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Enrico Fermi - 1938
fisica   

Enrico Fermi - 1938
Roma  1901 - Chicago  1954

testo di catalogo
di Giovanni Battimelli e Giovanni Paoloni

«Il treno con la famiglia Fermi era partito dalla Stazione Termini per Stoccolma la sera del 6 dicembre 1938, se ben ricordo, attorno alle 21. Franco Rasetti, Ginestra e io e qualche loro parente eravamo rimasti a salutarli sulla banchina e poi eravamo tornati alle nostre case»: così Edoardo Amaldi (Amaldi 1997, p. 63) ricorda la partenza di Enrico Fermi per andare a ritirare il Premio Nobel a lui assegnato nel 1938 «per aver dimostrato – questo il testo della motivazione ufficiale – l'esistenza di nuovi elementi radioattivi prodotti mediante irradiazione con neutroni e per la scoperta, correlata, delle reazioni nucleari prodotte dai neutroni lenti». Per Fermi l'assegnazione del Nobel coincide dunque con la partenza dall'Italia per un esilio che sarà senza ritorno, e con l'abbandono del luogo (l'Istituto di Fisica di Roma) dove in meno di quindici anni aveva raccolto e guidato al successo un brillante gruppo di ricerca: si spiega così il senso di incertezza della famiglia Fermi e dei collaboratori rimasti Roma, che contrasta con l'atmosfera gioiosa che normalmente accoglie l'arrivo di un riconoscimento tanto prestigioso. Ma non vi è ormai più nulla di normale in un paese dove il clima culturale prodotto da sedici anni di dittatura si fa sempre più soffocante e dove dall'estate del 1938 le leggi antisemite costringono all'esilio o al silenzio la componente ebraica del mondo intellettuale: la stessa famiglia Fermi ne è direttamente colpita, perché Laura, la moglie di Enrico, è ebrea.

 

Gustavo V di Svezia consegna a Fermi il diploma e la medaglia del Nobel.

Fermi era giunto all'Università di Roma nel 1926, sulla prima cattedra italiana di Fisica Teorica. Con l'appoggio di Orso Mario Corbino, direttore dell'Istituto di Fisica e artefice della sua nomina, Fermi raccolse intorno a sé nel 1927-28 un gruppo di giovani ricercatori: Franco Rasetti (assistente di Corbino, e dal 1930 professore di Spettroscopia), Emilio Segrè, Edoardo Amaldi, Ettore Majorana e, più tardi, Bruno Pontecorvo, ancora studenti. «La personalità unica di Fermi – ricorderà nel 1968 Rasetti – la poca differenza di età fra docenti e discepoli, l'affinità negli interessi scientifici e persino nelle ricreazioni al di fuori dell'attività universitaria, creavano tra i membri dell'Istituto un'amicizia personale, un affiatamento quali raramente hanno legato un gruppo di ricercatori. Nulla vi era di formale nel modo in cui Fermi ci insegnava le teorie fisiche più recenti, prima di tutte la nuova meccanica quantistica» (Rasetti 1968). Racconta Emilio Segrè: «Ogni tanto Fermi spiegava un lavoro che aveva appena finito di leggere. È appunto in questo modo che apprendemmo il contenuto dei lavori di Schrödinger e di Dirac via via che uscivano. Non avevamo mai da lui corsi regolari» (Segrè 1987 , p. 50).

 

Da sinistra: R. Oppenheimer, E. Fermi e E.O. Lawrence a Berkeley nel 1937.

All'epoca in cui Fermi e i suoi decisero di orientare i loro interessi di ricerca verso la fisica nucleare, si conoscevano già varie proprietà del nucleo atomico. Si sapeva per esempio che la maggior parte dei nuclei che esistono in natura sono stabili, mentre altri nuclei sono radioattivi, cioè si trasformano spontaneamente in nuclei di altri elementi. I processi, o decadimenti radioattivi, allora noti erano quelli che avvenivano o con l'emissione di una particella alfa (o nucleo di elio), o con l'emissione di una particella beta (o elettrone), accompagnati in generale dall'emissione di radiazione elettromagnetica ad altissima frequenza (raggi gamma). Ciò dimostrava che il nucleo atomico è una particella composta; il problema centrale era quello di studiare le particelle che compongono il nucleo e le forze che le tengono insieme. Per fare il punto sui problemi ancora irrisolti della fisica nucleare Fermi ebbe l'idea di organizzare a Roma un Congresso internazionale, che si tenne dall'11 al 17 ottobre 1931; esso rappresentò la prima entrata in scena del gruppo di Fermi sul palcoscenico internazionale della fisica nucleare: vi presero parte i nomi più prestigiosi del settore ed ebbe un'importanza enorme, in quanto fu un catalizzatore nello scambio di idee e risultati e nella discussione di nuove ipotesi, e servì a mettere a fuoco i problemi centrali, sia teorici che sperimentali, ancora aperti.

 

Nel gennaio 1934 Irène Curie e Frédéric Joliot annunciarono la scoperta della radioattività artificiale. Fermi ebbe subito l'idea di cercare di produrre nuovi elementi radioattivi utilizzando sorgenti di neutroni invece delle particelle alfa utilizzate dai francesi. Non appena poté disporre delle sorgenti neutroniche desiderate, il gruppo di Fermi cominciò a bombardare in modo sistematico gli elementi del sistema periodico di numero atomico crescente. Iniziò così un periodo di lavoro molto intenso; al gruppo si aggiunse inoltre un chimico, Oscar D'Agostino, che nel febbraio 1934 si recò a Parigi per apprendere le tecniche di radiochimica: una parte importante del lavoro consisteva infatti nella separazione chimica e nell'identificazione dei nuovi radionuclidi ottenuti. Fermi e i suoi iniziarono poi a pubblicare in rapida successione i nuovi risultati sperimentali ottenuti, sotto forma di lettere a "La ricerca scientifica", la rivista del CNR: gli estratti venivano poi immediatamente inviati ai più importanti fisici nucleari del mondo. In poco tempo vennero irradiati con neutroni una sessantina di elementi e in almeno quaranta di essi vennero scoperti e spesso identificati nuovi elementi radioattivi: l'estrema importanza dei risultati del gruppo Fermi (cui si riferisce la prima parte della motivazione del Nobel) apparve subito evidente a livello internazionale.

 

Fermi con A. Sommerfeld al Congresso Internazionale di Fisica Nucleare di Roma, nel 1931.

Dopo l'estate del 1934, la prosecuzione delle ricerche condusse all'osservazione di alcuni effetti apparentemente inspiegabili; nel tentativo di dar conto di questi risultati paradossali Fermi giunse nell'ottobre al principale risultato ottenuto dal gruppo dei fisici romani, scoprendo che l'efficacia dei neutroni nel produrre il fenomeno della radioattività artificiale era enormemente amplificata se tra sorgente e bersaglio veniva interposto un blocco di paraffina. Secondo l'interpretazione subito affacciata da Fermi, i neutroni venivano rallentati attraverso un gran numero di urti elastici con i protoni presenti nella paraffina, aumentando così la loro efficacia nel provocare la radioattività artificiale; la scoperta e la comprensione di questo processo sono alla base dell'assegnazione del Nobel, e costituiscono la seconda parte della motivazione citata all'inizio. L'aumento della probabilità di cattura dei neutroni e di produzione delle reazioni nucleari con la diminuzione della velocità dei neutroni era un evento del tutto inaspettato all'epoca, perché si riteneva che questa probabilità dovesse piuttosto aumentare con l'aumento dell'energia dei neutroni incidenti. La scoperta dell'effetto del rallentamento dei neutroni nelle sostanze idrogenate indusse Fermi e i suoi a un rapido riorientamento del programma di ricerca, concentrandosi piuttosto sulla comprensione dell'effetto dei neutroni lenti che nello studio dei radionuclidi prodotti. Corbino, a sua volta, capì subito che le applicazioni pratiche della scoperta avrebbero potuto essere molto importanti e convinse Fermi e i suoi collaboratori a brevettare la loro scoperta. Il brevetto italiano, che riguardava specificamente il processo di produzione di sostanze radioattive artificiali mediante bombardamento con neutroni e l'aumento dell'efficienza di questo processo dovuto al rallentamento dei neutroni, recava la data del 26 ottobre 1934, e successivamente fu esteso ad altri paesi.

 

«Nel 1936, al tempo della guerra di Etiopia – ricorda ancora Amaldi – Fermi ed io avevamo coniato un termine per descrivere il nostro stato d'animo: Physics as soma. Il soma è una pillola di cui parla Aldous Huxley nel suo libro Brave New World, una pillola che nel suo libro gli uomini del Duemila prendono contro lo sconforto: quand'erano depressi prendevano questo soma per tirarsi su. Noi quindi avevamo adottato questa espressione nel senso che la fisica diventava come una pillola, che non ci lasciava tempo per riflettere su una situazione che era chiaramente sempre più nera, con la Germania hitleriana che diventava sempre più minacciosa. Avevamo molti amici che erano già scappati dalla Germania» (Amaldi 1980, p. 28).

 

All'Isola d'Elba nell'estate del 1954.

Le trasformazioni verificatesi nella ricerca in fisica nucleare intorno alla metà degli anni Trenta, con l'introduzione dei primi acceleratori di particelle, rendevano imperativo un salto di qualità nell'attrezzatura sperimentale disponibile, pena la perdita in tempi brevi di quella posizione di avanguardia che la fisica italiana aveva saputo guadagnare e mantenere finché quella ricerca si poteva fare in modo competitivo anche con mezzi limitati. Fermi preparò dunque un progetto per dotare il gruppo di un centro di ricerca adeguato e dotato di un acceleratore; ma nel gennaio e nel luglio 1937 morirono, improvvisamente, prima Corbino e poi Marconi, i due pilastri su cui aveva fino ad allora poggiato lo sviluppo del gruppo romano. Queste perdite non furono senza conseguenze, e nel 1938 fu chiaramente comunicato a Fermi che le risorse occorrenti per una nuova fase di ricerca non sarebbero arrivate. Il Nobel giunse dunque quando era ormai chiaro che ogni ragionevole prospettiva di lavoro in Italia tramontava, almeno nel breve periodo, e mentre il gruppo romano si disperdeva. È legittimo perciò supporre che l'emanazione delle leggi razziali non sia stata che l'ultima goccia giunta a far traboccare un vaso ormai pieno. Ricevuta la notizia del Nobel, Fermi preparò dunque in gran segreto la partenza, approfittando dell'occasione che il ritiro del Premio offriva. Si giungeva così a quella triste serata di dicembre.

 

In Francia nel 1954.

«Il nostro piccolo mondo – si conclude il racconto di Amaldi – era stato sconvolto, anzi quasi certamente distrutto, da forze e circostanze completamente estranee al nostro campo d'azione. Un osservatore attento avrebbe potuto dirci che era stato ingenuo pensare di costruire un edificio così fragile e delicato sulle pendici di un vulcano che mostrava così chiari cenni di crescente attività. Ma su quelle pendici eravamo nati e cresciuti e avevamo sempre pensato che quello che facevamo fosse molto più durevole della fase politica che il paese stava attraversando» (Amaldi 1997, p. 63).

 

 

Letteratura citata

 

Amaldi 1980: E. Amaldi, Intervista sulla materia dal nucleo alle galassie, a cura di P. Angela, Roma-Bari 1980.

 

Amaldi 1997: E. Amaldi, Da Via Panisperna all’America, a cura di G. Battimelli e M. De Maria, Roma 1997.

 

Rasetti 1968: F. Rasetti, Autobiographical notes, manoscritto inedito (Archivio Amaldi, Dipartimento di Fisica, Università La Sapienza di Roma), 1968.

 

Segrè 1987: E. Segrè, Enrico Fermi, fisico, Bologna 1987.

 


 

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