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Pescaia di Santa Rosa - Arno

La pescaia è uno sbarramento artificiale del fiume che consentiva un'opportuna canalizzazione per convogliare l'acqua da sfruttare per produrre energia per gli opifici idraulici. La pescaia di Santa Rosa era collocata nella zona del parco delle Cascine (l'altra grande pescaia fiorentina era quella di San Niccolò, situata nella zona dell'omonima porta). Essa apportava l'acqua a una gualchiera fuori dalla città. Oggi è ancora possibile vederne la struttura.

Le complesse caratteristiche dell'Arno sono state spesso oggetto di studio per cercare di risolvere, o quanto meno di arginare, i problemi posti periodicamente dalle sue acque. Nel 1631 Galileo Galilei presentò una relazione in forma di lettera al Granduca Ferdinando II, in merito alla proposta di Sigismondo Coccapani di trasformare l'Arno in canale, rendendolo navigabile dalla foce fino a Firenze e liberando le campagne dalle frequenti inondazioni. L'idea non era nuova, essendo già stata avanzata nel 1458, durante la Repubblica Fiorentina. Ai tempi di Ferdinando I, inoltre, Antonio da Sangallo aveva disegnato la possibile canalizzazione dell'Arno da Livorno alle Chiane e al Tevere.

Pochi giorni prima della relazione di Galileo, il Coccapani aveva ottenuto il cosiddetto “privilegio”, la licenza che lo autorizzava a realizzare l’opera. L’approvazione di Galileo avrebbe permesso all’architetto di ottenere gli aiuti finanziari indispensabili per l’avvio dei lavori. Galileo espresse giudizio positivo in merito al progetto del Coccapani, pur sottolineando l’annosità delle opere necessarie alla realizzazione. Tuttavia, per molte ragioni, tra cui in primo luogo la condanna di Galileo, il progetto non venne mai messo in opera. Dopo pochi mesi, il Coccapani scrisse allo scienziato pisano avvertendolo che nessuno gli aveva fornito aiuto per rilevare la pianta e il livello dell'Arno e per realizzare un modello del progetto, pregandolo di intervenire presso i suoi nemici e detrattori.

L'Arno fu spesso preso come esempio negli studi sulla velocità delle acque dei fiumi compiuti da Galileo e da Benedetto Castelli, che da Roma, esprimeva anche il suo desiderio di tornare a Firenze e di mangiare «più volentieri i pesciolini d'Arno che i storioni del Tevere».

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Scheda a cura di Graziano Magrini

Data aggiornamento 18/gen/2008