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Daniel Bovet - 1957Neuchâtel 1907
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Roma 1992
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testo di catalogo
di Alberto Oliverio
La vita e l'attività scientifica di Daniel Bovet sono strettamente intrecciate con gli “anni d'oro” della farmacologia, cioè con l'eccezionale sviluppo cui è andata incontro questa scienza tra la fine degli anni Trenta e gli anni Sessanta del Novecento. Svizzero di nascita, francese per formazione scientifica, italiano per scelta, Bovet era un cittadino dell'Europa, privo di provincialismi.
Nel 1929, dopo aver conseguito il dottorato in scienze naturali, entrò all'Institut Pasteur di Parigi, che era ancora diretto da Emile Roux: Bovet era stato chiamato da Ernest Fourneau per organizzarvi un'unità di farmacologia. Egli restò all'Institut Pasteur per quasi venti anni. A Parigi Bovet incontrò Filomena Nitti, figlia di Francesco Saverio Nitti, primo ministro nel 1919 e 1920, esule in Francia durante il fascismo. Si sposarono nel 1938 e Filomena, sorella di Federico Nitti che lavorò con Bovet sui sulfamidici, divenne la sua stretta collaboratrice scientifica durante tutta la vita dello scienziato.
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Gran parte della vita e della produzione scientifica di Daniel Bovet è legata all'Institut Pasteur, dove mise a punto e chiarì il meccanismo d'azione di numerosi chemioterapici, antibatterici e antiprotozooari, che avrebbero sconvolto le prospettive della terapia tradizionale. L'ottica in cui si svolgevano le ricerche del laboratorio di Chémie Thérapeutique dell'Institut Pasteur era ispirata alle idee di Paul Ehrlich che, all'inizio del Novecento, aveva lanciato il progetto della chemioterapia proponendosi di scoprire le «pallottole magiche», molecole sintetiche in grado di colpire e uccidere i microbi patogeni senza danneggiare l'organismo che li ospita.
Bovet riteneva che Erlich, insieme a Louis Pasteur, rappresentasse un punto di riferimento storico-scientifico fondamentale nella lotta contro gli agenti infettivi. Con le sue ricerche sui sulfamidici Bovet andò tuttavia ben oltre il programma di ricerca di Ehrlich, innovandolo in modo sostanziale. Ehrlich aveva sviluppato il progetto della chemioterapia sulla base della scoperta dell'interazione chimicamente selettiva fra le materie coloranti di sintesi e le cellule viventi, microbi compresi: seguendo questo approccio, nel 1882 egli riuscì a colorare il bacillo tubercolare isolato da Koch nel 1876. Partendo da questi risultati Ehrlich ritenne che si potesse utilizzare l'affinità chimica fra le molecole coloranti e le cellule batteriche per sfruttare eventuali proprietà battericide del colorante oppure per utilizzare i coloranti come “vettori” in grado di inserire delle molecole tossiche per i batteri. Sulla base di questo programma scientifico Paul Ehrlich mise a punto nel 1906 il Salvarsan, il primo prodotto di sintesi a base di arsenico, attivo contro il treponema della sifilide.
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Ehrlich partiva dal presupposto teorico che la molecola di colorante dovesse essere il costituente essenziale di ogni composto dotato di attività antimicrobica. Partendo da queste premesse si può comprendere la storia dei sulfamidici, che inizia nel 1906 quando Paul Gelmo, nell'ambito di studi sul meccanismo delle proprietà tintorie delle materie coloranti, sintetizzò il sulfamide. Nel 1932 il brevetto di un colorante derivato dal sulfamide venne depositato da due chimici della Bayer IG Farben. Due anni dopo, Gerhard Domagk pubblicò un articolo in cui si dimostrava l'efficacia del prodotto, il Prontosil rosso, contro le infezioni da streptococchi. Per gli scienziati tedeschi aderenti alla scuola di Ehrlich il Prontosil rosso era efficace in quanto colorante: tuttavia essi non riuscivano a capire il paradosso per cui il Prontosil era efficace in vivo, ma era completamente inattivo in vitro.
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Furono appunto le ricerche di Bovet e dei chimici del Pasteur a risolvere questo “paradosso”: nel 1935 essi dimostrarono come l'effetto antimicrobico ottenuto col Prontosil, cioè col farmaco colorato, potesse essere ottenuto anche con la sostanza bianca, cioè il sulfamide, a partire dalla quale era stato preparato il composto colorato. Il paradosso dell'inattività in vitro del Prontosil era dovuto al fatto che fino a quando il farmaco manteneva la sua originaria struttura chimica esso era privo di azione antibatterica, mentre all'interno dell'organismo i processi ossido-riduttivi portavano alla formazione di due molecole indipendenti di cui una, la p-aminophenylsulfamide incolore, era dotata di efficacia contro gli streptococchi. L'azione terapeutica del Prontosil non era quindi connessa alle proprietà coloranti di questa sostanza, come ritenevano Domagk e la scuola tedesca: usando un linguaggio meno scientifico di quello appena utilizzato, Bovet notò che l'«automobile rossa» aveva un «motore bianco». Nel 1936 lo stesso gruppo di ricercatori del Pasteur comprese che i sulfamidici non uccidono i batteri, ma agiscono come citostatici.
L'attività di ricerca del gruppo parigino non era però centrata soltanto sulle sostanze dotate di azione chemioterapica, ma mirava più in generale a stabilire il meccanismo d'azione di diverse sostanze, naturali o di sintesi, tra cui l'adrenalina, la sostanza secreta dalla midollare dei surreni. I rapporti tra la costituzione chimica, il metabolismo e l'attività farmacodinamica furono al centro degli ormai classici studi di Bovet, centrati sull'azione di sostanze simpaticomimetiche e simpaticolitiche, rispettivamente in grado di simulare o antagonizzare l'azione dell'adrenalina e della noradrenalina. Vennero studiate intere serie di molecole, mettendo a punto e affinando farmaci dotati di azione vasodilatatrice (sopratutto sulle coronarie), broncolitica (antiasmatica), antiipertensiva, sulla muscolatura liscia, ecc. Il primo prodotto dotato di azione simpaticolitica (un derivato del diossano) era stato studiato da Bovet e Fourneau nell'ambito di un programma di ricerca per la scoperta di farmaci antimalarici. Questo programma portò Bovet alla scoperta degli antistaminici in base alla constatazione che l'adrenalina, l'acetilcolina e l'istamina, tre amine biogene dotate di una potente attività farmacologica, presentano analogie della struttura chimica. L'esistenza di sostanze dotate di azione parasimpaticolitica, come l'atropina, era nota sin dal 1867, quando fu dimostrata l'azione antivagale di questa sostanza: per Bovet era quindi del tutto ragionevole pensare che potesse esistere anche un farmaco antagonista dell'istamina. Negli anni Trenta non vi era alcuna prova definitiva che l'istamina fosse responsabile delle reazioni allergiche: tuttavia le ricerche di Bovet si rivelarono decisive per suffragare questa ipotesi. Nel 1937, Bovet e Albert Staub descrissero l'azione antistaminica della timossietildietilamina, una sostanza dotata di azione antianafilattica. La capacità degli antistaminici di esercitare una protezione dallo shock anafilattico confermò in modo definitivo che l'istamina era la sostanza vasoattiva principalmente coinvolta in questa e nelle altre manifestazioni allergiche.
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Bovet e il suo gruppo furono in grado di cogliere le connessioni tra le più disparate molecole, naturali o di sintesi, comprendendone i meccanismi fisiologici e farmacologici: tra le molecole studiate, i curari di sintesi, attivi a livello delle sinapsi colinergiche tra nervo e muscolo, hanno avuto un ruolo di grande importanza. Nel 1947 Bovet, Depierre, Courvoisier e de Lestrange introdussero in clinica la gallamina (o flaxedil), un derivato di sintesi estremamente potente, da allora utilizzato da generazioni di chirurghi quando è necessario rilassare i muscoli corporei. A questi studi fecero seguito numerose ricerche sui derivati della succinilcolina, intraprese in collaborazione con F. Bovet Nitti, S. Guarino, V.G. Longo e G.B. Marini-Bettòlo a Roma, nell'Istituto Superiore di Sanità.
Nel 1947, accettando un invito di Domenico Marotta, direttore dell'Istituto di ricerca romano, Bovet si trasferì a Roma, dove gli era stata affidata la direzione di un grande laboratorio di farmacologia. L'attività del suo nuovo gruppo di ricerca era prevalentemente centrata sui curarici e su una serie di sostanze attive sul sistema nervoso centrale, che segnarono un punto di transizione verso la psicofarmacologia e la biologia del comportamento. In seguito alle vicende giudiziarie che coinvolsero l’Istituto e il suo direttore, nel 1964 Bovet si presentò a un concorso a cattedra e così divenne professore di farmacologia all'Università di Sassari, dove restò sino alla fine degli anni Sessanta, alternando la sua attività di ricerca tra Sassari e Los Angeles, nell'ambito del Brain Research Institute della University of California. A partire dal 1969 si trasferì a Roma, chiamato dalla Facoltà di Scienze come professore di psicobiologia, una disciplina nuova per l'Italia ancora dominata da correnti psicologiche e approcci di tipo idealista.
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Le ricerche di Bovet nel campo della psicofarmacologia e psicobiologia si riallacciano ai suoi studi sui farmaci attivi sul sistema nervoso centrale, agli antistaminici, ai derivati della clorpromazina e ai farmaci adrenergici: egli utilizzò i farmaci come “sonde” per esplorare la funzione nervosa e per saggiare il ruolo delle strutture nervose in rapporto al comportamento. A questi studi di psicofarmacologia si affiancarono ben presto quelli di genetica del comportamento, basati sull'uso di ceppi selezionati di roditori e di ceppi inincrociati (inbred) di topi. A Los Angeles, Sassari e Roma affrontò il problema delle basi biologiche della memoria dal punto di vista delle differenze individuali e dei farmaci che interferiscono col suo consolidamento. Quando Bovet iniziò a lavorare in questo settore, la psicologia sperimentale aderiva, prevalentemente, alle teorie comportamentiste, implicando che ogni aspetto dell'agire – animale e umano – potesse essere descritto in termini di rapporti tra stimoli e risposte, al di fuori delle conoscenze sul cervello. Seguendo la pista della genetica, Bovet dimostrò invece che alcuni comportamenti hanno importanti componenti biologiche, in quanto dipendono da specifiche differenze del sistema nervoso a livello delle strutture neurobiologiche, dai recettori nervosi all'estensione di alcuni nuclei nervosi cerebrali.
Bovet era un empirista, che fabbricava e montava con le sue mani diverse attrezzature scientifiche, ed un realista che sapeva ciò che era possibile intraprendere in un determinato ambiente e ciò che invece avrebbe comportato troppe difficoltà. Le sue scelte scientifiche risentirono perciò anche di questo aspetto, cioè della sua capacità di selezionare delle linee di ricerca in cui era possibile competere con altri gruppi attraverso l'innovazione, il bricolage scientifico, la creatività, anziché attraverso uno scontro frontale con altri gruppi di ricerca, troppo potenti in termini di finanziamenti, organizzazione e risorse umane. I suoi interessi scientifici si rivolsero a settori disparati, come indica la motivazione del Premio Nobel che riconosce «le sue scoperte relative alle sostanze di sintesi che inibiscono l’azione di alcune molecole del corpo, in particolare la loro azione sul sistema vascolare e sui muscoli scheletrici». L’insieme di queste ricerche e interazioni tra sostanze che agiscono sul sistema vegetativo e sulla giunzione neuro-muscolare sono descritte in un trattato pubblicato nel 1948, un libro che per diversi anni rappresentò una vera e propria “Bibbia” per i ricercatori che lavoravano sul sistema nervoso (Bovet-Nitti 1948).
Letteratura citata
Bovet-Nitti 1948: D. Bovet-F. Nitti, Structure chimique et activité pharmacodynamique des médicaments du système nerveux végétatif, Basilea 1948.
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