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Rita Levi-Montalcini - 1986
medicina   

Rita Levi-Montalcini - 1986
Torino  1909

testo di catalogo
di Alberto Oliverio

La lunga attività di scienziata di Rita Levi-Montalcini non riguarda soltanto la brillante scoperta del fattore di crescita del sistema nervoso o NGF: la sua vicenda scientifica si intreccia infatti anche con le vicende storiche italiane ed europee e più in particolare con la storia della scienza negli anni a cavallo del secondo conflitto mondiale.

 

La formazione di Levi-Montalcini inizia a Torino ed ha al suo centro la figura di Giuseppe Levi, titolare della Cattedra di Istologia e maestro di altri due futuri Premi Nobel, Renato Dulbecco e Salvador Luria. Nel 1938, però, con l’emanazione delle leggi razziali, la giovane ricercatrice è costretta, per proseguire gli studi, ad emigrare a Bruxelles, dove lavora sino all’invasione tedesca del Belgio, nella primavera del 1940: torna allora a Torino ed allestisce un laboratorio di fortuna a casa, dove con il suo maestro Giuseppe Levi inizia a fare ricerca sullo sviluppo del sistema nervoso negli embrioni di pollo. Alla fine della guerra, nel 1947, come altri scienziati italiani ed europei, si reca negli USA, accettando l’invito di Victor Hamburger per lavorare alla Washington University di St. Louis, dove sarebbe arrivata alla scoperta del Nerve Growth Factor, il fattore di crescita nervosa (NGF). Fino ad allora la Levi-Montalcini aveva svolto la sua ricerca sulle correlazioni nello sviluppo tra le varie parti del sistema nervoso e si era in seguito rivolta allo studio dello sviluppo dei neuroni dell’embrione di pollo, cui si dedicò anche a St. Louis, quando affrontò, insieme a Stanley Cohen, il tema della crescita e differenziamento delle cellule nervose.

 

Un momento della cerimonia di premiazione.

Nel laboratorio di St. Louis, partendo da due linee di cellule tumorali, era stata isolata una frazione proteica in grado di promuovere in vitro la crescita delle cellule nervose. Per studiare questo fenomeno le colture di cellule nervose vennero trattate con veleno di serpente, ritenendo che questo avrebbe soppresso la formazione delle fibre: al contrario, risultò che piccole quantità del veleno promuovevano la formazione di un denso alone di fibrille. Gli esperimenti successivi dimostrarono che non soltanto nel veleno del serpente, ma anche nelle ghiandole salivari di diverse specie animali era presente una sostanza che promuoveva la crescita delle cellule nervose appartenenti al sistema simpatico, una branca del sistema nervoso autonomo formata da vari gangli – o raggruppamenti di neuroni – che controllano il ritmo cardiaco, la costrizione delle pupille, la contrazione delle fibre muscolari dell’intestino e dei vasi sanguigni. Le caratteristiche chimiche di questa sostanza erano allora ignote, ma era stato notato che i gangli simpatici coltivati in vitro crescevano a dismisura quando era presente la sostanza estratta dalle ghiandole salivari, che venne ben presto chiamata col nome di “fattore di crescita del sistema simpatico” o NGF (Nerve Growth Factor). La scoperta sembrava limitata alle dinamiche delle cellule del sistema simpatico, allora scarsamente valutate in quanto considerate secondarie rispetto alle più nobili cellule nervose cerebrali: eppure Rita Levi-Montalcini decise di andare più a fondo e di stabilire cosa potesse succedere in un organismo integro se il fattore fosse stato carente durante lo sviluppo embrionale.

 

Unica donna tra i partecipanti al convegno su Genetic Neurology, Chicago 1949.

A quei tempi non era ancora possibile valutare gli effetti di un eccesso del fattore di crescita, in quanto esso veniva rapidamente distrutto dall’organismo: tuttavia era possibile trattare un organismo in formazione con anticorpi contro l’NGF per neutralizzare l’azione di questo fattore di crescita sin dalle prime fasi dello sviluppo. Utilizzando questa procedura sperimentale fu evidente che attraverso la cosiddetta “immuno-simpatectomia” (blocco immunitario del sistema simpatico) si poteva inibire quasi totalmente lo sviluppo del simpatico, il che indicava che lo sviluppo di tali cellule nervose e delle loro connessioni dipendeva dalla presenza di questo fattore “trofico” che, in vitro, era in grado di attrarre verso di sé i prolungamenti nervosi emessi dalle cellule come una sorgente luminosa attrae le foglie e i rami di una pianta tenuta in un ambiente semi-oscuro.

 

I risultati di questo esperimento erano già di per sé originali, ma Rita Levi-Montalcini non si limitò a considerare il ruolo del fattore di crescita nell’ambito del sistema nervoso simpatico e, con un’ostinazione e una perseveranza notevoli, andò alla ricerca di un effetto più generale, sullo sviluppo e il differenziamento di tutto il sistema nervoso. Dopo anni di ricerche riuscì a provare che l’NGF, una molecola proteica di peso molecolare 44.000, era in grado di stimolare la crescita di tutte le cellule nervose non soltanto nelle fasi embrionali, quando il sistema nervoso prende corpo, ma anche nel corso dei processi di ristrutturazione e di riparazione dei circuiti nervosi: per di più, fu evidente che l’NGF non veniva prodotto soltanto da alcune ghiandole ma dalle stesse cellule nervose, che in tal modo inducono altre cellule a collegarsi con loro in rete.

 

Ganglio sensitivo di embrione di pollo contenente un'unità biologica di NGF purificato.

Il fattore di crescita del sistema nervoso viene oggi considerato nell’ambito di quei sistemi di regolazione della crescita e del differenziamento cellulare che esercitano la loro azione nelle situazioni più diverse, dalla crescita fisiologica a quella tumorale. Nell’ambito delle nostre conoscenze sul sistema nervoso l’NGF assume inoltre un’importanza particolare, in quanto dimostra che il cervello e i suoi circuiti si realizzano non tanto sulla base di un programma genetico che prevede ogni minimo dettaglio, ma anche grazie agli scambi di informazione e agli stimoli che provengono dai diversi gruppi di neuroni, ad esempio, nel corso della registrazione di nuove esperienze, come avviene nel corso della memorizzazione. Con la scoperta dell’NGF e di altri fattori trofici, oggi non si guarda più al sistema nervoso come a una struttura rigidamente predeterminata, ma come a una struttura plastica, segnata dall’individualità delle sue complesse ristrutturazioni epigenetiche, che dipendono da una serie di eventi legati all’azione di molecole trofiche o a quella di molecole come le CAM (Cell Adhesion Molecules) scoperte da Gerald Edelman, che guidano il cono di crescita delle fibre nervose in una particolare direzione.

 

Negli anni Cinquanta, quando Rita Levi-Montalcini cominciò ad ottenere i primi risultati sui fattori che influiscono sulla crescita e il differenziamento delle cellule nervose, le neuroscienze erano agli albori. Le ricerche sulle cellule nervose, sui neurotrasmettori, sui rapporti tra farmaci e funzione nervosa e infine sulle basi neurobiologiche del comportamento erano ancora a uno stadio iniziale: certamente vi erano stati e vi erano fisiologi che studiavano il neurone, le sue proprietà e i meccanismi della comunicazione nervosa, ma mancava una visione d’insieme che andasse dalle molecole al comportamento e che tentasse di unificare le caratteristiche dei diversi sistemi nervosi che caratterizzano specie diverse. Discipline come la psicobiologia, lo studio dei rapporti tra meccanismi nervosi e comportamento, e la neuropsicologia, lo studio delle alterazioni comportamentali indotte da deficit del sistema nervoso, facevano ancora parte di un’area che i biologi consideravano con qualche sospetto, se non con sufficienza, in quanto queste discipline pretendevano di entrare in una terra quasi ignota, che per tradizione era stata prevalentemente oggetto di riflessione da parte dei filosofi. Insieme a un piccolo manipolo di neuroscienziati, Rita Levi-Montalcini era però consapevole della “rivoluzione” scientifica che aveva investito il cervello e il sistema nervoso e che si era verificata anche grazie allo studio di quei fattori di crescita che intervengono sullo sviluppo e sulle funzioni nervose, non ultime quelle cognitive, come hanno dimostrato una serie di ricerche volte a dimostrare un ruolo del Nerve Growth Factor sulla funzione della corteccia cerebrale. A partire dagli anni Ottanta, gli studi sull’NGF e sui fattori di crescita hanno conosciuto una notevole accelerazione e i risultati ottenuti hanno consentito, da un lato, di chiarire numerosi aspetti dei processi tumorali e, dall’altro, sono stati al centro di ricerche a carattere applicativo, tra cui alcune volte a riparare le fibre nervose sezionate da una lesione, come avviene ad esempio nei traumi del midollo spinale che oggi sono al centro di una sperimentazione basata su interventi di microchirurgia associati all’uso di fattori trofici.

 

 

In laboratorio a Roma, nel 1976.

Partendo dai dati sugli effetti dell’NGF sui gangli simpatici e sulle colture in vitro di cellule nervose, Rita Levi-Montalcini ha promosso per oltre un trentennio una serie di ricerche sul suo meccanismo d’azione, per le quali nel 1986 le venne conferito il Premio Nobel per la Medicina (con Stanley Cohen). Nella discorso di presentazione di Kerstin Hall, del Karolinska Institutet, si legge che «La scoperta dell’NGF all’inizio degli anni ‘50 è un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da un apparente caos. In precedenza i neurobiologi non avevano idea di quali processi intervenissero nella corretta innervazione degli organi e tessuti dell’organismo» (Hall, in Nobel Lectures 1993). Oggi, questa motivazione apparirebbe forse riduttiva, considerato l’amplio ventaglio di azioni del fattore di crescita nervosa e l’orchestrazione che questa molecola esercita sui diversi aspetti della funzione nervosa.

 

L’attività scientifica di Rita Levi-Montalcini è lunga e intensa, anche negli anni della vecchiaia, in cui si sta dedicando a numerose imprese culturali: Senatore a vita, Presidente dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, di fondazioni scientifiche, autrice di numerosissimi saggi, si occupa anche di campagne umanitarie e ha promosso, insieme alla sorella Paola, una Fondazione che ha come scopo di venire in aiuto alle giovani donne dei paesi dell’Africa. Ricordo che, lamentandosi, non senza un certo vezzo, che i suoi giovani collaboratori dimostrassero una scarsa resistenza e si stancassero facilmente, notò che «I giovani sono ancora dei dilettanti della vita, noi che siamo arrivati a questa età siamo invece dei professionisti: non soltanto sappiamo amministrarci ma siamo anche resistenti». Credo che questa frase riassuma la sua passione per la ricerca che ha segnato una lunga vita dedicata prevalentemente al lavoro e alle idee della scienza.

 

 

Letteratura citata

 

Hall, in Nobel Lectures 1993: K. Hall, The Nobel Prize in Physiology or Medicine 1986, in Nobel Lectures, Physiology or Medicine 1981-1990, Singapore 1993.

 

 


 

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