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Guglielmo Marconi - 1909Bologna 1874
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Roma 1937
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testo di catalogo
di Raffaella Simili
«Questa sera conferiamo il Premio Nobel a due degli uomini che hanno massimamente contribuito allo sviluppo della telegrafia senza fili». Infatti, nonostante le straordinarie scoperte di Maxwell e di Hertz, «c’era bisogno di un uomo che fosse in grado di afferrare le potenzialità dell’impresa e che superasse tutte le varie difficoltà che stavano lungo la strada della realizzazione pratica dell’idea. L’adempimento di questo grande compito fu riservato a Guglielmo Marconi» (Hildebrand, in Nobel Lectures 1967, p. 20).
Così esordiva il 10 dicembre 1909 a Stoccolma H. Hildebrand, presidente della Reale Accademie delle Scienze, nella sua presentazione del conferimento del Premio Nobel in Fisica a Guglielmo Marconi, scienziato inventore imprenditore, ormai noto nel mondo da anni, un premio di cui Marconi ebbe a vantarsi in seguito essendo il primo Nobel assegnato in fisica a un italiano.
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Nel suo discorso Marconi volle mettere in luce le caratteristiche del suo “sistema” e le varie tappe del suo itinerario di ricerca fino a quella data, un itinerario che proseguì ininterrottamente fino al 1937, anno della sua morte. Nel raccontare di sé, Marconi chiariva che «non aveva mai studiato in modo regolare la Fisica e l’Elettrotecnica, per quanto da ragazzo [avesse] nutrito il più vivo interesse per questi argomenti» e si fosse tenuto «diligentemente al corrente di tutte le pubblicazioni di quel tempo relative ad argomenti scientifici comprendenti lavori di Hertz, Branly e Righi» (Marconi 1941, p. 165). L’unico maestro citato era il prof. Vincenzo Rosa di Livorno, del quale da giovanissimo non solo seguì un corso di conferenze sulla fisica, ma frequentò anche il laboratorio.
Fu com’è noto nel 1895 che Marconi intraprese nella sua casa nei dintorni di Bologna «delle prove e delle esperienze volte a stabilire se fosse possibile trasmettere a distanza per mezzo delle onde hertziane, segnali telegrafici e convenzionali, senza ricorrere alla connessione per filo» (Marconi 1941, p. 166). Proprio nel corso di queste prove egli si rese conto che occorreva un dispositivo nuovo «che non soltanto aumentasse notevolmente la distanza alla quale poter comunicare, ma sembrasse anche rendere la trasmissione indipendente dagli effetti degli ostacoli interposti» (Marconi 1941, p. 167).
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Sotto questo profilo, Marconi modificò la composizione delle polveri metalliche del coherer e vi apportò altre innovazioni, riuscendo in tal modo a costruire un rivelatore eccezionalmente sensibile e affidabile, in grado di aumentare considerevolmente la distanza raggiungibile a vista con la disposizione sperimentale già nota, portandola a qualche centinaio di metri.
Desideroso di raggiungere lunghezze d’onde sempre maggiori, Marconi collegò sia l’apparecchio ricevente sia l’emittente prima con la terra e poi anche con un filo verticale dalla terra. La seconda, a suo parere, fu certamente la più importante delle due innovazioni, sulla base della quale accrebbe fino a circa tre chilometri la distanza da cui un messaggio poteva essere mandato. Ecco la fondamentale invenzione di Marconi, “l’antenna”, intesa come sistema materiale adatto a lanciare e raccogliere onde elettromagnetiche: egli scoprì infatti che ricorrendo ad essa non solo si coprivano distanze sempre maggiori, ma anche che le onde così generate riuscivano a superare ostacoli naturali.
E, infatti, spiegava nel discorso pronunciato in occasione del conferimento del Premio Nobel, «io ritengo che sia impossibile realizzare un sistema pratico di telegrafia senza fili se gli strumenti non sono connessi alla terra. Con la parola “connessi alla terra” io non intendo necessariamente un’ordinaria connessione metallica come si usa per gli ordinari telegrafi con filo. Il filo di terra può essere in serie con un condensatore o può essere connesso a una superficie capacitativa posta in vicinanza della terra» (Marconi 1941, pp. 169-170).
Proprio su questa prima scoperta decisiva per l’avvenire della telegrafia senza fili, definendola «una delle più belle scoperte del nostro tempo» (Simili, in Guglielmo Marconi e l’Italia 1996, p. 12), tornò nel 1937 Quirino Majorana, direttore della Scuola italiana di telegrafia e oratore ufficiale nell’occasione della laurea ad honorem bolognese nel 1933.
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Un altro aspetto della geniale intuizione sperimentale di Marconi veniva sottolineato all’incirca negli stessi anni dall’ammiraglio-ingegnere Giuseppe Pession, secondo il quale il trasportare la propagazione delle onde elettromagnetiche da un laboratorio chiuso all’aperto era stato un vero e proprio salto concettuale in virtù del quale ebbe inizio un’era nuova di cui solo in seguito, attraverso l’elettronica e le sue varie fasi di sviluppo, si sarebbe vista la portata rivoluzionaria. In questo senso Marconi può dirsi oggi un innovatore, un pioniere di una modernizzazione della ricerca scientifica il cui avanzamento si realizzava altresì attraverso metodi e stili di lavoro inediti, sistemi di componentistica e progettazione, grandi laboratori all’aperto, nuovo ruolo dell’impresa, necessità di grandi impianti e un insostituibile lavoro di équipe.
Non stupisce pertanto il fatto che proprio un altro ingegnere, questa volta americano, Charles Süsskind, parecchi anni più tardi mettesse in luce come per trasformare una dimostrazione della potenzialità della radiotelegrafia in un sistema tecnologico e identificarne il mercato adatto, fu necessario aspettare il sistema di Marconi, «che compì il passo decisivo e combinò tutti questi elementi» (Simili, in Guglielmo Marconi e l’Italia 1996, p. 13).
Ebbene, per tornare all’Italia di quei tempi, non molto dissimile era il giudizio espresso dal senatore Orso Mario Corbino, direttore dell’Istituto di Fisica di Roma, Ministro della Pubblica Istruzione nel 1921 e dell’Economia Nazionale due anni dopo. Nel 1932, infatti, Corbino, nel trentesimo anniversario della prima trasmissione di segnali telegrafici senza fili fra l’Europa e l’America, la definì «un risultato memorabile nella storia della scienza e della civiltà». Un fenomeno che – ricordava ancora Corbino – fu addirittura ritenuto paradossale allorquando ci si accorse che le onde marconiane hanno un modo ben curioso di propagarsi in virtù del fenomeno della ionizzazione; esse sono «capaci cioè di girare secondo un cerchio perfino l’intera superficie della terra e di percorrerla anche più volte» (Simili, in Guglielmo Marconi e l’Italia 1996, pp. 14-15).
Anche uno dei “ragazzi” di via Panisperna, Enrico Persico, era del parere che il significato scientifico dell’opera di Marconi consistesse sostanzialmente in quella scoperta della ionosfera cui lo stesso Corbino accennava, giacché la fisica ad essa correlata offre altresì la possibilità di grandi progressi a scienze affini, come la fisica cosmica, la geodesia, ecc. (Simili, in Guglielmo Marconi e l’Italia 1996, p. 16). Pure Enrico Fermi insisteva sul nuovo e affascinante campo d’indagini relativo alle proprietà elettriche dell’alta atmosfera aperto da Marconi, senza tuttavia tacere delle grandiose possibilità che la propagazione delle onde elettromagnetiche nello spazio offriva per risolvere i problemi delle comunicazioni transoceaniche (Simili, in Guglielmo Marconi e l’Italia 1996, p. 17). radio.
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Molto si discusse della ionosfera e della curvatura della Terra fin dagli anni in cui Marconi spostò la sua attività a Londra, ove contava di lanciare l’invenzione su larga scala grazie anche agli appoggi della sua famiglia inglese. Col sostegno di W.H. Preece, direttore tecnico del Post Office, compì nuovi esperimenti che suscitarono l’interesse del governo, mentre nel 1897, con l’aiuto del cugino Henry Jameson e di commercianti di granaglie irlandesi, fondò la Wireless Telegraph and Signal Company – in seguito Marconi Wireless Telegraph Co. – che ebbe sede a Chelmsford, a nord di Londra. Nel 1900 brevettò un nuovo sistema di telegrafia accordata o sintonizzata e multipla su una sola antenna di nuovo tipo (il famoso brevetto 7777). A questo punto egli si mosse con decisione verso la realizzazione di trasmissioni transatlantiche: nel 1901 la S marconiana viaggiava dalla stazione di Poldhu in Cornovaglia a quella di S. Giovanni di Terranova attraversando una distanza di 3600 chilometri e realizzando la prima comunicazione transatlantica senza fili.
La fama di Marconi si accrebbe sempre più, acquistando nel tempo un sapore quasi prodigioso sia in virtù dei primi salvataggi in mare resi possibili dalla radio, sia per le sue successive mirabolanti imprese.
Nel 1897 Marconi aveva intensificato i rapporti con la Marina italiana, nella convinzione che il servizio radiotelegrafico interessasse principalmente il settore delle comunicazioni marittime. Alcuni anni dopo, cedette ai ministeri militari italiani e a quello delle Poste e Telegrafi l’uso gratuito dei suoi brevetti, in virtù del quale gli venne messa a disposizione per i suoi esperimenti la nave Carlo Alberto.
L’ingresso di Marconi nella vita politica nazionale avvenne con la sua nomina a senatore nel 1914, della quale fu artefice Francesco Saverio Nitti. All’entrata in guerra Marconi si arruolò immediatamente come ufficiale del Genio e, successivamente, passò alla Marina. Svolse altresì delicati compiti, fra i quali la partecipazione alla missione italiana negli Stati Uniti del giugno 1917 e alla conferenza di Parigi per la stipula dei trattati di pace nel 1919, dalla quale si dimise un anno dopo per il suo forte dissenso sulla questione di Fiume.
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Intanto anche sul piano amministrativo non mancavano dissensi, che portarono alla rinegoziazione dei rapporti fra la compagnia di Marconi e l’Italia. La questione si risolse definitivamente soltanto nel 1924, grazie a una convenzione operata dal ministro delle Comunicazioni, Costanzo Ciano, secondo la quale Marconi assumeva la presidenza della Italo Radio – in seguito EIAR – per la concessione esclusiva del servizio delle trasmissioni.
Nel 1927, Marconi, che aveva aderito al fascismo nel 1923, veniva nominato presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, il primo ente di ricerca fondato da Vito Volterra quattro anni prima e che ora veniva posto alle dirette dipendenze del governo Mussolini. Nel 1930 ricevette la nomina di maggior spicco nella politica scientifica e culturale del regime: la presidenza dell’Accademia d’Italia, volutamente creata da Mussolini per controbilanciare il potere dell’Accademia “nemica”, l’Accademia Nazionale dei Lincei. L’iniziativa più di successo dell’Accademia fu il primo Convegno internazionale di fisica nucleare nel 1931, sotto la direzione scientifica di Fermi.
Nonostante l’intensa partecipazione alla vita pubblica, Marconi continuò la sua attività di ricerca sulle onde corte a bordo della sua nave laboratorio Elettra, soprattutto dal ’31 al ’35. Nella vita di Marconi si mescolarono dunque non solo scienza, tecnologia e impresa, ma anche politica e amministrazione: egli, che pareva un «eroe magico» sulla sua «nave bianca che veramente naviga nel miracolo e anima i silenzi eterei del mondo», come scrisse D’Annunzio nel 1920 (Simili, in Guglielmo Marconi e l’Italia 1996, p. 20), aveva avuto le idee chiare fin da principio. Concludeva, infatti, il suo discorso per il Nobel facendo un lucido appello per il presente e per l’avvenire riguardante l’utilizzazione mondiale della telegrafia senza fili a vantaggio della scienza e dell’umanità.
Letteratura citata
Hildebrand, in Nobel Lectures 1967: H. Hildebrand, Guglielmo Marconi. The Nobel Prize in Physics 1909, in Nobel Lectures. Physics 1901-1921, Amsterdam 1967.
Marconi 1941: G. Marconi, Per il Premio Nobel, in Scritti di Guglielmo Marconi, Roma 1941.
Guglielmo Marconi e l’Italia 1996: Guglielmo Marconi e l’Italia. Mostra storico-documentaria, catalogo della mostra a cura di G. Paoloni e R. Simili, Roma 1996.
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