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Eugenio Montale - 1975
letteratura   

Eugenio Montale - 1975
Genova  1896 - Milano  1981

motivazione

Per la sua caratteristica poetica grazie alla quale ha interpretato, con grande sensibilità artistica, i valori umani sotto il segno di una concezione della vita senza illusioni.


biografia

Trascorse l'infanzia e l'adolescenza tra Genova e Monterosso, compiendo studi irregolari per la salute malferma e manifestando precocemente una forte passione, oltre che per la letteratura e la poesia, anche per il canto. Dopo la guerra strinse rapporti a Genova con Camillo Sbarbaro e col gruppo torinese antifascista di Piero Gobetti. Nel 1926 conobbe Umberto Saba e il poeta americano Ezra Pound, prestando da allora viva attenzione alla letteratura anglosassone. Nel 1927 ottenne un impiego a Firenze presso la casa editrice Bemporad. Nel '29 fu nominato direttore del Gabinetto Scientifico-letterario Vieusseux, incarico dal quale verrà esonerato nel ‘38, avendo rifiutato di iscriversi al Partito Fascista.

Finita la guerra, s’iscrisse al Partito d'Azione, fondando, con Bonsanti e Loira, il quindicinale “Il Mondo”. All'inizio del '48 si trasferì a Milano, lavorando al “Corriere della Sera” e al “Corriere d'Informazione”. Ricevette successivamente prestigiosi riconoscimenti, che culminarono, nel 1967, nella nomina a Senatore a vita e, nel 1975, nel Nobel per la Letteratura.


scheda di mostra

Ligure e riservato, come tradizionalmente gli uomini e le donne della sua terra, Eugenio Montale ha segnato con la sua poesia tutto il Novecento letterario. Educatosi fin dalla giovinezza allo «scabro ed essenziale» che gli insegnano il mare e i suoi ciottoli «mangiati dalla salsedine», cerca nelle prime tre collezioni – Ossi di seppia, Le occasioni e La bufera e altro – «il male / che tarla il mondo», ma si ritrova nell’immobilità, nell’estraneità, nell’incomprensione che costituiscono i momenti e i temi del “romanzo” della sua prima fase.

Si prefigge come compito fondamentale quello di «torcere il collo ... all’eloquenza della ... vecchia lingua aulica» italiana: lo realizza scegliendo le cose e gli oggetti e improntando la sua poesia alla «laconicità verbale», lodata – insieme alla «visione matura e razionale», alla «rassegnazione» che però mantiene un «lampo di fiducia» nella continuità della vita – dall’Accademia di Svezia nel conferirgli il Nobel nel 1975.

Giunto alla vecchiaia come maestro, anche morale, dell’Italia lacerata dal fascismo, dalla guerra e dal conflitto delle ideologie, Montale (come recita il discorso di presentazione) «si lascia andare e critica la realtà contemporanea con una tendenza quasi antipoetica». Le distese, ironiche rivisitazioni della propria opera e del mondo contemporaneo, da Satura al Diario del ’71 e del ’72, da Quaderno di quattro anni al Diario postumo, consegnano ai posteri l’immagine di un poeta vissuto al minimo: «Non sono Leopardi, lascio poco da ardere / ed è già troppo vivere in percentuale. / Vissi, non aumentate / la dose». Ma capace di inviare a noi «chiliasti» che abbiamo doppiato il Millennio la «valedizione» suprema: «Amo la terra, amo / Chi me l’ha data / Chi se la riprende».


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