Acqua e Sole (1611-1613)
Sul fronte aristotelico la guerra era aperta e senza esclusione di colpi. Contro Galileo, oltre che contro le sue singole teorie, al punto da sospettare che si trattasse in gran parte di invidie personali e che ne fossero motore potente, per dirla con Benedetto Castelli, «quei mille scudi... avidamente bramati», vale a dire l'ammontare dello stipendio di Primario matematico. A Firenze fra il 1611 e il 1613 fu imbastita, ad opera di Lodovico delle Colombe, una vera e propria disfida sul comportamento dei corpi galleggianti, condita di incontri ufficiali, convocati e poi disertati, e di esperimenti pubblici che la inquadravano in una cornice vistosa e teatrale. Il galleggiare o meno dei corpi in acqua dipendeva dalle loro singole forme, come sostenevano gli aristotelici, o dai loro diversi pesi specifici, come voleva Galileo? Per l'ennesima volta, Aristotele contro Archimede.
Per chiudere velocemente la questione, Galileo pubblicò un Discorso intorno alle cose che stanno in su l'acqua o che in quella si muovono, al quale, uscito anche in una seconda edizione, dovettero invece seguire due repliche da parte degli avversari e due controrepliche scritte insieme a Benedetto Castelli, la seconda delle quali firmata dal solo Castelli nel 1615. Ben oltre il merito delle singole questioni, la contrapposizione era, di nuovo, fra un approccio matematico alla fisica, fra «l'essersi impennate l'ali con le penne delle matematiche, senza le quali è impossibile sollevarsi un sol braccio da terra», e un procedere descrittivo e dogmatico in assenza di metodo. E lo aveva intuito Giorgio Coresio, uno dei suoi oppositori, quando metteva in guardia i propri lettori di fronte a una filosofia «nuova, piena di rivolgimenti, e che sotto diverse facce rappresentava tutte le cose dell'universo», delineandone inconsciamente un quadro degno del più ardente sostenitore.
In contemporanea altre scintille polemiche si erano accese dalle parti del Sole e vedevano Galileo opposto a un personaggio di levatura ben diversa dagli aristotelici di provincia, il gesuita svevo Christoph Scheiner, professore di matematica a Ingolstadt. Sotto lo pseudonimo di Apelles latens post tabulam - allusivo al pittore greco che si nascondeva dietro i propri dipinti per osservare, non visto, le reazioni di chi li guardava - lo Scheiner, in tre lettere scritte al banchiere di Augusta Mark Welser, che ne curò la pubblicazione, annunciò la scoperta di un fenomeno a detta sua «quasi incredibile»: le macchie solari. Alterazioni del Sole? No, il Sole era notoriamente inalterabile. Gli argomenti con cui tentava di dimostrarlo erano altri e maggiormente attinenti alle osservazioni telescopiche, ma il nodo era che difficilmente un gesuita, custode geloso della tradizione, avrebbe osato mettere in dubbio l'incorruttibilità dei corpi celesti. Un Sole macchiato era quasi un'offesa. Quindi, quelle macchie dovevano essere stelle, situate fra la Terra e il Sole, che illudevano l'occhio, apparendo parte della sua superficie. Galileo accettò l'invito del Welser a prendere posizione, e nel 1613, grazie all'impegno dell'Accademia dei Lincei, stampò una Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti, negando dignità alle stelle dello Scheiner e ripiombandole nel loro ruolo di corruttele solari che di continuo svanivano e si riformavano, come una sorta di nuvole prossime alla superficie del Sole, che molto probabilmente le trascinava in un moto rotatorio attorno al proprio asse.
Insolitamente prudente riguardo alla vera natura delle macchie solari, nella convinzione di sapere quello che non erano più di quanto fossero davvero, Galileo non si dimostrava affatto umile nella considerazione generale del lavoro dei suoi avversari. Poco scienziati e troppo uomini, ormai abituati a rifuggire «insino da ogni picciola alterazioncella» nel cielo, gli apparivano schiavi dell'educazione loro imposta e psicologicamente prigionieri di una concezione del mondo dominata da paure ataviche: «io dubito che 'l voler noi misurar il tutto con la scarsa misura nostra ci faccia incorrere in strane fantasie, e che l'odio nostro particolare di fronte alla morte ci renda odiosa la fragilità». Dove il noi era evidentemente un eufemismo per loro. Sollevandosi al di sopra di questa sorta di infanzia scientifica, Galileo sfoggiava la propria idea di conoscenza che non consisteva nel «penetrar l'essenza vera ed intrinseca» di ogni singolo fenomeno naturale, saltabeccando inconcludenti dall'uno all'altro, ma di collocarne le cause in un sistema generale del mondo, concatenandole e spiegando le une con le altre. Così lo studio delle macchie solari lo aveva portato, anello dopo anello, a confermare una natura affine fra i corpi celesti e terrestri e a ipotizzare un moto di rotazione del Sole intorno al proprio asse, comunicato anche a elementi contigui al suo stesso corpo.
Sempre più tessere andavano a costituire il mosaico, compresa l'ormai acclarata rotazione di Venere intorno al Sole, «conforme alle posizioni dei Pitagorici e del Copernico». Aristotele traballava, Tolomeo anche. Un «grand'organo discordato» era ormai la filosofia contemporanea per Galileo che, dall'alto in basso, guardava «molti organisti affaticarsi in vano per ridurlo al perfetto temperamento», e li vedeva via via fallire, perché lasciavano «discordate tre o quattro delle canne principali», che impedivano la perfezione dell'armonia generale. Esser trattato da accordatore sordo non dovette piacere allo Scheiner, e dietro alla contesa che seguì riguardo al primato dell'osservazione delle macchie solari, che ognuno dei due rivendicava a sé, c'era probabilmente dell'altro.
Questo livore sotterraneo si sarebbe nel tempo accresciuto fino a diventare vero e proprio disprezzo reciproco, al punto che oltre vent'anni dopo Galileo, abbandonata l'ispirazione romantica delle metafore musicali, lo avrebbe trattato per le spicce da «animalaccio», «porco e maligno asinone», «poveraccio», «infelice», dietro alle cui «bamboccerie» non valeva proprio la pena di perder tempo. In confronto la mancanza d'orecchio era una quisquilia. La controversia con lo Scheiner inaugurava ufficialmente la relazione poco affettuosa fra Galileo e la Compagnia di Gesù, destinata a segnare pesantemente i suoi studi e la sua vita. Ma come si sarebbe presto accorto, i Gesuiti non erano gli unici da cui doversi guardare.
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Scheda a cura di Sara Bonechi
Data aggiornamento 16/gen/2008