Prato e territorio
L’aspetto intensamente urbanizzato della piana pratese nasconde inaspettati tesori naturalistici che, sin dal medioevo, furono sistematicamente sfruttati. Cascine modello popolarono una campagna particolarmente fertile e ubertosa, sperimentando tecniche di coltivazione innovative e introducendo per la prima volta in Italia piante esotiche come il riso. Accanto a questi centri produttivi nacquero ville grandiose esemplificate sui modelli vitruviani diffusi nella letteratura rinascimentale.
In località Tavola, a breve distanza dal centro di Prato, sorge una fattoria nata per volontà di Lorenzo il Magnifico alla fine del Quattrocento. Il complesso costituisce un esempio unico di cascina modello rinascimentale.
La fattoria conosciuta come "Cascina di Tavola" nacque a seguito dell'acquisto da parte di Lorenzo il Magnifico, avvenuto dopo il 1470, dell'area su cui sarebbe sorta anche la villa Ambra di Poggio a Caiano. La villa della Cascina di Tavola, attorno alla quale furono costruiti il parco di caccia recintato, noto come Barco Reale o Mediceo, ed il complesso di fattorie ed aziende che ricadeva nell'area di Tavola, lungo la sponda pratese dell'Ombrone, costituì il nucleo più antico a partire dal quale si sviluppò il complesso intervento di bonifica e contenimento delle acque.
Nel 1477 la fattoria, nata al servizio della villa, fu configurata da Lorenzo il Magnifico come esempio di azienda agricola modello di tipo rinascimentale, dove si producevano prodotti pregiati (coma miele e seta), si allevavano bestiame selezionato ed animali esotici da caccia (quali pavoni, conigli di razza spagnola, daini bianchi). La struttura della fattoria principale, tuttora visibile nonostante i rimaneggiamenti realizzati sino all'epoca del Regno d'Italia, conserva ancora un aspetto di fortilizio tardo medievale, con fossati e torri angolari concentrate attorno ad una corte centrale. La struttura, derivata dal trattato De Architectura di Vitruvio, fu opera di Giuliano da Sangallo, o secondo altri di Giuliano da Maiano.
Durante il granducato di Francesco I de' Medici la fattoria accentuò la sua funzione di studio dei nuovi sistemi di coltivazione, sino a costituire una delle prime piantagioni di riso nell'Italia dell'epoca. Questa coltura venne, però, bandita da Pietro Leopoldo di Lorena per contrastare lo sviluppo della malaria nella zona circostante.
Dagli anni Venti del Novecento la fattoria è proprietà privata, ma il parco che la circonda è aperto al pubblico e può essere visitato regolarmente.
(Gabriele Pratesi)
Lasciata Prato in direzione sud, in breve, grazie alla SS66 si perviene al borgo di Poggio a Caiano dominato dall’imponente mole della villa medicea Ambra. La costruzione, dovuta al Sangallo, mostra nella facciata la chiara ripresa di modelli architettonici classici.
Acquistata da Lorenzo il Magnifico nel 1479, la villa di Poggio a Caiano fu ricostruita da Giuliano da Sangallo secondo i precetti albertiani. Il complesso costituì, per tutto il secolo XVI, uno dei più importanti esempi di residenza principesca extraurbana nella quale i rapporti tra edificio e paesaggio circostante raggiungono un nuovo connubio. L'edificio è costituito da un blocco quadrangolare posto su un basamento ad arcate e caratterizzato in facciata da un portico con timpano ispirato a modelli antichi. All'interno il salone centrale presenta una ricca decorazione, voluta da Giovanni de' Medici (futuro Leone X), con la serie di affreschi iniziati da Andrea del Sarto e proseguiti prima dal Pontormo, poi da Alessandro Allori. Nei dipinti e negli affreschi di quest'ultimo compaiono spesso oggetti in vetro simili a quelli appartenenti alle suppellettili scientifiche dell'Accademia del Cimento.
Il complesso di Poggio a Caiano fu, oltre che un luogo di villeggiatura, un importante investimento terriero essendo situato in un'area molto produttiva. Il centro organizzativo degli interessi agricoli era una fattoria costruita, su progetto del Sangallo, nelle vicinanze della villa. L'impianto originario della tenuta è raffigurato fedelmente nella lunetta dell'Utens di Pratolino. La villa è posta al centro di un vasto possedimento con campi ben coltivati, piantagioni a frutto, boschi e un giardino segreto all'italiana. Del complesso faceva parte una riserva di caccia dove, oltre a cervi e lepri, si potevano incontrare animali esotici donati a Lorenzo il Magnifico dal Sultano di Babilonia. Intorno al 1570, per volere del Granduca Francesco I de' Medici, furono apportate varie modifiche tra cui il rifacimento, su progetto di Bernardo Buontalenti, della recinzione fortificata. Nel 1580 la villa fu visitata dal filosofo francese Montaigne. Spesso citata come il "Poggio", compare più volte nella corrispondenza di Galileo Galilei in quanto residenza del Granduca.
Durante la dominazione francese il parco fu ristrutturato secondo il modello naturalistico, che ne mutò la struttura ortogonale con una sistemazione tortuosa dei viali. Le aiuole del giardino segreto furono sostituite da ampi prati con bordo curvilineo e al centro vi fu posta una vasca con zampillo. Tra il giardino e il parco fu costruita una limonaia su progetto di Pasquale Poccianti al quale si deve anche la sostituzione delle scale rettilinee del Sangallo con una scala semicircolare. Nel 1919 la villa fu donata allo Stato italiano.
(Graziano Magrini)
Dalla villa, percorrendo le strade da viale 16 Aprile a viale Fratelli Cervi, si arriva in via di Galceti dove ha sede il Centro di Scienze Naturali. In un contesto idilliaco, l’istituzione coniuga l’attività di assistenza di animali bisognosi di cure con quella di museo noto per le sue collezioni di vertebrati e invertebrati provenienti dal territorio pratese.
Il Centro nacque nel 1967 grazie ad una convenzione tra il Comune di Prato e l'Azienda Autonoma del Turismo per la realizzazione di una struttura attorno alla quale aggregare interessi ambientali ed ecologici relativi al territorio regionale. Il Parco ambientale, costituito da un bosco di pini marittimi, si trova all'interno dell'area protetta del Monteferrato. Una delle principali attività ivi svolte è finalizzata ad accogliere animali bisognosi di cure e a favorirne il successivo riadattamento alla vita selvatica. Due laghetti sono utilizzati dagli animali acquatici per la sosta e la nidificazione. E' presente un sito archeologico che preserva una Stazione di Industria Paleolitica Mousteriana. Il Centro è inoltre dotato di una biblioteca e di una emeroteca specializzate nel settore ambientale, di una stazione di rilevamento termo-pluviometrica e di una sezione antincendi boschivi.
Fra le collezioni scientifiche del Museo di Scienze Naturali, si segnalano una raccolta paleontologica che comprende fossili di invertebrati e vertebrati rinvenuti nel territorio pratese; una raccolta litologica, di tipo sistematico, con minerali e rocce di provenienza principalmente regionale, ma anche nazionale ed estera; un erbario con specie presenti della zona, con particolare riferimento alla flora serpentinicola della Riserva del Monteferrato di Prato; una collezione zoologica di vertebrati e invertebrati, quasi tutti tassidermizzati (si tratta prevalentemente di animali ricoverati nel Centro e successivamente morti), provenienti soprattutto dalle zone limitrofe, sebbene non manchino reperti nazionali ed esteri.
L'attività scientifica del Centro è volta soprattutto all'analisi e allo studio del territorio. Propone tuttavia anche attività didattica e di diffusione culturale attraverso varie iniziative, molte delle quali si avvalgono di efficienti strutture, come laboratori di educazione ambientale ed ecoturismo, con visite al Centro e sul territorio. Dispone inoltre di un planetario, realizzato grazie alla collaborazione con il Gruppo Astrofili Quasar, costituito da una cupola fissa di quattro metri di diametro e da uno strumento in grado di proiettare la volta celeste, simulando i movimenti della Terra, della Luna, dei pianeti e delle stelle.
(Donato Monaco)
Ritornati verso Viale Fratelli Cervi, seguendo la strada verso est e percorrendo la pista ciclabile fra Prato e Vaiano, si giunge in località S. Lucia, dove sono visibili le imponenti strutture idrauliche del Salto del Cavalciotto. Questo complesso faceva parte di un articolato sistema di canalizzazione del Bisenzio che non mancò di suscitare l’interesse anche di Galileo Galilei.
La città di Prato era dotata di un complesso sistema di canalizzazione delle acque che, grazie a sbarramenti e gore, attraversava la città in varie direzioni. Le acque del Bisenzio erano incanalate a monte di Prato, nella zona detta salto del "Cavalciotto", intorno alla quale si espresse anche Galileo Galilei (le strutture idrauliche del "Cavalciotto" si incontrano lungo il suggestivo percorso ciclabile che da Prato sale verso Vaiano). Nei pressi di Porta al Serraglio le acque si ripartivano in quattro gore, di cui una, diretta verso la campagna, era utilizzata per l'agricoltura e per alcuni mulini e opifici, mentre le altre tre entravano in città, fornendo forza motrice alle varie manifatture cittadine.
Le minacciose piene del Bisenzio furono sempre oggetto di grande attenzione. Nel 1630 Galileo fu invitato dal Granduca Ferdinando II de' Medici, in qualità di suo matematico primario, a partecipare ad un sopralluogo presso il fiume Bisenzio, insieme all'architetto granducale Giulio Parigi e agli ingegneri Alessandro Bartolotti e Stefano Fantoni. La visita fu poi rinviata per dar modo a Galileo e a Parigi di esaminare le proposte elaborate dagli ingegneri. Bartolotti pensava di eliminare le tortuosità del fiume riducendolo a canale, mentre Fantoni riteneva che il fiume dovesse mantenere il suo corso naturale, intervenendo soltanto nei punti più pericolosi, soprattutto rafforzandone gli argini. Quest'ultima ipotesi fu sostenuta anche da Galileo in una lunga lettera a Raffaello Staccoli del 1631. Fantoni e Galileo, riconoscendo la causa principale delle inondazioni del Bisenzio, proponevano di liberare il letto del fiume, liberandolo dai depositi che provocavano il rialzamento del livello dell'acqua. In merito alle soluzioni proposte dal Bartolotti, lo scienziato pisano si espresse, invece, piuttosto criticamente, avvalendosi di alcuni ragionamenti matematici. Successivamente, Galileo denunciò la presenza dello stesso problema per altri fiumi dell’Osmannoro, per i quali esortò a prendere analoghi provvedimenti. Gli studi sul Bisenzio costituirono motivo di scambi epistolari tra Galileo, Benedetto Castelli, Andrea e Niccolò Arrighetti sul problema della velocità delle acque correnti. A Castelli, Galileo inviò copia della sua lettera allo Staccoli. Anche Cesare Marsili, nel 1631, scrisse a Galileo a proposito del Bisenzio, sottolineando le analogie tra questo fiume e il Reno.
(Graziano Magrini)
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Scheda a cura di Elena Fani
Data aggiornamento 21/gen/2008