Valdinievole
La ricchezza di acque e la presenza di fenomeni geotermici hanno da sempre condizionato l’economia del territorio. La forza motrice dei torrenti Pescia e Nievole ha infatti favorito, fin dal Medioevo, la nascita dell’industria della carta e della lavorazione dei minerali, mentre dal XV secolo lo sfruttamento a fini termali dell’acqua solforosa del distretto di Montecatini offrì una fonte di guadagno sino a quel momento insospettata.
Usciti dall’autostrada A11 all’altezza del casello Chiesina Uzzanese e percorsa per circa 10 km la SP13 si perviene a Pescia. Oltrepassata la cittadina lungo la SP3 si raggiunge dopo altri 2 km, in località Pietrabuona, il Museo della Carta che documenta l'attività manifatturiera attraverso un'esposizione di attrezzi e macchinari storici.
Forse già nel Medioevo esistevano a monte della città di Pescia alcune cartiere. Tuttavia notizie certe della loro presenza si registrano solo nei secoli successivi ed è soprattutto nella seconda metà del Settecento che gli opifici di Pescia, grazie all'abolizione della privativa della carta ad opera del Granduca Francesco Stefano di Lorena, superarono per numero e per importanza quelli di Colle di Val d'Elsa, che a lungo era stata la capitale della produzione cartaria. Fu così che, nell'Ottocento, Pescia divenne il più importante centro di produzione cartaria del Granducato.
Le cartiere utilizzavano come forza motrice le acque del torrente Pescia attraverso una fitta rete di canali e gore. Le materie prime erano gli stracci, soprattutto di canapa e di lino, e i carnicci, cioè i frammenti di carne che rimangono attaccati alle pelli degli animali. Nel "Regolamento dell'arte della carta all'uso di Toscana con i suoi rispettivi scandagli tratti dagli usi antichi e moderni soliti praticarsi negli edifizi di Pescia in Toscana e nello Stato di Genova", redatto attorno al 1820, sono indicati i macchinari, i metodi di lavorazione e la ripartizione della mano d'opera all'interno di una cartiera. In un opificio ad un solo tino, per esempio, il piano terreno era utilizzato per le pile, per il tino e per la caldaia. Al secondo piano erano collocati lo "stracciatoro" per stracciare i cenci, le botteghe e l'abitazione per "il reggente di pile"; al terzo piano l'abitazione per i lavoranti e per il direttore; al quarto lo spanditoio, un'unica grande stanza con ampi finestroni, per l'essiccazione dei fogli di carta.
Per documentare questa storica attività manifatturiera, nel 1992 è stato fondato il Centro di Documentazione sulla Lavorazione della Carta che, successivamente, ha allestito un suggestivo apparato museale, articolato in due poli: il Centro di Documentazione sulla Lavorazione della Carta, che espone modelli didattici dei macchinari, e l'ex cartiera "Le Carte", che conserva antichi apparati (alcuni risalenti al Settecento) per la produzione artigianale di carte speciali.
La collezione è costituita dagli attrezzi e macchinari (tini, pile sfilacciatrici, macchinari per la preparazione degli impasti, torchi manuali, una pressa e una turbina idraulica) utilizzati nella cartiera "Le Carte". Al piano terra si trovano gli impianti nella loro collocazione originale. La collezione comprende anche macchine manuali per la lavorazione della carta, come rigatrici e cesoie, oltre a filigrane e modelli di carte pregiate, fra cui quella scelta da Napoleone Bonaparte per le sue partecipazioni di nozze.
(Graziano Magrini)
Sempre percorrendo la SP3 in direzione nord si arriva a Vellano, dove ha sede il Museo Storico Etnografico del Minatore e del Cavatore, le cui collezioni vantano macchinari, strumenti, e minerali.
Il Museo è stato istituito nel 1999 grazie al lavoro di raccolta, iniziato nel 1967, di Publio Biagini, figlio di uno scalpellino, divenuto poi proprietario di una delle tante cave di pietra serena della zona. Si propone di documentare le tradizionali attività estrattive e la lavorazione della pietra serena di Vellano, capoluogo della "Svizzera Pesciatina", attraverso un percorso espositivo ricco di strumenti, macchinari e manufatti, completato da ricostruzioni a grandezza naturale di interni di miniere, con effetti visivi e sonori.
La collezione di attrezzi da miniera è costituita da strumenti in dotazione ai minatori, soprattutto nei secoli XIX e XX, anche se non mancano testimonianze più antiche. In particolare comprende utensili da scavo a mano e a motore, esplosivi e dotazioni da polveriera, oggetti per illuminazione, maschere, elmetti e borracce, reagenti chimici e strumenti per il riconoscimento del materiale estratto. Ne fa parte anche una raccolta geo-paleontologica e una collezione mineralogica che presenta numerose varietà di minerali rinvenuti in Toscana, molti dei quali rari. Le collezioni sono esposte in tre sale, mentre nel giardino sono collocati i macchinari di grandi dimensioni.
(Donato Monaco)
Da Vellano la SS633 conduce, in meno di 20 km, a Montecatini, località che da secoli lega il suo nome allo sfruttamento delle celebri acque termali. L’impianto più antico è quello detto del Tettuccio, che sorge sul sito del Bagno Nuovo frequentato fin dal XV secolo.
Già agli inizi del secolo XV, Ugolino da Montecatini, nel suo Tractatus de Balneis, prescriveva alcune regole per la cura termale: l'acqua del "Bagno Nuovo", detta poi del Tettuccio, «scioglie mirabilmente il ventre e provoca il vomito; apre le oppilazioni soprattutto dei reni e scioglie talvolta i calcoli. Uccide ed espelle i vermi; rinvigorisce l'appetito. Va bene al mattino per tre giorni consecutivi: la cura dev'essere continuata finché l'acqua non venga espulsa limpida come viene ingerita. Un gran numero di uomini e di donne, di solito contadini o artigiani di Pistoia, di Prato e anche di Firenze, si recano a queste terme senza attenersi ad alcuna norma. Vidi alcuni bere perfino un barile di quest'acqua e poi espellerla limpidissima».
Nel 1430 la creazione di una peschiera nel vicino Padule di Fucecchio, voluta dalla Repubblica di Firenze, causò problemi per lo scolo delle acque dei Bagni. Iniziò così un lungo periodo di declino, nonostante che le acque di Montecatini fossero consigliate da illustri scienziati, come Gabriele Falloppia, Andrea Bacci, Andrea Cesalpino, Pompeo della Barba, Francesco Redi ed altri. Il Redi le consigliava come rimedio nelle dissenterie e nelle coliche.
Finalmente, nella seconda metà del secolo XVIII, il Granduca Pietro Leopoldo di Lorena, abbattuta la peschiera, riedificò i Bagni, dando avvio ad una felice stagione per le terme. Nel 1788 Alessandro Bicchierai pubblicò un trattato (Dei Bagni di Montecatini) nel quale superava la tradizione puramente descrittiva a favore di nuovi metodi di analisi che stabilivano la natura e le proprietà delle acque.
Nel secolo XIX Montecatini ed altre importanti stazioni termali della Toscana, come Bagni di Pisa e Bagni di Lucca, raggiunsero il massimo splendore, divenendo luoghi frequentati da celebri personalità italiane ed europee. Nell'agosto 1918 Maria Sklodowska-Curie, illustre scienziata polacca, con i chimici Camillo Porlezza e Raffaello Nasini, misurò la radioattività delle acque termali del Tettuccio. Oggi, con i suoi eleganti stabilimenti, Montecatini è uno dei centri termali più noti d'Europa.
Meta di artisti per tutto il XX secolo, Montecatini costituisce un capolavoro di città-giardino delle arti. Con i suoi eleganti stabilimenti, è uno dei centri termali più noti d'Europa.
(Graziano Magrini)
Sempre in loco, di particolare interesse per gli appassionati di ingegneria, è l’antica funicolare che dalla fine dell’Ottocento mette in comunicazione Montecatini Basso con il borgo medievale posto sulla sommità della collina.
I lavori per la funicolare che collega Montecatini Terme a Montecatini Alto furono iniziati il 1° marzo 1897 e furono terminati l'anno successivo su progetto dell'ingegnere genovese Alessandro Ferretti. Il 4 giugno 1898 vi fu l'inaugurazione, alla quale partecipò anche Giuseppe Verdi. I due trenini rossi, originali, sono costituiti da tre scompartimenti con panche di legno e due balconcini esterni e percorrono un tragitto di 1.055 metri arrivando ad una pendenza massima del 38,5% (20,5% è la pendenza media). Fino al 1921 la trazione avveniva tramite una grossa caldaia a vapore, sostituita poi da un motore elettrico. Gli impianti della funicolare furono in più parti minati nel 1944 da una pattuglia di guastatori in ritirata, poi ripristinati nel 1949. Nel 1977, a causa della mancanza di rinnovo delle strutture, la funicolare fu chiusa per essere riaperta nel 1982 grazie alla Regione Toscana che ha permesso il restauro delle vetture e l'istallazione di modernissime apparecchiature. Ancora oggi, dunque, si può prendere il trenino ed ammirare lungo il tragitto uno straordinario panorama.
(Graziano Magrini)
Monsummano, grazioso paese posto a breve distanza da Montecatini e raggiungibile tramite la via Empolese/SR436/SS436, fu celebre a partire dalla metà dell’Ottocento per le sue grotte sfruttate a fini terapeutici. L’esempio più suggestivo e meglio conservato è rappresentato dalla Grotta Giusti.
Il termalismo a Monsummano si sviluppò grazie alla casuale scoperta, nel 1849, nella parte sud del monte che sovrasta la cittadina, di una grotta calda naturale in una cava di pietra appartenuta a Domenico Giusti, padre del celebre poeta satirico Giuseppe Giusti. Dopo i primi interventi per sistemare la grotta, la famiglia Giusti iniziò, dal luglio 1853, lo sfruttamento economico di questa nuova e inaspettata risorsa. «L'aria di questa caverna – scriveva Antonio Targioni Tozzetti che l'aveva analizzata per primo – carica di vapore ed a conveniente temperatura naturalmente riscaldata, offre un eccellente mezzo di farvi i bagni a vapore e con gran benefizio della salute, come l'esperienza lo ha evidentemente dimostrato». Sulla facciata dell'edificio che dà accesso alla grotta si osserva un complesso ed elegante orologio solare realizzato da Carlo Cataldi nel 1898.
Oggi Monsummano Terme è uno dei centri di antroterapia più noti d'Europa. Presso il Museo della Città e del Territorio è allestita una sezione sulle attività termali che documenta la storia del termalismo monsummanese e il fenomeno del turismo termale.
(Graziano Magrini)
Il multiforme Museo della Città e del Territorio all'interno del paese, offre invece, con le sue raccolte, uno spaccato a 360° della storia e della cultura della Valdinievole e del padule di Fucecchio.
Fondato nel 1998, il Museo è situato nell'antica Osteria dei Pellegrini. Raccoglie materiali di natura e di ambito disciplinare diversi, risultando dunque articolato in varie sezioni: Geologia e Palentologia, Ambiente e Storia, Archeologia, Padule di Fucecchio, Fattorie Granducali, Monsummano da Santuario a città, Arte Sacra e religiosità popolare, Tesoro di Maria Santissima della Fontenuova, Valdinievole "felix", Attività Termali, Attività produttive e industriali. Filo conduttore del percorso sono le interazioni fra l'uomo e l'ambiente e le forme di organizzazione del territorio verificatesi nel corso del tempo fino ad oggi.
In particolare, la collezione geo-paleontologica raccoglie reperti fossili e campioni delle rocce del colle di Monsummano, con specifica attenzione per i marmi utilizzati in alcune prestigiose opere architettoniche. La collezione cartografica comprende una serie di carte storiche originali e un atlante, databili tra Settecento e Ottocento, che anticipano di alcuni decenni le mappe geometriche dei catasti particellari del Granducato toscano, nonché numerose riproduzioni di mappe e carte dei secoli XVI e XVII. Queste ultime documentano le modificazioni ambientali indotte dagli interventi di regimazione delle acque e bonifica del padule di Fucecchio. Una serie di attrezzi e di fotografie illustrano modalità di svolgimento del lavoro e cicli produttivi connessi alla pesca, alla raccolta di erbe palustri e alla produzione calzaturiera. Da menzionare anche le due imbarcazioni per la navigazione palustre: il "barchino" e il barcone o "navicello".
Il Museo rappresenta il primo nucleo sul quale sarà costituito il Sistema Museale della Valdinievole, costituendo il referente didattico per percorsi e itinerari che interessano i beni culturali dell'area.
(Graziano Magrini)
Ideale completamento dell’itinerario è, infine, la Riserva Naturale del Padule di Fucecchio, a circa 6 km da Monsummano, il cui Centro di Ricerca documenta e promuove la valorizzazione di questo particolare territorio.
Appartenuto fino ai primi del secolo XIV alla Repubblica lucchese, il lago-padule di Fucecchio, circondato dai Monti Pisani, dal Monte Albano e dalle colline di Cerreto Guidi, passò alla Repubblica fiorentina nel 1328. Dopo parziali interventi di bonifica, fu Cosimo I de' Medici a commissionare, nel 1549, a Luca Martini la sistemazione idrica del lago per farne un vasto bacino riservato alla pesca. Martini propose di alleggerire la portata della Usciana, l'emissario del lago, con la costruzione della chiusa di Ponte a Cappiano.
Leonardo raffigura e menziona più volte il Padule di Fucecchio, fin dal disegno del 5 agosto 1473 (GDS, Uffizi), negli studi idrografici (RLW 12277) e come meta del grandioso progetto per la deviazione delle acque dell’Arno da Firenze attraverso Prato, Pistoia, Serravalle e la Val di Nievole (RLW 12685 e 12279; Codice di Madrid II, f. 22v-23r; Codice Atlantico, ff. 127r e 1107r.
Agli inizi del secolo XVII Ceseri Frullani di Cerreto Guidi scrisse due opere (Gl'avvenimenti del lago di Fucecchio e modo del suo governo, e i Discorsi di cose create et non venute alla luce intorno al lago di Fucecchio e sua vicinanza) nelle quali sosteneva la necessità di alzare il livello delle acque del lago, con vantaggi per la pesca e per la salubrità dell'aria. Il problema della bonifica fu affrontato nuovamente dal discepolo di Galileo Galilei, Vincenzo Viviani, che, nel 1670, analizzò alcuni emissari del lago, soprattutto il Pescia, proponendo deviazioni per il recupero di terreni da annettere alle fattorie granducali. Nel 1678 e nel 1682 studiò il corso della Usciana e lo stato della chiusa di Ponte a Cappiano.
A partire dal 1780 il Granduca Pietro Leopoldo di Lorena promosse un'opera di bonifica e risanamento della pianura che prevedeva l'abbattimento della chiusa di Ponte a Cappiano, la riescavazione di fossi e canali navigabili e una serie di provvedimenti per incrementare l'attività agricola e commerciale della zona. Questi lavori furono accompagnati dalla donazione, nel 1796, del "chiaro" del Padule alle Comunità confinanti. Agli inizi del secolo XIX furono avviati studi botanici ed ittici, ma la situazione si presentava ancora problematica soprattutto per le piene dell'Arno che interessavano l'area a valle di Ponte a Cappiano. Sin dal 1795 Vittorio Fossombroni aveva studiato dei provvedimenti per risolvere questo problema, ma furono recepiti solo nel 1826 dal Granduca Leopoldo II che incaricò l'ingegnere Luigi Kindt di edificare le cateratte di Ponte a Cappiano. Al 1860 risale un progetto di completo prosciugamento del Padule, mai realizzato, mentre gli ultimi interventi di bonifica risalgono al 1931.
Oggi l'area è controllata dal Consorzio di Bonifica del Padule di Fucecchio, la cui opera di manutenzione ha consentito di migliorare le condizioni igienico-ambientali della zona umida e di configurare il bacino come riserva naturale. Alla conservazione e valorizzazione dell'area del Padule e del Lago di Sibolla si dedica il Centro di Ricerca, Documentazione e Promozione del Padule di Fucecchio, costituito da rappresentanti di Enti Pubblici e Associazioni. Il Centro produce materiale scientifico e divulgativo, organizzando al tempo stesso visite didattiche e turistiche. Gestisce, inoltre, il Laboratorio per l'Educazione Ambientale nel Padule di Fucecchio, che promuove itinerari didattici di tipo naturalistico e storico ambientale.
(Graziano Magrini)
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Scheda a cura di Elena Fani
Data aggiornamento 28/feb/2008