logo Museo Galileo - Istituto e Museo di Storia della Scienza

Val di Cornia - Val di Cecina

Val di Cornia - Val di Cecina

La ricchezza mineraria dell'area gravitante attorno alle Colline Metallifere ha costituito, seppur con fortune alterne, una delle principali risorse della regione nei secoli passati. Già sfruttati in epoca etrusca, i filoni metalliferi della zona furono riscoperti in età medievale ed ulteriormente valorizzati nella seconda metà del secolo XVIII grazie all'interesse del governo lorenese. Oggi, dopo il tramonto dell'attività estrattiva toscana, la risorsa del sottosuolo più sfruttata nel territorio è costituita dai soffioni boraciferi, utilizzati per la produzione di energia geotermica.

Per apprezzare al meglio il presente itinerario, che si sviluppa lungo un percorso di circa 110 km, si consiglia di partire dal Parco Archeologico di Baratti e Populonia, antica città metallifera etrusca situata a 23 km da Piombino.

Parco Archeologico di Baratti e Populonia
Parco Archeologico di Baratti e Populonia
    • L'area dell'antica città di Populonia si affaccia sul golfo di Baratti, non lontano dall'attuale Piombino. Unico centro etrusco ad affacciarsi direttamente sul mare, dovette la sua fortuna soprattutto allo sfruttamento delle miniere di ferro elbane. Il materiale grezzo, trasportato alle pendici del colle su cui sorgeva l'antico abitato, era lavorato in altoforni per ricavarne lingotti di ferro puro.

      Un'idea del volume del minerale lavorato a Populonia in oltre otto secoli di storia (dal IX a.C. al I a.C.) è data dalla massa di scorie ferrose accumulatesi nel tempo, oltre un milione di metri cubi. Tale massa aveva finito con l'obliterare del tutto le necropoli orientalizzanti di San Cerbone e del Casone.

      Durante la Prima Guerra Mondiale la fame di metallo spinse a riutilizzare le scorie etrusche, ancora ricche di materiale ferroso a causa dell'imperfetto processo di lavorazione antico; a tal fine si costituì una apposita società, la Ferromin, che in quaranta anni di lavoro (l'attività di prelievo cessò solo nel 1969) portò alla totale eliminazione dei resti della quasi millenaria attività siderurgica populoniese. Fu proprio asportando le scorie che vennero alla luce le monumentali tombe a tholos e a edicola, il cui ritrovamento segnò l'inizio della riscoperta dell'antica Pupluna.

      Ancora oggi, al di fuori della città vera e propria, in prossimità dell'antico scalo portuale, sono visibili i resti del quartiere industriale della Porcareccia, dove erano concentrati a partire dal VI secolo a.C. i laboratori per la trasformazione dei materiali ferrosi.

      Oggi l'intera area urbana dell'antica Populonia, che oltre alle necropoli e al quartiere industriale, comprende anche l'acropoli, è sistemata a Parco Archeologico. Una capillare segnaletica consente una visita accurata. È anche possibile partecipare a laboratori di archeologia sperimentale nei quali i visitatori apprenderanno le antiche tecniche di lavorazione della pietra e della ceramica.

      Il Parco Archeologico di Baratti e Populonia è inserito in un più ampio sistema di parchi dislocati sulla costa e nell'immediato entroterra. Oltre ad aree verdi di interesse naturalistico come i Parchi di Ripigliano, della Sterpaia e di Montioni, fa parte del percorso anche il Parco Archeominerario di San Silvestro.

      (Elena Fani)
Tipologia:
Cave e parchi minerari
Indirizzo:
Piombino, Baratti - Populonia
Interesse storico-scientifico:interesse 2

Interessante complemento alla visita dell’area archeologica di Populonia è il Parco Archeominerario di San Silvestro, aperto una decina di anni fa per documentare la millenaria attività estrattiva della Val di Cornia. Lo si può raggiungere da Baratti prendendo la SP23ter e imboccando, dalla via Aurelia Sud, via Botro Ai Marmi fino a raggiungere via di San Vincenzo in loc. Temperino.

Parco Archeominerario di San Silvestro
Parco Archeominerario di San Silvestro
    • Il Parco, inaugurato il 6 luglio 1996, si estende per 450 ettari nell'area collinare a nord di Campiglia Marittima. È nato per valorizzare e far conoscere uno straordinario "archivio all'aperto", nel quale la ricerca archeologica ha ricostruito le tracce di un'attività estrattiva iniziata nel VII secolo a.C. e continuata fino ai giorni nostri. All'ingresso del Parco, i vecchi edifici minerari ristrutturati ospitano, oltre ai servizi di accoglienza, il Museo Mineralogico e Archeologico e il Museo della Miniera. Il primo conserva una raccolta omogenea di reperti mineralogici provenienti dalla zona di Campiglia Marittima, raccolti tra il 1995 e il 1996; la collezione archeologica è costituita da reperti lapidei, ceramici e metallici provenienti dallo scavo della Rocca di San Silvestro, condotto tra il 1984 e il 1992. Il Museo della Miniera illustra l'evolversi della tecnologia mineraria nel Campigliese. Particolarmente imponenti sono i resti dell'abitato medievale, conosciuto originariamente come Rocca del Palmento (per la probabile presenza di un frantoio) e appartenuto prima ai Conti della Gherardesca e successivamente (secoli XII-XIII) alla famiglia Della Rocca. A quest'ultimo periodo risale la divisione del villaggio in aree funzionali: la dimora signorile con la torre quadrata e le cisterne in alto, vicino alla chiesa, la zona delle fornaci per la trasformazione del rame e del piombo argentifero destinati alla zecca di Pisa, ad occidente, e l'area per la lavorazione del ferro esterna alle mura. Il precoce abbandono del centro, avvenuto già nel secolo XIV, ne ha preservato mirabilmente i lineamenti antichi. Parimenti interessante risulterà, infine, la visita alla Miniera del Temperino che, grazie ad un percorso attrezzato, illustra in loco, la millenaria attività estrattiva che dal periodo etrusco si è protratta fino agli anni Settanta del Novecento.

      Il Parco Archeominerario di San Silvestro è inserito nel sistema dei Parchi della Val di Cornia, un complesso costituito da sei parchi gestiti dalla società Parchi Val di Cornia SpA.

      (Francesco Marchetti)
Tipologia:
Cave e parchi minerari
Indirizzo:
Campiglia Marittima, loc. Temperino, Via di San Vincenzo 34/b
Interesse storico-scientifico:interesse 1

A documentare la rinnovata fortuna dell'attività estrattiva in tempi più recenti, la Val di Cecina offre due testimonianze di grande interesse scientifico. La prima è costituita dal Museo delle Miniere di Montecatini, località legata allo sfruttamento del rame e alla storica industria Montedison. Vi si arriva continuando per la via di San Vincenzo, imboccando la SS1 in direzione Livorno, girando sulla SS68 e la SP32 fino a Montecatini Val di Cecina.

Museo delle Miniere di Montecatini
Museo delle Miniere di Montecatini
    • Nonostante la fortuna del sito minerario sia collocabile fra gli inizi dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, le prime notizie documentate risalgono al 1469 e si sono susseguite, con alterne vicende, fino al 1827, anno in cui – come ricorda lo storico e naturalista Emanuele Repetti nel suo Dizionario geografico fisico storico della Toscana – fu ripreso lo sfruttamento della miniera. Il paese ha indubbiamente rappresentato un centro importantissimo nell'estrazione del rame, tanto da dare il nome ad una delle maggiori industrie estrattive d'Europa: la Montecatini, in seguito denominata Montedison.

      Il Museo è collocato nello storico palazzo Pretorio (del secolo XII, ma più volte rimaneggiato), sede comunale fino al 1953. Nella loggetta del palazzo si trova una lapide che mette a confronto le antiche unità di misura con quelle adottate dal Sistema Metrico Decimale. Sulla facciata di una civile abitazione di fronte al palazzo, si osserva una meridiana di marmo.

      Il Museo presenta la documentazione dell'attività estrattiva tra il 1827 e il 1927. È inserito in un affascinante circuito espositivo territoriale che mostra i luoghi legati all'estrazione dei minerali. Fra questi merita di essere segnalato il sito di Caporciano, il più ricco di rame d'Europa, con l'ingresso della miniera, dal quale si origina il sistema di gallerie e discenderie, le costruzioni circostanti, riservate prevalentemente a funzioni amministrative, e la guardiola, dalla quale il corpo di sorveglianza controllava l'accesso alla miniera e agli uffici.

      Salendo lungo la strada, nella zona soprastante l'ingresso principale della miniera di Caporciano, si incontra il Pozzo Alfredo, principale luogo di estrazione del minerale. Inaugurato nel 1855, con i suoi 315 metri circa di profondità univa i vari piani di gallerie. Il pozzo era dotato di una macchina a vapore alimentata da due caldaie che estraeva il minerale e introduceva i materiali necessari per le operazioni dei minatori.

      La diga del Muraglione, infine, assolveva il compito di garantire le necessità idriche della miniera.

      L'insieme, mirabilmente recuperato, costituisce un efficace itinerario storico nel campo dell'estrazione del rame, sia da un punto di vista tecnico-scientifico sia dal punto di vista sociale.

      (Graziano Magrini)
Tipologia:
Cave e parchi minerari
Misura del tempo
Indirizzo:
Montecatini Val di Cecina, Piazza Garibaldi (centro di documentazione); loc. La Miniera (area mineraria)
Interesse storico-scientifico:interesse 2

Per concludere, una deviazione a Larderello, a 30 km da Montecatini passando lungo la SS439 attraverso Saline di Volterra, permetterà di visitare la zona dei soffioni boraciferi e il Museo della Geotermia ad essi legato.

Museo della Geotermia Enel
Museo della Geotermia Enel
    • «Monte Cerboli – così lo descriveva il Granduca Pietro Leopoldo di Lorena – è un piccolo castello di 3 in 400 anime, passato il quale a un miglio si trovano in una valletta tutta erbosa per il giro di un miglio grandissime aperture e vari fumacchi [...]. In molti l’acqua non bolle più, altri sono secchi e fumano solamente; molti poi sono laghetti di acqua che bolle con grand’impeto, in altri è spinta fuori l’acqua 4 o 5 braccia con rumore; in molti si sente escire di sotto terra il vento solamente con gran strepito e si vede che fanno continue mutazioni, in un luogo se ne spengono, altrove se ne aprono di nuovi».

      Le manifestazioni naturali della zona di Larderello (lagoni, soffioni e sorgenti d’acqua calda) erano già note agli Etruschi e ai Romani, che utilizzavano i sali di boro per uso farmaceutico e per la preparazione di smalti. Nel Medioevo e nel Rinascimento proseguì l’utilizzazione termale e farmaceutica delle acque.

      Nella seconda metà del Settecento, in seguito alla scoperta dell’acido boracico nei lagoni volterrani ad opera del chimico Uberto Francesco Hoefer, direttore delle spezierie granducali, iniziarono i primi tentativi di sfruttamento economico. Il grande anatomista Paolo Mascagni, nativo di Pomarance, forniva una efficace descrizione dei lagoni: «Si chiamano lagoni nel Volterrano e nel Senese certi spazi di terreno di maggiore o minore estensione, spogliati di vegetabili, dove è contenuta in certi incavi dell’acqua, che bolle con più o minore strepito, dalla cui superficie si solleva una bianca nuvola di vapori più o meno densa, che forma un fumo, che si dissipa per l’aria, e fa sentire a gran lontananze un forte odore di fegato di solfo. A cagione di questo fumo in alcuni luoghi son chiamati fumacchi, altrove come a Viterbo bulicami».

      Nel 1818 Francesco Giacomo Larderel, un commerciante di origine francese, impiantò presso Montecerboli il primo nucleo industriale per la produzione del borace e in pochi decenni l’industria boracifera, grazie alle continue innovazioni tecniche, divenne un modello d’avanguardia nel panorama industriale e tecnologico toscano. Fu così che nel 1846 il Granduca Leopoldo II di Lorena, per rendere omaggio al fondatore dell’industria boracifera, dette ad un abitato della zona il nome Larderello. Altre fabbriche furono costruite a Lustignano, Serrazzano, Monterotondo, Castel Nuovo, Sasso e Lago.

      Attualmente i soffioni sono utilizzati nel settore dell’energia geotermoelettrica. Il primo storico esperimento di produzione geotermolettrica risale al 4 luglio 1904, quando con un motore a pistoni azionato da vapore ottenuto in uno scambiatore di calore, alimentato da un pozzo di vapore di Larderello e collegato ad una dinamo di 10 kw, furono accese cinque lampadine di pochi watts ciascuna, che permisero tuttavia di verificare la possibilità di produrre energia mediante fluidi geotermici. Nel 1913 si ebbe l’installazione della prima centrale geotermica del mondo.

      La storia dell’industria boracifera e dello sfruttamento industriale dell’energia geotermica è ricostruita, grazie ad un dettagliato ed interessante apparato iconografico, documentario e strumentario, dal Museo della Geotermia, fondato nel 1956 dalla Larderello Spa. Le origini del Museo risalgono alla piccola esposizione divulgativa allestita a Palazzo De Larderel alla fine dell’Ottocento. Oggi la proprietà appartiene alla ENEL Greenpower Spa ed il Museo è ospitato in una sede provvisoria (una cupola geodetica), in attesa della conclusione dei restauri di Palazzo De Larderel.

      La collezione si compone di reperti storici, databili da metà Ottocento a metà Novecento, legati allo sfruttamento delle sorgenti boracifere. Comprende campioni di minerali e rocce, macchinari per la perforazione, strumenti e macchinari delle centrali elettriche, apparati scientifici vari, compresa la strumentazione della vecchia farmacia di Larderello. Della collezione fanno parte inoltre plastici relativi allo sviluppo dell’area di Larderello, ai metodi di estrazione dell’acido borico, alle attività di perforazione e di produzione di energia elettrica. La collezione presenta, inoltre, registri contabili, carte geologiche e documentazione relativa all’attività produttiva. La biblioteca e l’archivio del Museo sono in deposito presso l’archivio storico dell’ENEL a Firenze.

      (Graziano Magrini)
Tipologia:
Musei della scienza e della tecnica
Indirizzo:
Pomarance, Larderello, Piazza Leopolda
Interesse storico-scientifico:interesse 1

****************************

Scheda a cura di Elena Fani

Data aggiornamento 01/feb/2008