Val di Cecina
La Val di Cecina costituiva la direttrice che dal mare conduceva ad una delle più potenti metropoli etrusche: Volterra. Sin dall’antichità l’economia della valle fu legata all’estrazione di due preziosi materiali: il sale e l’alabastro. Fu proprio in questa pietra calcarea che Volterra e i centri di produzione gravitanti attorno ad essa realizzarono, sin dal III secolo a.C., le urnette cinerarie ampiamente esportate in tutta l’Etruria settentrionale.
La storia della lavorazione dell’alabastro a partire dall’epoca etrusca può essere ripercorsa visitando le collezioni del Museo Etrusco Guarnacci di Volterra, che offre, oltre ad una importante raccolta di urnette, la ricostruzione di un'antica bottega.
Il Museo Guarnacci, uno fra i più antichi musei archeologici italiani, nacque alla metà del Settecento grazie alla donazione fatta dal sacerdote volterrano Mario Guarnacci a tutti gli abitanti di Volterra. Nel corso di oltre due secoli la raccolta si è arricchita di sempre nuovi reperti provenienti da Volterra e dal suo territorio.
Buona parte dell'esposizione è dedicata alle urne cinerarie in alabastro e tufo (qualche esemplare è anche in terracotta) prodotte a Volterra tra il III e il I secolo a.C. Non mancherà di interessare il visitatore alla ricerca di testimonianze scientifiche il laboratorio allestito al secondo piano del percorso espositivo. Qui, infatti, è stato ricostruito l'interno di una bottega antica per la produzione delle urne. Gli strumenti per la lavorazione dell'alabastro sono quelli dei moderni artigiani, che proseguono una tradizione millenaria usando utensili molto simili a quelli antichi.
Degni di interesse sono anche alcuni attrezzi chirurgici in bronzo (bisturi, spatole, pinze) probabilmente di età romano-imperiale.
(Elena Fani)
Gli sviluppi dell’estrazione e della lavorazione dell’alabastro in epoca successiva sono, invece, illustrati nei punti espositivi dell’Ecomuseo dell'Alabastro presenti nel territorio, fra i quali spicca quello di Volterra.
L'Ecomuseo dell'Alabastro si propone di studiare, conservare e valorizzare la caratteristica attività alabastrifera della zona che comprende i Comuni di Castellina Marittima, Santa Luce e Volterra. Il punto museale di Volterra propone l'itinerario della lavorazione e della commercializzazione dell'alabastro dagli Etruschi ai giorni nostri. Una sezione è dedicata alle tecniche ed un'altra alla storia della lavorazione.
(Graziano Magrini)
Ai piedi del colle su cui sorge la Volterra di epoca etrusca-medievale si trova, invece, una delle vene di salgemma più importanti d'Italia, il cui sfruttamento garantì per secoli la ricchezza della città. Della sua lunga storia si conserva ancora un ricordo sulle targhe apposte sulla palazzina costruita alla fine del Settecento in località San Leopoldo alle Saline.
Ai piedi del colle dove sorge l'antica Volterra si trovano alcuni tra i depositi di salgemma più vasti d'Italia. Questo prezioso materiale fu oggetto di sistematico sfruttamento sin dall'età etrusca anche se le prime testimonianze dirette risalgono al periodo romano. Attorno al 980 l'Imperatore Ottone II si rivolse, sembra, proprio a mastri salinari volterrani per dare inizio allo sfruttamento delle miniere di salgemma da poco scoperte in Sassonia. Sull'estrazione del sale si fondò, per tutto il Medioevo, l'economia della Val di Cecina e della stessa Volterra. A lungo il diritto di sfruttamento dei depositi fu oggetto di aspre contese tra il Vescovo-Conte e la nascente autorità comunale. Dopo la conquista fiorentina di Volterra (1472), le miniere saline furono sfruttate dalla famiglia Medici, ma fu solo con i Lorena che l'estrazione acquisì caratteri industriali. Fu in particolar modo Pietro Leopoldo a dare impulso al rinnovamento del complesso. Lo stesso Granduca, nel 1733, ci fornisce una delle descrizioni più vive e puntuali delle strutture produttive: «Le saline o sia le moie del sale... consistono in 5 pozzi d'acqua salata da ognuno de' quali si cava colle burbere 500 secchioni d'acqua ogni 24 ore, la quale acqua va per certi canali in una vasca di dove per altri canali va nelle 8 caldaie ove si fa il sale. Queste sono riunite sotto un medesimo capannone e sono di piombo; il fuoco vi è sotto giorno e notte continuamente tutto l'anno fuori che le pasque; ogni 3 ore con certi rastrelli di legno si tira fuori il sale dalla caldaia e si rimette poi della nuova acqua... A ogni caldaia sono tre uomini... Vi si consumano 100 some di legne il giorno per il fuoco ed intorno alle moie vi è un riserro di 5 miglia di cui tutti i legnami sono addetti al servizio delle moie. Ogni 3 mesi si rifanno le caldaie di piombo, vi è una gran forma di pietra per le medesime, sopra questa si butta il piombo in pezzi e un monte di fascine, si dà fuoco alle medesime, il piombo si strugge e piglia la forma della caldaia. A misura che il sale si cava dalle caldaie e che è prosciugato, si manda subito in sacchi nei magazzini di Volterra». Dopo l'annessione del Granducato al Regno d'Italia le saline divennero di proprietà Regia e successivamente passarono all'amministrazione dei Monopoli di Stato (oggi Atisale). Ancora oggi, sulla palazzina costruita tra 1787 e 1790 dall'architetto Filippo Grobert per volere del Granduca Leopoldo II, in Piazza della Salina, sono visibili le targhe commemorative.
(Elena Fani)
Percorrendo la valle verso il mare lungo la statale SR68/SS68, una breve deviazione sulla SP13 conduce al borgo medievale di Castellina Marittima dove si trova un secondo punto museale legato all’Ecomuseo dell’Alabastro.
A Castellina Marittima, nell'ex Palazzo Opera Pia, si trova il Punto Museale Centrale dell'Ecomuseo dell'Alabastro (altri punti museali si trovano a Volterra e a Santa Luce). Presenta alcuni documenti storici e strumenti utilizzati nella lavorazione dell'alabastro. L'allestimento è concepito per stimolare la visita del territorio. Giacimenti di alabastro sono presenti anche a Riparbella, a Montecatini Val di Cecina e a Volterra.
(Graziano Magrini)
Procedendo quindi verso Cecina, sulla costa del Tirreno, l’itinerario trova una sua naturale conclusione nella visita del Museo della Vita e del Lavoro, che illustra gli antichi mestieri delle genti che abitavano il territorio.
Il Museo, fondato nel 1992, raccoglie gli attrezzi del lavoro contadino nel territorio della Maremma settentrionale. Nel 2003 è stato inaugurato il nuovo allestimento nella sede della settecentesca Villa Guerrazzi. La collezione è organizzata per ambiti tematici: la lavorazione della terra (aratri, carri, falciatrici, trebbiatrici), il frumento (ventilatori, crivelli, tritaforaggi), il vino (sgrappolatrice, dissipatrice per uve, zolfatrice, tramogge). Fanno parte dell'allestimento anche alcuni strumenti per la tessitura.
(Francesco Marchetti)
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Scheda a cura di Elena Fani
Data aggiornamento 14/gen/2008