Versilia - Lungo le vie del marmo
Uno degli elementi più caratteristici del paesaggio versiliese è sicuramente costituito dalle Alpi Apuane, il cui aspro profilo si staglia nitido sul mare. Meta di appassionati di speleologia e alpinismo, questo splendido comprensorio deve la sua fortuna alle numerose cave di marmo attive fin dal periodo della dominazione romana.
L'itinerario proposto prende il via da Carrara, dove, in località Stadio si può visitare il Museo Civico del Marmo che documenta, nelle sue sei sezioni, i vari aspetti legati alla cultura del marmo, dalla storia del territorio alle applicazioni tecniche legate a questo materiale.
Fondato ufficialmente nel 1982 per iniziativa del Comune di Carrara, il Museo Civico del Marmo è il primo museo pubblico della città sorto per documentare e valorizzare la locale cultura del marmo. La sua istituzione è stata preceduta da studi e ricerche, promosse dall'Amministrazione Comunale a partire dal 1977, relative alla catalogazione e al recupero dei beni culturali del territorio. Il Museo è collocato nell'ex sede della Camera di Commercio di Carrara, che ospitò, nei primi anni Settanta, la Mostra Nazionale del Marmo, da cui è nato il primo nucleo della marmoteca del Museo stesso. Quest'ultima è costituita da una raccolta di 310 campioni dei più importanti marmi, graniti e pietre ornamentali d'Italia e dai più significativi tipi di marmo e di granito estratti attualmente nel mondo.
L'allestimento, organizzato in sei sezioni (Archeologia Romana, Storia del Territorio, Archeologia Industriale, Applicazioni Tecniche, Calchi in Gesso, Scultura Moderna), mostra 114 tipi di marmo scavati sulle Alpi Apuane, le antiche carte topografiche, disegni e piante archeologiche di Luni e del suo territorio, fotografie aeree e all'infrarosso. Di particolare interesse sono la riproduzione della Tabula Peuntingeriana e la ricostruzione in marmo dell'epigrafe Salvioni, il più antico documento scritto della storia di Carrara. Fra i macchinari esposti sono da segnalare un carro per trattrice a vapore per il trasporto dei blocchi del secolo XIX, un vagone della Ferrovia Marmifera, uno dei primi martelli pneumatici e due antichi sollevatori a vite, uno dei quali risalente al secolo XVIII. Uno spazio espositivo, aperto nel 1994, ha come oggetto la proposta di restauro sostitutivo da attuarsi sul Duomo di Carrara. L'intenzione sarebbe quella di sostituire le parti danneggiate della struttura con le copie filologiche realizzate in marmo, conservando nel Museo gli originali. Sono inoltre esposte 25 sculture di proprietà del Comune di Carrara.
Recentemente è stato creato uno spazio multimediale con lo scopo di illustrare, grazie all'ausilio delle nuove tecnologie audio-visive ed informatiche, i molteplici aspetti della millenaria cultura del marmo sviluppatasi nel territorio carrarese, con particolare riferimento alla storia geologica, artistica e sociale della zona.
(Anna Toscano)
Un'escursione alle vicine cave, che si aprono oltre il paese di Miseglia, raggiungibile in circa 5 km a partire da Carrara, consente di ammirare la peculiare bellezza del bacino marmifero.
Quello di Miseglia è uno dei tre bacini più significativi della regione lunense, con quello di Torano e di Colonnata. Situato lungo la strada che collega Carrara con Miseglia, è costituito da due sezioni di cave denominate Canal Grande e Fantiscritti, formate da diverse qualità di marmo, tra le quali predominano i bardigli (varietà di marmo tipica delle Alpi Apuane, di colore variante dal grigio al turchino, con venature).
Questo bacino, conosciuto già in epoca romana, come testimoniano alcuni ritrovamenti di antichi siti di tagliate, tornò ad essere utilizzato in epoca medievale. Tra le cave di Miseglia, le più illustri, da un punto di vista storiografico, sono quelle di Fantiscritti. Con questo nome, che deriva da un rilievo romano degli inizi del III secolo d.C. raffigurante tre divinità, è denominata la zona compresa tra Bocca di Canalgrande e il Monte Torrione, costituita da uno scosceso canalone particolarmente ricco di marmo bianco ordinario a grana grossa, di colore ceruleo.
Lungo il tragitto che conduce alla cava di Fantiscritti, si possono ammirare tre suggestivi ponti gemelli, detti ponti di Vara, che erano i viadotti dell'antica Ferrovia Marmifera.
(Anna Toscano)
Durante la visita non sfuggiranno al visitatore i resti della ferrovia marmifera, mirabile opera di ingegneria creata per facilitare il trasporto dei blocchi scavati.
Costruita a partire dal 1871, la ferrovia marmifera doveva rendere più pratico il trasporto del marmo dalle cave al porto di Marina di Carrara. L'opera, per le notevoli soluzioni tecniche adottate lungo i 22 chilometri di linea e i 10 di raccordi, fu allora considerata un prodotto ingegneristico di grande rilievo. Notevoli gli imponenti viadotti sopra Miseglia, la galleria fra Fantiscritti e Ravaccione scavata nel marmo, i ponti di Vara e il ponte in ferro di Vezzala. La ferrovia, che iniziò la sua attività nel 1890, fu dismessa nel 1964. Ancora oggi, tuttavia, è possibile ammirare una parte dell'ardito tracciato.
(Graziano Magrini)
Tornando verso Carrara, si imbocca la SP446DIR/SS446DIR fino ad immettersi, dopo meno di 10 km, all'altezza di Massa, sulla SS1. Da qui si prosegue oltre Montignoso e, in località Ripa, si devia lungo la SP9 per raggiungere dopo altri 10 km Serravezza dove Cosimo I fece costruire un palazzo, oggi sede del Museo del Lavoro e delle Tradizioni Popolari della Versilia Storica.
Il Palazzo Mediceo di Seravezza è un luogo che richiama molti temi legati alla tecnica. Voluto da Cosimo I de' Medici, fu costruito fra il 1560 e il 1564 da Bartolomeo Ammannati o, come si è sostenuto di recente per la somiglianza di alcuni elementi architettonici con la Villa di Artimino, dal giovane Bernardo Buontalenti. Il palazzo fu edificato in una zona particolarmente importante per l'estrazione dei minerali e per l'escavazione dei marmi dal Monte Altissimo. Il sovrano aveva così la possibilità di seguire da vicino l'attività estrattiva, che egli stesso aveva rilanciato. Ospitò più volte i granduchi, che amavano passarvi il periodo estivo. Pietro Leopoldo di Lorena destinò una parte dei locali per i magazzini e gli uffici amministrativi di una ferriera, ancora visibile al lato del palazzo, costruita intorno al 1786 lungo il torrente Ruosina. Nel 1835, chiusa la ferriera, la villa ritornò ad essere luogo di soggiorno della famiglia granducale. Dopo l'Unità d'Italia passò allo Stato che nel 1864 la donò al comune di Seravezza. Oggi, dopo esser stato utilizzato prima come penitenziario e poi come sede del Municipio, il palazzo ospita vari enti culturali, fra i quali, al secondo piano, il Museo del Lavoro e delle Tradizioni Popolari della Versilia Storica.
Il Museo, aperto al pubblico dal 1996, fu istituito dall'Amministrazione Comunale di Seravezza nel 1980 per ripercorrere ed illustrare le attività produttive della zona e la loro evoluzione storica. L'industria del marmo, risorsa particolarmente importante grazie alle cave del Monte Altissimo, è documentata attraverso una serie di utensili, macchine e modelli di macchine che illustrano le tecniche di escavazione, di trasporto e di lavorazione praticate nella zona. Grazie all'esposizione di alcuni strumenti utilizzati nelle ferriere e nelle officine artigiane sono, inoltre, illustrate le altre due attività importanti della Versilia medicea, l'estrazione mineraria, di origine molto antica, e la lavorazione del ferro. Sono presenti, infine, oggetti legati alle attività domestiche, come la tessitura, e vari attrezzi agricoli sia della montagna sia della pianura. La raccolta è accompagnata da un ricco apparato fotografico e da schede che illustrano la funzione dei vari oggetti esposti. Gli attrezzi da lavoro sono databili dalla fine del Settecento alla metà del Novecento.
(Graziano Magrini)
Le cave di marmo, la cui attività è documentata nel Museo, sono ben visibili sulle pendici del Monte Altissimo percorrendo la via omonima verso nord.
Una delle vette più elevate del territorio di Seravezza è quella del monte Altissimo, lungo le cui pendici si aprono le celeberrime cave di marmo. Si deve a Michelangelo Buonarroti il merito di aver "valorizzato" queste cave, allorché nel 1517 si recò da Carrara a Seravezza "per tentare di cavare da quei monti i marmi per la facciata di S. Lorenzo di Firenze". Come scrive il carrarino Emanuele Repetti, lo sfruttamento delle cave di Seravezza ebbe inizio proprio nel 1517, con l'escavazione della cava utilizzata da Michelangelo, detta della Cappella o Falcovaja, che, fra le numerose cave del monte, offre il marmo più fine e più candido. Accanto alle cave di marmo della Cappella furono in seguito attivate quelle del Vasajone, della Polla, del Trambiserra e della Vincarella.
(Anna Toscano)
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Scheda a cura di Elena Fani
Data aggiornamento 19/gen/2008