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Riccardo Giacconi - 2002
fisica   

Riccardo Giacconi - 2002
Genova  1931

testo di catalogo
di Franco Pacini

Vari anni fa, negli Stati Uniti, un rapporto della National Academy of Sciences espresse l’opinione secondo cui, nella nostra epoca, l’astronomia si stava sviluppando con un ritmo simile a quello dei tempi di Galileo. Questa pretesa può essere giustificata in vari modi. Per esempio, durante il secolo scorso l’universo esplorato dagli astronomi è divenuto molto più grande rispetto a quanto ritenuto precedentemente. Agli inizi del Novecento, gran parte degli scienziati pensava infatti che la nostra Galassia rappresentasse l’intero universo. Allora il massimo diametro dei telescopi esistenti era circa un metro. Nei primi anni ‘20 entrò in funzione il telescopio di Monte Wilson, con un diametro di 2,5 metri. Esso portò alla scoperta delle galassie esterne alla nostra. L’universo esplorato oggi dagli astronomi con Hubble Space Telescope (HST) o con lo strumento europeo Very Large Telescope (VLT), di diametro intorno ai 16 metri, corrisponde a un volume circa un milione di miliardi di volte più grande rispetto a quello dei nostri predecessori, agli inizi del secolo scorso. Riccardo Giacconi, come Direttore dello Space Telescope Institute e, successivamente, come Direttore dell’European Southern Observatory (ESO), durante un periodo cruciale per la costruzione del VLT, ha avuto un ruolo fondamentale in ambedue i progetti.

 

Raymond Davis Jr. e Masatoshi Koshiba, Nobel per la Fisica insieme a Giacconi.

Oltre che per l’esistenza di telescopi ottici sempre più grandi e di una strumentazione di piano focale sempre più perfezionata, la nostra conoscenza dell’universo e del suo contenuto si è sviluppata enormemente attraverso i nuovi canali di informazione sul cosmo. È ben noto che le radiazioni ottiche rivelate dai telescopi normali corrispondono solo a una piccola frazione dello spettro elettromagnetico. Le leggi della fisica stabiliscono che i corpi celesti debbano irraggiare anche ad altre frequenze, per esempio emettendo onde radio, fotoni infrarossi e ultravioletti, raggi X. La frazione di energia emessa in ogni data banda dipende dai parametri fisici della sorgente. Nel caso di stelle o di nebulose gassose, il parametro fondamentale è la temperatura. La finestra ottica tradizionale corrisponde al massimo di emissione da parte di stelle e galassie normali, formate da gas con temperature di varie migliaia di gradi.

 

I corpi celesti, in generale, evolvono piuttosto lentamente, attraverso stati di equilibrio. Per molto tempo si era quindi pensato che l’universo fosse un posto tranquillo: l’occasionale esplosione di una nova o la distruzione violenta di una stella come supernova sono eventi relativamente rari.

 

I quattro strumenti che compongono il Very Large Telescope (VLT) sul Monte Paranal (Ande cilene).

Un’importante anomalia di questo quadro era costituita dall’esistenza dei raggi cosmici, un miscuglio di protoni, elettroni e altri nuclei che si muovono nello spazio con velocità vicina a quella della luce, guidati da campi magnetici. Mentre le particelle dei gas stellari e nebulari hanno energie di solito inferiori a 1 KeV (tipicamente < 1 KeV sulla superficie stellare, fino a 1 KeV e oltre nelle regioni interne), i raggi cosmici hanno energie individuali enormemente superiori. La produzione totale di raggi cosmici nella galassia, necessaria per mantenere uno stato stazionario, può essere stimata intorno a 1040 erg sec-1, circa un millesimo della luminosità ottica.

 

È interessante ricordare, proprio qui a Firenze, che nei primi anni ‘30 la collina di Arcetri era uno dei posti più avanzati al mondo nello studio dei raggi cosmici, sotto la guida di Bruno Rossi e Giuseppe Occhialini. A quel tempo l’interesse per questo fenomeno nella comunità astronomica era però piuttosto ridotto, in quanto i raggi cosmici venivano considerati una componente trascurabile dell’universo.

 

La Nebulosa del Granchio.

Circa nello stesso periodo fu capito che le stelle splendono ed evolvono grazie alle reazioni nucleari che trasformano nuclei leggeri in nuclei pesanti. Si sviluppò allora anche il tentativo di capire cosa succede quando, nella regione centrale, una stella esaurisce il combustibile nucleare. Si scoprì che, nella maggior parte dei casi, se l’astro ha una massa confrontabile a quella del nostro Sole, l’evoluzione termina con la formazione di una nana bianca, un oggetto che ha circa la dimensione della Terra e una densità intorno a 106 gr cm-3. Nelle nane bianche l’equilibrio fra pressione e gravità è dovuto alle proprietà di un gas molto denso, come spiegato nell’ambito della meccanica quantistica. Tuttavia, nane bianche con una massa più grande di circa 1,5 masse solari non possono essere sostenute dalla pressione di questo gas e debbono collassare ulteriormente. Per l’importanza delle sue ricerche sull’argomento, a S. Chandrasekhar fu attribuito il Premio Nobel per la Fisica nel 1983. Vari fisici e astrofisici teorici specularono allora sul fatto che, nel caso di masse maggiori di questo limite, l’attrazione gravitazionale poteva condurre alla formazione di oggetti collassati quali le stelle di neutroni (densità confrontabile a quella dei nuclei atomici, cioè ~1014 gr cm-3, dimensione intorno a 10 km, una massa massima un po’ più grande di quella delle nane bianche), o i buchi neri (quando la gravità è così forte da impedire anche l’uscita della luce). Baade e Zwicky suggerirono che l’energia gravitazionale liberata durante il collasso delle parti centrali avrebbe potuto essere la causa dell’esplosione degli strati esterni, la supernova. Per circa 30 anni stelle di neutroni e buchi neri furono pensati come oggetti ipotetici, cadaveri di vecchie stelle, privi di ogni possibile attività osservabile.

 

Porzione di universo lontano ricca di galassie, osservata dal VLT.

La situazione è cambiata completamente nelle ultime decadi, quando è emerso un nuovo quadro relativo agli stadi finali dell’evoluzione stellare. È diventato infatti chiaro (specialmente attraverso osservazioni radio e X) che esiste un “dopo” anche per le stelle, con diverse fasi ricorrenti di morte e resurrezione. Oggi sappiamo, dalle osservazioni, che le esplosioni di stelle massicce come supernovae portano effettivamente alla formazione di stelle di neutroni e buchi neri. Tuttavia questi oggetti non sono morti e inattivi ma, al contrario, sono la sede di fenomeni molto energetici. La scoperta delle pulsar nel 1967 da parte di A. Hewish, J. Bell e collaboratori (anch’essa onorata dal Premio Nobel per la Fisica nel 1974) è stata interpretata come un faro associato alla rotazione di stelle di neutroni fortemente magnetizzate. La presenza di un corpo di questo genere dentro la Nebulosa del Granchio, residuo di una supernova osservata nel 1054, è stata un trionfo per l’idea enunciata da Baade e Zwicky circa 30 anni prima. Le pulsar rallentano gradualmente, liberando l’energia di rotazione acquisita durante il collasso, e producono un forte flusso di elettroni che si muovono all’incirca alla velocità della luce. Queste particelle (dette relativistiche) vengono immesse continuamente nella nebulosa e producono lì una radiazione intensa che va dalle onde radio ai raggi X. Prima della scoperta delle pulsar, l’origine di tale radiazione e delle particelle che la generano era del tutto misteriosa.

 

In sostanza, si può affermare che, mentre una stella normale immagazzina la propria energia a livello microscopico, sotto la forma di gas caldi, e la libera attraverso la normale radiazione termica, una stella di neutroni immagazzina la sua energia come rotazione macroscopica e la consuma per produrre particelle di altissima energia. In gran parte dei casi, questa fase dura milioni di anni e può essere considerata una seconda vita della stella originale. Quando la rotazione diventa troppo lenta, la pulsar cessa di funzionare e muore di nuovo, ma non per sempre. Infatti, se la stella di neutroni si trova in un sistema binario accanto a un astro normale, può verificarsi una seconda resurrezione, perché la sua forte gravità superficiale attrae la materia perduta dalla compagna normale. I gas che cadono sulla superficie della stella di neutroni raggiungono temperature altissime, fino e oltre 107 gradi ed emettono raggi X.

 

Le prime scoperte relative all’esistenza di sorgenti di questo tipo furono fatte da Giacconi, Rossi e collaboratori già negli anni ‘60 e confermate quando il satellite Uhuru (lanciato nello spazio nel dicembre 1970) dette luogo alla scoperta di un notevole numero di sorgenti compatte di raggi X. In alcuni casi la determinazione della massa della stella collassata ha portato alla conclusione che il sistema contiene un buco nero, invece che una stella di neutroni, completando così l’inventario osservativo dei cadaveri stellari previsti dalla teoria. La scoperta delle stelle di neutroni, dei buchi neri e della loro attività è stata un passo fondamentale nell’astronomia moderna e ha messo in evidenza l’esistenza di fenomeni precedentemente ignorati. Oggi si pensa che, all’interno della nostra Galassia, ci siano circa 108 - 109 stelle di neutroni e circa 106 - 107 buchi neri. Solo una frazione di essi è attiva, ma tutti questi oggetti sono residui di generazioni precedenti di stelle. In alcuni casi si sono trovati sistemi binari contenenti due astri collassati. Misurando i parametri orbitali e la loro evoluzione è stato possibile confermare che questi sistemi perdono gradatamente energia attraverso l’emissione di onde gravitazionali, come previsto dalla teoria della relatività generale: il sistema doppio diventa sempre più stretto.

 

Ancora una volta, l’importanza di tale misura è stata tale da far attribuire (a Hulse e Taylor, nel 1993) il Premio Nobel per la Fisica. L’inevitabile collasso finale dovrebbe manifestarsi come un improvviso enorme lampo di radiazione elettromagnetica e gravitazionale. Lo studio dei corpi collassati e delle loro varie manifestazioni coinvolge non solo l’astrofisica ma anche altri aspetti fondamentali della fisica, quali la materia superdensa, la teoria della gravitazione, l’origine dei raggi cosmici e vari altri argomenti. L’attribuzione nell’ultimo quarto di secolo di ben quattro Premi Nobel (fra cui quello a Riccardo Giacconi nel 2002) ben testimonia l’importanza di questo settore nella fisica e astrofisica di oggi.

 


 

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