Villa Romana di Massaciuccoli
Alle pendici del monte Aquilata, sul lato prospiciente il lago di Massaciuccoli, si ergono i ruderi di un'antica villa romana di I secolo d.C., attribuita alla famiglia pisana dei Venulei, il cui nome compare su una tubatura in piombo che riforniva la villa d'acqua. Le prime notizie relative alla villa risalgono all'anno 874 quando, in occasione di una permuta di beni, viene redatto un documento in cui è citato un "muro que dicitur antiquus". Ad eccezione di alcuni riferimenti presenti nelle Cronache di Lucca, risalenti al 1472, si dovrà, però, aspettare il secolo XVIII perché, insieme alla comparsa di descrizioni più dettagliate del luogo corredate da piante e disegni, inizino le prime campagne di scavo. Le ricerche archeologiche, purtroppo scarsamente documentate, condotte nel 1756 dietro l'abside della Pieve di San Lorenzo riportarono in luce almeno due vani dotati rispettivamente di pavimentazione in opus sectile (composizione di pietre colorate di varie forme e dimensioni) e di pavimentazione musiva a tessere bianche e nere di cui esiste una riproduzione su tela, opera di un anonimo del Settecento, attualmente conservata nel Museo Nazionale di Villa Guinigi a Lucca. Negli stessi resoconti di scavo è inoltre citata una "vasca" scavata nell'arenaria alimentata da due fistule di piombo.
Grazie a scavi più recenti, come quello di Antonio Minto del 1920, e ai saggi del 1991-92, si è potuto vedere che il monumento si articola su due terrazzi variamente rimaneggiati nel corso del tempo. Particolare interesse dal punto di vista scientifico hanno sempre suscitato le strutture che costituiscono il cuore di questo monumento. Minto era propenso a riconoscervi la parte centrale di un edificio termale interpretando l'ambiente rettangolare con vasca come un frigidarium e il vano absidato a nord della stessa sala come ambiente per la calida lavatio. Una recente ipotesi proporrebbe, invece, di vedere nei tre ambienti un "triclinio-ninfeo" secondo uno schema caro all'architettura di epoca neroniana e flavia. Il ninfeo avrebbe ricevuto l'acqua da un impianto, già identificato da Minto come castellum, ubicato tra i due terrazzi. Un ulteriore vano, completamente occupato da una vasca in marmo bianco dotata di tre scalini, fu interpretato da Minto come luogo per la calida lavat io, per la presenza di un ambiente sotterraneo vuoto dotato di suspensurae (pilastrini in cotto che sorreggevano il pavimento in modo tale che vi circolasse sotto l'aria calda) e di un vano centrale per l'alloggiamento del forno. Una recente proposta identificherebbe, invece, la sala con una sudatio per il confronto con strutture analoghe presenti nella villa di Domiziano a Sabaudia e nella villa di Adriano a Tivoli. A questo si aggiunga l'inserimento di una lastra di piombo nella zona del pavimento maggiormente soggetta al calore, accorgimento adottato anche nel complesso termale di Tivoli.
Oggi i resti monumentali di questi ambienti si stagliano su un panorama di grande impatto visivo.
Ai piedi del rilievo su cui si erge la villa, fin dagli anni Trenta fu individuato un ulteriore edificio. Interpretato come una mansio, ossia una stazione di sosta, per la presenza di una serie di vani prospicienti un cortile e collegati tramite un corridoio ad un ambiente termale, di cui si può ancora ammirare un bel mosaico composto da tessere bianche e nere, era probabilmente gestita dai proprietari della villa stessa, caso non insolito nella struttura economico-sociale del periodo.
Il complesso è stato recentemente inglobato in una moderna struttura in legno, metallo e vetro che, grazie alla presenza di passerelle, permette di visitare tutti gli ambienti ripercorrendo le tappe storiche della formazione della villa attraverso l'esposizione dei reperti più significativi in essa ritrovati.
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Scheda a cura di Elena Fani
Data aggiornamento 20/feb/2008