall’opera del Manni che maggiormente aveva contribuito al consolidarsi del mito di Salvino, fu eretto in Santa Maria Maggiore un monumento che eternasse la ritrovata gloria cittadina, collocando nel chiostro della chiesa un’epigrafe che riportava fedelmente il testo citato da Del Migliore, sormontato da un busto con una testa di età romana del II sec. d.C. In questa austera figura barbata, in realtà una replica del ritratto greco dello storico Erodoto, si volle identificare il volto del geniale inventore a lungo rimasto all’ombra della storia. L’abile mistificazione di Leopoldo del Migliore resse sino alla metodica analisi filologica che dell’epigrafe fu fatta da Isidoro del Lungo negli anni Venti del Novecento. Evidenti anomalie linguistiche, come il termine "inventor" ignoto al volgare della prima metà del XIV secolo, dimostrarono la scarsa affidabilità documentaria dell’iscrizione, alla quale si aggiunse l’impossibilità di trovare conferma all’esistenza storica di un Salvino degli Armati morto nel 1317 in altri documenti dell’epoca. Fu così che ebbe inizio una sistematica demolizione del mito creato da Leopoldo del Migliore condotto da studiosi come Giuseppe Albertotti ed Edward Rosen, di cui fece le spese anche il monumento eretto a Santa Maria Maggiore. Già alla fine dell’Ottocento la secolarizzazione del chiostro della chiesa, occupato da una scuola che prese il nome proprio da Salvino, aveva comportato un primo spostamento della struttura nella cappella a destra del presbiterio. In questa occasione l’epigrafe originaria era stata sostituita da una replica nella quale il grossolano errore di "la peccata", forma non attestata nell’italiano medievale, era stato corretto con "le peccata". In seguito allo smascheramento dell’impostura operato da Isidoro del Lungo, il monumento divenne motivo di imbarazzo anche per le autorità locali, che sin dagli anni Venti del Novecento ne promisero il rapido smantellamento. Fortunatamente non tutto andò distrutto: l’epigrafe, murata in un angolo nascosto della cappella di sinistra, e la testa di Erodoto, conservata nella sacrestia della chiesa, rimangono infatti ancor oggi a testimoniare questo singolare episodio della cultura scientifica fiorentina di età barocca.

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Scheda a cura di Elena Fani

Data aggiornamento 16/apr/2009