La manifattura della ceramica in Toscana
Per le sue caratteristiche di indeformabilità e impermeabilità la ceramica, sin dalle origini, costituì il materiale più adatto per realizzare contenitori di ogni foggia e grandezza. Già in epoca etrusca in Toscana si producevano ceramiche di pregio come il bucchero, una tradizione proseguita in epoca romana, quando Arezzo fu centro esportatore della celebre sigillata. Tale eredità fu ripresa, in età medievale e post-medievale, dalle botteghe dei territori fiorentini, pisani e senesi le cui maioliche e porcellane furono ampiamente esportate in tutto il Mediterraneo.
Definizione e metodi
Secondo la Norma Italiana relativa ai Beni Culturali UNI 10739 del luglio 1998, per ceramica si intende un "materiale inorganico, non metallico, ottenuto da materie prime minerali, foggiato a freddo e consolidato in modo irreversibile mediante cottura". Costituita principalmente da argilla, la ceramica può essere a pasta compatta o a pasta porosa. La classificazione dei tipi ceramici (terracotta, terraglia, maiolica, porcellana, grès, ecc.), viene, quindi, fatta in base alla diversa attuazione delle varie fasi del ciclo produttivo (modellazione, essiccazione, cottura e, in alcuni casi, smaltatura e seconda cottura) e alla scelta dell'eventuale rivestimento (ingobbio, smalto, vetrina trasparente).
Due millenni di arte ceramica in Toscana
La storia della produzione ceramica in Toscana vanta una lunga tradizione. Tra le testimonianze più antiche è doveroso ricordare, per l'epoca etrusca, il vasellame in bucchero pesante, produzione del VI-V secolo a.C. tipica di Chiusi, caratterizzata da pareti spesse decorate con motivi plastici e dal classico colore nero-grigio scuro ottenuto cuocendo i vasi in atmosfera riducente (povera di ossigeno); per il periodo romano non si può, invece, dimenticare la sigillata aretina che, fra il I secolo a.C. e il I d.C., divenne la ceramica da mensa più popolare in tutto l’impero.
La concorrenza di produzioni extra-peninsulari, come la sigillata sud-gallica o quella africana, portò all’estinguersi di una produzione di ceramica fine a carattere industriale in Etruria e segnò l’affermarsi di produzioni minori destinate a un mercato regionale o sub-regionale. Tale situazione si protrasse per tutto l'Alto Medioevo, in concomitanza con una fase di profonda trasformazione economica e sociale che interessò l'intero campo delle attività manifatturiere.
Per la Toscana, si dovrà attendere il Basso Medioevo e il Rinascimento per assistere all'affermazione di botteghe specializzate nella produzione di ceramica smaltata di pregio, localizzate principalmente in centri "minori" come Montelupo o Asciano, gravitanti nell'orbita delle città più importanti.
Tra il XVII e il XVIII secolo, la produzione ceramica attraversò un secondo momento di trasformazione, legato principalmente al mutamento delle conoscenze tecniche e scientifiche del periodo che, se da una parte provocarono l'interruzione di alcune attività ben avviate, dall'altra stimolarono la nascita di nuovi processi lavorativi da parte sia di maestranze locali sia di ceramisti di provenienza extra-regionale trasferitisi in Toscana. Nacquero così, ad esempio, le manifatture dei Chigi-Zondadari a San Quirico d'Orcia o le fabbriche Ginori a Sesto Fiorentino. A queste si affiancarono nell'Ottocento nuovi stabilimenti, nati sull'onda del progresso industriale, come la manifattura Chini di Borgo San Lorenzo, le fabbriche di terracotta di Petroio o quelle di ceramica invetriata di Anghiari. Alcune di queste fabbriche continuano ad essere attive ancor oggi, mentre a testimoniare la qualità e i livelli raggiunti dalle altre manifatture rimangono i numerosi oggetti ceramici conservati in musei nazionali ed esteri.
Arezzo e il suo territorio
Tra i capoluoghi di provincia, Arezzo è forse la città toscana che vanta la più antica tradizione nell'ambito della produzione ceramica di pregio. Fu in questo centro di origine etrusca, infatti, che attorno alla metà del I secolo a.C. nacque la sigillata aretina, una ceramica fine da mensa di colore rosso corallino che deve il suo nome al termine latino sigillum (plur. sigilla) con cui si indicavano le caratteristiche decorazioni a rilievo ottenute a stampo presenti sugli esemplari più raffinati. Gli oggetti, che nella versione più comune presentavano le pareti lisce, erano contrassegnati, nel periodo più antico, da un bollo "in planta pedis" (così detto dalla tipica forma a pianta di piede del cartiglio con l'iscrizione) sul quale poteva essere riportato il nome della bottega o quello del ceramista. I cospicui resti di questa produzione, largamente esportata, sono oggi visibili in numerosi musei nazionali ed internazionali tra cui si segnala, per la Toscana, il Museo Archeologico Gaio Cilnio Mecenate di Arezzo.
A partire dal Medioevo Arezzo perde il suo ruolo di leadership nella produzione della ceramica fine a vantaggio di centri minori come Anghiari e Monte San Savino che, per il periodo compreso tra i secoli XIV e XVIII, restituiscono la maggior quantità di oggetti ceramici, tra cui anche importanti nuclei di maiolica decorata. La produzione di Anghiari, in particolare, si evolverà nei secoli successivi fino a specializzarsi, tra il XVIII e il XX secolo, nella fabbricazione di vasellame invetriato dal caratteristico colore nero brillante.
Pisa e il Valdarno
La posizione privilegiata di Pisa all'interno della regione favorì, fin dall'antichità, lo sviluppo delle attività economiche. Basti pensare che, attorno al 15 d.C., i ceramisti aretini trasferirono la produzione di sigillata romana a Pisa, dove la vicinanza del mare offriva maggiori opportunità commerciali. In questa città l'attività si protrasse fin verso il 40 d.C. quando venne soppiantata dall'avvento prima della sigillata sud-gallica e in seguito di quella africana.
Grazie agli stretti contatti con la cultura ispano-moresca a Pisa si diffusero, con notevole anticipo rispetto ad altri centri della penisola, prodotti realizzati nella tecnica della maiolica, di antica origine medio-orientale. Questi modelli dettero vita ad una produzione di maiolica arcaica locale la cui fortuna, però, dovette subire una battuta di arresto negli anni immediatamente successivi alla conquista fiorentina (1406). Passati pochi decenni, comunque, nel territorio pisano si diffuse un nuovo tipo di lavorazione, la ceramica ad ingobbio graffita, che avrebbe caratterizzato l'attività del comprensorio fin oltre il secolo XVIII, affiancandosi alla fabbricazione di pentolame da cucina di borghi come Vicopisano. Tra le manifestazioni più recenti si segnalano, infine, le terracotte artistiche di Dante Milani, imprenditore degli inizi del Novecento attivo a Montopoli, che legò la sua fortuna ad una bottega specializzata nella produzione di vasi dal caratteristico effetto anticato.
Il comprensorio fiorentino
Fu certamente la presenza di un importante centro economico e amministrativo come Firenze a favorire, fin dal Medioevo, lo sviluppo, nelle aree limitrofe, di rinomate località manifatturiere come quelle di Montelupo e dell'Impruneta.
Famosa per la sue raffinate maioliche, Montelupo raggiunse il suo acme produttivo tra la metà del Quattrocento e gli anni Trenta del secolo successivo, periodo in cui le sue ceramiche, oltre a soddisfare il fabbisogno di importanti famiglie borghesi e nobiliari fiorentine e di grandi istituzioni locali come ospedali, conventi e farmacie, erano esportate in tutto il bacino del Mediterraneo. Dopo un periodo di recessione protrattosi per quasi tre secoli, alla fine dell'Ottocento Montelupo poté riprendere la produzione di maiolica, affermandosi, già dai primi del Novecento, tra i centri di maggior importanza nel panorama nazionale delle manifatture ceramiche. Delle sue fasi di sviluppo si conserva un’ampia e puntuale documentazione nel locale Museo Archeologico e della Ceramica; numerosi sono, inoltre, gli oggetti prodotti a Montelulpo ancora posseduti dagli antichi enti a cui originariamente erano stati destinati, come, ad esempio, la Spezieria di Santa Fina di San Gimignano.
Anche se di minore entità, un'altra celebre fabbrica di maioliche fu, tra la fine del Quattrocento e per tutto il Cinquecento, la manifattura di Cafaggiolo che rifornì di vasellame la famiglia granducale e alcuni grandi enti fiorentini.
Non inferiore né per antichità né per qualità degli oggetti prodotti è, inoltre, l'Impruneta che deve la sua fama alle produzioni in terracotta, ed in particolare ai pregiati rivestimenti che, dal Quattrocento, andarono ad abbellire alcuni dei più importanti monumenti fiorentini (caso esemplare è la Cupola di Santa Maria del Fiore). Specializzatosi anche in vasi per lo stoccaggio e nella produzione di terracotte ornamentali, il centro continua ad offrire prodotti di alta qualità, come testimoniano le numerose fornaci ancora attive nel suo territorio.
Tra le attività di più recente formazione merita una menzione particolare la Manifattura Ginori, che fin dagli inizi della produzione, nella prima metà del Settecento, si distinse a livello internazionale per la qualità delle sue porcellane (ottenute con procedimenti tecnologici innovativi per l'Europa di quel periodo) e la raffinatezza dei repertori decorativi che ancor oggi caratterizzano il ricercato design dei suoi prodotti.
Non va, infine, dimenticata, tra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento, la breve, ma travolgente "avventura" della Manifattura Chini di Borgo San Lorenzo che, oltre alla creazione di vasellame di qualità, si dedicò all'abbellimento degli stabilimenti termali di Salsomaggiore e Castrocaro.
Siena e i centri minori del suo territorio
Analogamente alla provincia di Firenze, il territorio senese vanta una lunga ed importante tradizione nella storia della maiolica, distinguendosi dalla coeva produzione fiorentina per una maggior ricchezza nel repertorio decorativo e, a partire dalla metà del secolo XV, per la caratteristica ingobbiatura del biscotto (tecnica consistente nel rivestimento con argilla liquida del manufatto sottoposto ad una prima cottura) applicata prima del processo di smaltatura.
Recenti studi hanno evidenziato come, oltre a Siena, tra i centri produttivi più importanti nel Rinascimento debbano essere annoverati Asciano, San Gimignano e con ogni probabilità anche Montepulciano, benché la maggior parte dei pezzi ceramici ivi ritrovati risalga al XVII secolo, periodo considerato di generale regressione per l'intera penisola. È in quest'epoca che le fabbriche di Asciano, dopo la brillante stagione rinascimentale caratterizzata dalla produzione di maiolica arcaica e ceramiche ingobbiate e graffite sotto vetrina, iniziarono un processo di involuzione che porterà, alla fine dell'Ottocento, al definitivo abbandono dell'attività.
Se i nuovi ritrovati tecnologici come la porcellana (inventata in Cina tra VII e VIII secolo d.C. ma nota in Europa solo a partire dagli inizi del Settecento) o la terraglia causarono la decadenza degli antichi centri produttivi, questa rinnovata stagione di sperimentazione portò alla nascita di nuove manifatture in tutta la Toscana: per il territorio senese la più rinomata è sicuramente la manifattura Chigi Zondadari di San Quirico d'Orcia, della cui ricca produzione ceramica, in particolare quella destinata alle istituzioni farmaceutiche, rimane una nutrita collezione nell'Abbazia di Monte Oliveto Maggiore.
È, infine, doveroso menzionare la produzione di vasellame di uso quotidiano delle fabbriche di Petroio, specializzatesi, dalla fine del Settecento ad oggi, in terracotte di grandi dimensioni realizzate, dalla metà dell'Ottocento, con l'ausilio di stampi in gesso.
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Scheda a cura Elena Fani
Data aggiornamento 10/gen/2008