Firenze - Sulle orme di Galileo
Galileo visse a Firenze gran parte della sua vita: vi passò l’adolescenza compiendovi i primi studi, vi si stabilì definitivamente, una volta nominato Primario Matematico e Filosofo del Granduca di Toscana. Di alcune fra le sue residenze non è rimasta traccia e si hanno scarse notizie dal carteggio e dai documenti. Altre sopravvivono intatte, così come intatti restano luoghi e monumenti in qualche modo legati alle sue spesso tempestose vicende biografiche.
Il domenicano Tommaso Caccini, partito col lanciare strali contro Galileo e le sue convinzioni copernicane durante le funzioni religiose officiate nella Basilica di Santa Maria Novella, arrivò a deporre spontaneamente di fronte al Sant’Uffizio e fu una delle principali cause del processo istruito contro Galileo nel 1616.
La basilica di Santa Maria Novella costituisce un esempio concreto dello stretto rapporto tra scienza e arte. Nella seconda metà del Quattrocento fu affidato a Leon Battista Alberti il completamento della facciata, dove gli elementi medievali furono mirabilmente armonizzati con le parti nuove del progetto albertiano. Le relazioni delle parti fra loro e con il tutto sono stabilite da un armonico sistema proporzionale derivato dai semplici rapporti (uno a uno, uno a due, uno a tre, ecc.) che stanno alla base dell'armonia musicale. Questo sistema permise all'Alberti di definire la posizione e la dimensione di ogni elemento del prospetto. Il rapporto di uno a due governa la composizione dell'intera facciata, che risulta inscritta in un quadrato, mentre un quadrato minore (con lato pari alla metà di quello maggiore) stabilisce il rapporto tra i due piani, scompone la parte inferiore e circoscrive la parte centrale superiore. Questa relazione è mantenuta per tutti gli elementi del prospetto, cosicché tutta la facciata risulta costruita geometricamente sulla base di un progressivo dimezzamento o raddoppio delle misure, mantenendo sempre la stessa proporzione.
All'interno della Basilica si trova la celebre Trinità di Masaccio che, costruita entro uno spazio architettonico concepito secondo la regole prospettiche di Filippo Brunelleschi, costituisce un altro esempio del felice connubio fra scienza del disegno ed espressione artistica.
Nella seconda metà del Cinquecento, il domenicano Egnazio Danti, astronomo, matematico e geografo alla corte di Cosimo I de' Medici, collocò sulla facciata due strumenti astronomici che utilizzò per studiare il moto apparente del Sole. Sulla sinistra si trovano due cerchi equinoziali, sulla destra un quadrante il cui basamento reca due orologi solari. Sui riquadri marmorei della facciata, ai lati del quadrante, sono incisi altri due orologi solari. I calcoli eseguiti dal Danti furono importanti per correggere il calendario fino ad allora utilizzato. Il nuovo calendario, detto gregoriano da Papa Gregorio XIII, che ne promosse la riforma, stabilì che al giorno 4 ottobre 1582 seguisse immediatamente il 15 ottobre. In questo modo fu corretto un piccolo errore presente nel calendario promosso da Giulio Cesare, detto appunto giuliano. Nella stessa chiesa il Danti avviò, ma non portò a termine, anche la costruzione di un orologio solare monumentale. Sopra il rosone, nella fascia verde, al centro, si vede ancora il foro gnomonico, attraverso il quale il raggio di Sole avrebbe dovuto colpire la linea meridiana sul pavimento della chiesa.
La chiesa è associata anche alla figura di Galileo Galilei. Nel dicembre 1614, dal pulpito della chiesa, il domenicano Tommaso Caccini denunciò il carattere eretico del sistema copernicano, coinvolgendo anche Galileo che ne era un sostenitore. A questo reagirono alcuni discepoli dello scienziato pisano e Caccini ne riferì all'Inquisitore di Firenze perché frenasse «certi petulanti ingegni». Nelle lettere a Benedetto Castelli del 1613 e a Cristina di Lorena del 1615, Galileo rivendicò l'autonomia della scienza dalla fede. Il 24 febbraio 1616 la Chiesa di Roma condannò la tesi eliocentrica e il 5 marzo decretò la sospensione dell'opera di Copernico fino a quando non fosse stata corretta. Con l'ammonizione a Galileo ad abbandonare l'ipotesi copernicana, da parte di Bellarmino, si concluse quello che viene definito il primo processo a Galileo.
(Graziano Magrini)
Durante il periodo in cui Galileo risiedeva a Padova, la madre e la sorella Virginia vivevano in una zona di pertinenza della Chiesa del Carmine. Proprio in questa chiesa, raggiungibile a piedi attraverso Ponte alla Carraia, fu sepolta nel 1620 Giulia Ammannati.
La chiesa, iniziata nel 1268, venne terminata durante la seconda metà del Quattrocento (1476); trasformata durante il XVI ed il XVII secolo, nel 1771 fu per gran parte distrutta da un incendio e pertanto ricostruita, nelle sue forme attuali, entro il 1775. L’immane rogo risparmiò della struttura originale solo l’esterno, la sacrestia e le cappelle Corsini – progettata in età barocca da Pier Francesco Silvani – e Brancacci. La decorazione ad affresco della cappella Brancacci, affidata a Masolino e a Masaccio, fu intrapresa probabilmente nel 1424 ma si interruppe intorno al 1427-1428 quando Masaccio lasciò Firenze per Roma. Rimasta incompiuta, l’opera fu portata a compimento, dopo il 1480, da Filippino Lippi. Il ciclo, uno dei più importanti della pittura italiana, rappresenta la storia della salvezza umana che il sacrificio di Cristo ha reso possibile e che la chiesa realizza attraverso Pietro. Nei suoi affreschi Masaccio dette un saggio mirabile di applicazione della prospettiva al cui studio egli si dedicò, in quegli stessi anni, unitamente a Brunelleschi e Donatello e che, in seguito, verrà teorizzata e messa in pratica, fra gli altri, da Leon Battista Alberti e Piero della Francesca.
In questo stesso periodo la chiesa fu anche luogo privilegiato per la messa in scena di episodi del Nuovo Testamento, in occasione dei quali erano applicati i cosiddetti "ingegni", cioè complessi meccanismi e sistemi di illuminazione destinati a vivacizzare queste sacre rappresentazioni. Dell’Ascensione, che si rappresentava presso Santa Maria del Carmine, e di altre simili manifestazioni si trova menzione nelle descrizioni quattrocentesche del prelato russo Abramo di Soudzal e ancora nel Cinquecento in opere del Vasari (Vita del Cecca e Vita di Filippo Brunelleschi) e di Niccolò Fabbrini. Queste fonti costituiscono una rara testimonianza delle applicazioni tecniche dell'epoca a fini scenografici.
Da sottolineare, infine, come, sin dagli anni del soggiorno padovano di Galileo, la casa di famiglia si trovasse proprio in uno dei quartieri di pertinenza della chiesa di Santa Maria del Carmine. Vi risiedevano probabilmente la sorella Virginia Galilei col marito Benedetto Landucci e la madre Giulia Ammannati, che proprio in quella chiesa fu seppellita nel 1620.
(Nicoletta Baldini)
A circa 2 km di distanza dalla Chiesa del Carmine, proseguendo lungo via dei Villani e via di Bellosguardo, si arriva alla Villa dell’Ombrellino. Situata sulla collina di Bellosguardo, fu abitata da Galileo dal 1617 al 1631. Numerose le osservazioni telescopiche effettuate dalla sua favorevolissima posizione.
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La villa, già documentata alla fine del secolo XIV, appartenne alla famiglia Segni sino alla metà del Settecento. In origine si chiamava "di Bellosguardo", dal nome della collina sulla quale è ubicata, ma cambiò nome quando nel 1815, la contessa Teresa Spinelli Albizi, nuova proprietaria, durante i lavori di restauro fece collocare nel giardino un piccolo padiglione di ferro in stile cinese a forma di "ombrellino". Nel 1874 la proprietà fu acquistata dalla famiglia Zoubow che, unendola alla contigua villa della Torricella, fece trasformare i due giardini in un grande parco romantico ricco di specie esotiche come palme, bambù, cedri e ginko biloba. Nella prima metà del Novecento la parte del parco disposto verso Firenze fu trasformata in un giardino all'italiana dall'architetto inglese Cecil Pinsent.
La villa, che ha avuto numerosi ospiti illustri, fu abitata dal 1617 al 1631 da Galileo Galilei, che qui scrisse Il Saggiatore e il Dialogo sui massimi sistemi, prima di trasferirsi ad Arcetri. Galileo, che non amava vivere in città, abitò sempre tra Bellosguardo e Arcetri. Tra il 1616 e il 1617 effettuò a Bellosguardo una serie di osservazioni astronomiche sui moti medi dei satelliti di Giove (pianeti medicei) ed elaborò le Tavole relative. Insieme a Benedetto Castelli osservò anche le stelle nella coda della costellazione dell'Orsa Maggiore.
Nella loggia di ingresso un busto e una lapide commemorativa ricordano il soggiorno del grande scienziato pisano. Recentemente restaurata, la villa ospita varie manifestazioni e un centro congressi.
(Graziano Magrini)
Nella vicina Villa medicea di Marignolle, assegnata dal Granduca Francesco I a don Antonio de’ Medici, figlio illegittimo avuto da Bianca Cappello, Galileo fu spesso ospite.
Confiscata a Lorenzo di Piero Ridolfi nel secolo XVI da Francesco I de' Medici, che la assegnò a don Antonio de' Medici, figlio di Bianca Cappello, la villa fu ampliata su progetto di Bernardo Buontalenti. La villa, posta al centro di un vasto prato, è racchiusa da muri merlati che le conferiscono ancora oggi l'aspetto tradizionale della casa fortificata. Nella prima metà del secolo XVII, la villa con la fattoria annessa fu venduta alla famiglia Capponi, che mantenne intatto il suo aspetto originario.
Più volte Galileo Galilei fu ospite in questa villa, come si desume dalle lettere che gli scrissero Antonio de' Medici il 31 ottobre 1611 e il filosofo francese Marin Mersenne il 1 febbraio 1629.
(Graziano Magrini)
Nel 1631 Galileo affittò la Villa "Il gioiello" per avvicinarsi alle figlie che erano monache nell’attiguo Convento di San Matteo in Arcetri. A seguito del processo e della condanna del 1633 si stabilì che la villa doveva essere il suo carcere. Situata al Pian de’ Giullari, la si può raggiungere imboccando via delle Campora per proseguire verso est fino a viale del Poggio Imperiale da cui si devierà svoltando a sinistra su via Evangelista Torricelli e di seguito via del Pian dei Giullari.
La villa, le cui origini sembrano risalire al secolo XIV, fu ricostruita nel Cinquecento. Il nome “Gioiello” indicava la posizione favorevole della proprietà, situata verso ponente nelle colline di Arcetri. La facciata conserva, in ricordo di Galileo Galilei che vi abitò negli ultimi anni della sua vita, un busto del 1843 e due lapidi (1788 e 1942).
Fu la figlia di Galileo, Virginia, ad informare il padre, nell’agosto del 1631, dell’opportunità di affittare la villa confinante con il monastero San Matteo in Arcetri (entrambe le figlie di Galileo furono monacate in tale monastero: Virginia nell’ottobre del 1616 con il nome di Suor Maria Celeste, Livia nell’ottobre del 1617 con quello di Suor Arcangela.). Galileo stipulò il contratto di affitto nel settembre 1631. Come narra il biografo Niccolò Gherardini, Galileo «si tratteneva molte ore continue in un suo orticello, e tutte quelle pergolette ed anguillari voleva accomodare di sua mano, con tanta simmetria e proporzioni ch’era cosa degna d’esser veduta».
Dopo la condanna da parte del Tribunale del Sant’Uffizio, Galileo fu accolto a Siena dall’Arcivescovo Ascanio Piccolomini, non essendo prudente recarsi a Firenze dove imperversava la peste. Il 1° dicembre 1633 la Congregazione del Santo Uffizio concesse allo scienziato di far ritorno al “Gioiello”, ma gli proibì di ricevere persone con le quali discutere di argomenti scientifici. Negli ultimi giorni dell’anno ricevette la visita del Granduca di Toscana Ferdinando II de’ Medici. Soltanto nel gennaio 1639 gli fu permesso, per le precarie condizioni di salute, di ospitare il giovane Vincenzo Viviani, al quale, tre mesi prima della morte dello scienziato pisano, si aggiunse Evangelista Torricelli.
Qui Galileo terminò i suoi giorni, assistito dal figlio Vincenzo, da Torricelli e da Viviani. Quest’ultimo, nel suo Racconto Istorico della Vita del Sig. r Galileo Galilei, così descrive gli estremi momenti del maestro: «Sopragiunto da lentissima febbre e da palpitazione di quore, dopo due mesi di malattia che a poco a poco gli consumava gli spiriti, il mercoledì dell’8 di Gennaio del 1641 ab Incarnatione [1642], a hore quattro di notte, in età di settantasette anni, mesi dieci e giorni venti, con filosofica e cristiana constanza rese l’anima al suo Creatore, inviandosi questa, per quanto creder ne giova, a godere e rimirar più d’appresso quelle eterne et immutabili maraviglie, che per mezzo di fragile artifizio con tanta avidità et impazienza ella aveva procurato di avvicinare agl’occhi di noi mortali».
(Graziano Magrini)
Rientrando nel centro di Firenze in direzione Ponte alle Grazie si trova, dopo circa 5 km, la Casa Galilei di Costa San Giorgio, acquistata a più riprese dal 1629 al 1634. Galileo vi abitò poco, mentre vi visse a lungo il figlio Vincenzo con la moglie Sestilia Bocchineri. Durante il periodo del confino ad Arcetri, Galileo, dopo molte richieste fallite, ottenne il permesso di abitarvi per potersi curare a Firenze
In costa San Giorgio, nel popolo di Santo Spirito, sono situate le case che la famiglia Galilei acquistò nel periodo compreso tra il 1629 e il 1634. La prima casa fu venduta da Iacopo Bramanti Boschi a Vincenzo il 20 dicembre 1621. La seconda casa venne venduta da Iacopo Zuccagni a Galileo il 18 agosto 1634. Su questo immobile nacque poi un litigio con lo stesso Zuccagni, perché questi non riconobbe a Galileo il possesso fino alle deliberazioni del Magistrato Supremo. Oggi sulla facciata si osserva lo stemma della famiglia Galilei e un ritratto dello scienziato pisano.
Nel maggio 1633, a causa di un contagio di peste che impeversava da qualche tempo a Firenze, fu portata in processione per la città la Madonna dell'Impruneta. Per le strade attraversate dall'immagine furono predisposti apparati con torce, lumi, altari e fontane. Sulla Costa San Giorgio, la casa di Galileo fu addobbata con un altare dentro la porta e una fontana così originale – la più bella del genere – tanto da essere creduta invenzione dello stesso Galileo. Nello stesso periodo lo scienziato si trovava a Roma nel mezzo del processo che culminerà con la sua condanna da parte del Tribunale dell’Inquisizione.
Sulla Costa San Giorgio, nel Convento di San Girolamo, detto di San Giorgio, furono monache una figlia di Virginia, sorella di Galileo, con il nome di Suor Arcangiola, e Maria Virginia, figlia del nipote Vincenzo Landucci, con il nome di Suor Maria Olimpia. Tra il 1640 e il 1641 sono registrate tutte le spese sostenute da Galileo per il convento di San Giorgio e per la pronipote Virginia Landucci.
(Graziano Magrini)
Attraversando Ponte alle Grazie si arriva, quindi, ad una delle più prestigiose chiese fiorentine, la Basilica di Santa Croce. Fra i numerosi sepolcri di personaggi illustri che hanno reso famoso questo Complesso monumentale c’è anche quello di Galileo. Si tratta però di una realizzazione settecentesca, perché alla sua morte il papa impedì che gli fosse eretto un monumento celebrativo.
La chiesa di Santa Croce fu costruita a partire dal 1295 sul luogo di una preesistente chiesa francescana. Intorno al centro religioso si organizzava la vita spirituale, sociale, produttiva e culturale dell'intero quartiere. La chiesa divenne una straordinaria fucina nella quale lavorarono artisti come Giotto, Donatello e Brunelleschi. La presenza di monumenti funebri di personaggi illustri, fra i quali alcuni scienziati, fa di Santa Croce il "pantheon degli italiani", celebrato da Ugo Foscolo nei Sepolcri.
Dopo la morte di Galileo Galilei (1642) le sue spoglie furono depositate in una piccola stanza sottostante il campanile della chiesa di Santa Croce e attigua alla Cappella dei Santi Cosma e Damiano, in attesa della edificazione di un sepolcro monumentale. Tuttavia il progetto incontrò l'ostilità delle autorità ecclesiastiche, che fecero notare al Granduca Ferdinando II de' Medici l'inopportunità di erigere un monumento a un uomo condannato dalla Chiesa. Nel 1632, infatti, Galileo aveva pubblicato a Firenze il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, un'opera scopertamente copernicana. Il Dialogo era stato sequestrato e lo scienziato era stato convocato a Roma dal Sant'Uffizio. Il processo si era concluso con la condanna di Galileo, che era stato costretto ad abiurare e «lasciar la falsa opinione che il sole sia centro del mondo e che non si muova e che la terra non sia centro del mondo e che si muova». Nonostante le opposizioni, Vincenzo Viviani, il più giovane discepolo dello scienziato pisano, dedicò enormi energie al progetto di un sepolcro monumentale. Un degno tributo allo scienziato avrebbe consentito il pieno recupero del pensiero galileiano nel dibattito culturale ufficiale. Viviani tuttavia non riuscì a superare le resistenze degli ambienti ecclesiastici. Solo alla fine del regno di Giangastone de' Medici, a quasi un secolo dalla morte di Galileo, fu possibile inaugurare il sepolcro monumentale. Il 12 marzo 1737 i resti mortali di Galileo e di Viviani, insieme a un inaspettato terzo corpo di donna, probabilmente l'amata figlia di Galileo, suor Maria Celeste, furono traslati in processione dal luogo della prima sepoltura al nuovo sepolcro. L'impianto scultoreo presenta un apparato iconografico che allude alle maggiori intuizioni dello scienziato pisano. Ai lati dell'urna si trovano la statua della Geometria, scolpita da Girolamo Ticciati, che celebra le ricerche galileiane sul piano inclinato e sulla caduta dei gravi, e quella dell'Astronomia, opera di Vincenzo Foggini, che mostra la scoperta galileiana delle macchie solari. Il sepolcro è sovrastato dal busto di Galileo con in mano il cannocchiale. Il monumento presenta, in alto, lo stemma della famiglia Galilei.
Nella basilica troviamo anche i sepolcri di Fossombroni (personaggio decisivo nella complessa opera di bonifica della Maremma attuata da Leopoldo II), Eugenio Barsanti, ideatore, insieme a padre Felice Matteucci, del primo prototipo di motore a scoppio (si tratta di un motore che utilizza la combustione interna dei gas per produrre forza motrice), e del fisico Leopoldo Nobili.
Il complesso monumentale di Santa Croce è un luogo significativo per la scienza anche per l'affresco astronomico della Cappella de' Pazzi, progettata da Brunelleschi, che raffigura un cielo notturno, simile a quello della Sacrestia Vecchia di San Lorenzo.
(Graziano Magrini)
Altra chiesa probabilmente legata alle vicende dell'illustre pisano è Santa Trinita, distante 1 km dalla precedente, dove Vincenzo Viviani sostiene che Galileo abbia compiuto i primi studi come novizio fra i vallombrosani. Altre fonti farebbero pensare, invece, a una sua permanenza nel Convento di Vallombrosa.
La basilica di fondazione vallombrosana venne edificata durante l’XI secolo. Fu ampliata, in forme gotiche, durante i primi trent’anni del Trecento e poi fra la fine del medesimo secolo ed il 1405 circa. L’esterno in pietra forte, progettato alla fine del Cinquecento (1593-1594) da Bernardo Buontalenti, mostra un doppio ordine di paraste composite; sul prospetto centrale si apre, in alto, una finestra rotonda.
L’interno, di impianto gotico e a croce egizia, fu risistemato durante il XVII secolo; presenta tre navate divise da pilastri, con cinque cappelle per lato, quattro sul fondo e abside quadrata. Vi sono conservate innumerevoli opere d’arte fra le quali sono da ricordare: nella navata destra la quarta cappella decorata con affreschi di Lorenzo Monaco, del 1420-1425, e dalla tavola con l’Annunciazione sempre del medesimo artista; nel transetto destro si può ammirare la cappella Sassetti affrescata da Domenico Ghirlandaio e dalla sua bottega fra il 1483 ed il 1486 con Storie di San Francesco d’Assisi.
Sul fianco destro della chiesa, in via del Parione, sono visibili i resti di quello che, in origine, fu il complesso conventuale di cui si conserva il chiostro realizzato sempre alla fine del Cinquecento su disegno di Bernardo Buontalenti.
In una delle versioni manoscritte del Racconto istorico della vita di Galileo Galilei Vincenzo Viviani scrive che il giovane Galileo «udì i precetti della logica da un Padre Maestro Vallombrosano di S. Trinita», ma la notazione scompare nella versione a stampa. Se Galileo avesse compiuto i suoi primi studi a Firenze in Santa Trinita o proprio nel monastero di Vallombrosa era evidentemente questione dibattuta anche fra i contemporanei.
(Nicoletta Baldini)
A conclusione dell'itinerario si suggerisce, infine, una visita al Convento di San Marco, oggi sede del Museo di San Marco, luogo da cui il domenicano Niccolò Lorini inviò al Sant'Uffizio un lettera di denuncia contro Galileo, anch'essa agli atti del processo del 1616.
Il convento di San Marco deve il suo aspetto attuale alla ristrutturazione di un precedente convento medievale effettuata dall'architetto Michelozzo, su commissione di Cosimo il Vecchio, tra il 1436 e il 1446. Demanializzato nel 1866, divenne, tre anni dopo, sede del Museo che ospita, tra i tanti capolavori, il celeberrimo ciclo di affreschi del Beato Angelico e la maggior parte delle sue opere su tavola.
Benché rilevante soprattutto dal punto di vista storico artistico, il Museo presenta numerosi elementi di interesse scientifico: tra le stesse opere dell'Angelico, è doveroso citare i dipinti conservati nell'Ospizio dei Pellegrini che raffigurano i due Santi medici Cosma e Damiano, facilmente riconoscibili per la tonaca e il cappello rosso e la scatola tonda dei medicinali. Esemplare, tra questi, è la tavola della Guarigione del diacono Giustiniano in cui i santi sono rappresentati nell'atto di trapiantare la gamba di un "moro" al posto di quella ammalata del diacono. Di estremo interesse per le discipline geografiche è, invece, la Pala di San Marco, realizzata tra il 1438 e il 1440: in essa, tra le mani del bambin Gesù, è raffigurato un globo terrestre con quello che moderni studiosi di cartografia antica hanno interpretato come un accenno alle terre emerse allora conosciute.
Sulla parete destra del corridoio che mette in comunicazione il chiostro di Sant'Antonino con la scala che conduce al piano superiore, il visitatore potrà osservare un ciclo di quattro dipinti di Jacopo Vignali, eseguiti in occasione della pestilenza del 1622-23 e destinati alla Spezieria del convento. In queste tele è raffigurato il tema della malattia e della cura del corpo e dello spirito. Sulla parete opposta, si trova, invece il Miracolo di San Paolo, opera seicentesca di Giovanni Bilivert, che presenta un'interessante curiosità: uno dei personaggi secondari indossa, infatti, un paio di occhiali poggiati sul naso, oggetto già molto diffuso nel Cinquecento e raffigurato in opere d'arte solitamente in quanto simbolo di sapienza e scienza.
Ma il legame con la scienza si fa ancora più forte al piano superiore del convento, dove, oltre alla cella di Cosimo con l'affresco dell'Adorazione dei Magi, in cui è rappresentato un personaggio con una sfera armillare in mano, si trova la monumentale Biblioteca di Michelozzo. Prima biblioteca pubblica del Rinascimento, nacque per ospitare i libri dell'umanista Niccolò Niccoli, a cui si aggiunsero, per volere di Cosimo il Vecchio, i testi più importanti del sapere teologico, giuridico e scientifico medievale. Nei secoli successivi, l’importanza della biblioteca, continuamente arricchita di nuovi volumi, è stata testimoniata dal matematico e filosofo Gottfried Wilhelm von Leibniz, che nel 1689 riuscì a consultarvi un testo di logica matematica (il Liber calculationum di Richard Swineshead), cercato invano altrove. I resti di una Rosa dei venti, incisa su uno strato di intonaco all'altezza della settima campata ovest della biblioteca, rimangono ad indicare al visitatore il luogo dove era collocata la collezione dei libri scientifici, come testimonia un catalogo cinquecentesco delle opere del convento.
Il complesso di San Marco è legato anche ad un episodio che coinvolse direttamente Galileo Galilei. Nel 1615, infatti, il domenicano Niccolò Lorini denunciò Galilei all’Inquisizione, inviando una copia della lettera in cui il matematico pisano difendeva la validità delle teorie copernicane. I Padri di San Marco accusarono Galileo di avere formulato affermazioni «sospette o temerarie».
(Elena Fani)
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Scheda a cura di Sara Bonechi
Data aggiornamento 17/ott/2008