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Metallurgia in Toscana

Metallurgia in Toscana

Per millenni la Toscana ha legato la propria fortuna all’estrazione di quei minerali che il territorio offriva con copiosa generosità. Il ferro, in particolare, fu sin dall’antichità oggetto di un sistematico sfruttamento che andò di pari passo con una sempre maggiore razionalizzazione dei processi lavorativi. Quando sull’urgere delle esigenze belliche l’Italia ebbe bisogno di ferro, furono proprio le migliaia di tonnellate di scorie ferrose che avevano ricoperto le necropoli populoniesi a fornire il prezioso metallo per i cannoni e i fucili dei soldati della Prima Guerra Mondiale.

Parco Archeologico del Lago dell'Accesa, Massa Marittima.
Età etrusca: alle origini dell'attività estrattiva e metallurgica in Toscana

Le naturali ricchezze minerarie della Toscana tirrenica e insulare, di cui costituiscono eloquente testimonianza i moderni musei di Campiglia Marittima, Rio Marina, Rio nell’Elba e Capoliveri, furono una delle principali ragioni della fortuna degli Etruschi sin dalla fine dell’età del ferro (IX-VIII a.C.). Fu proprio grazie al commercio di minerali grezzi e lavorati che l’aristocrazia etrusca riuscì ad accumulare eccezionali ricchezze, di cui facevano parte pregiati prodotti provenienti dall’Oriente. Molto probabilmente l’Elba, già nell’antichità famosa per l’abbondanza dei suoi giacimenti, rappresentò nei primi secoli il principale luogo di lavorazione del materiale estratto. Si deve proprio al gran numero di forni attivi sull’isola l’appellativo Aithalia (la fumosa) con cui era conosciuta nel mondo ellenico. Ancor oggi le tracce di questa antica industria sono riconoscibili in più luoghi, come testimonia il piccolo museo archeologico di Rio nell’Elba che, insieme alle moderne ricostruzioni di forni etruschi del Parco Sperimentale di Portoferraio, permette di ripercorrere le tappe di questa attività. La gran quantità di legname necessaria per alimentare gli altiforni dovette provocare un rapido disboscamento dell’isola. Per ovviare ai costi di trasporto del legname dalla terraferma si decise, quindi, di trasferire gli impianti di lavorazione sul continente. Populonia, in particolare, divenne dal VI secolo a.C. uno dei principali luoghi deputati alla lavorazione del ferro elbano: traccia eloquente è il quartiere industriale della Porcareccia inserito nel Parco Archeologico di Baratti e Populonia. L’Elba non costituì, tuttavia, l’unico bacino metallifero dell’antica Etruria. Nella zona di Tarquinia e Cerveteri abbondavano i depositi di ferro e rame, nel volterrano e nell’aretino si trovavano giacimenti cupriferi, mentre il distretto delle Colline Metallifere forniva l’area di Vetulonia di un ampia gamma di minerali pregiati (come la galena e la calcopirite, entrambe argentifere). Di quest’ultima area mineraria il sito meglio noto e più ampiamente indagato è il villaggio dell’Accesa che, insieme al Museo Archeologico di Massa Marittima, restituisce un interessante spaccato dell’evoluzione della società etrusca in relazione, anche, alle attività estrattive e metallurgiche della zona.

Villa Romana delle Grotte, Portoferraio.
Età romana: l'eclisse del ferro elbano

In età romana il distretto minerario tirrenico risentì della crisi generale che coinvolse l’intera industria estrattiva italica. La concorrenza delle miniere spagnole e del Norico portò ad un rarefarsi della produzione, la cui definitiva cessazione fu, probabilmente, fissata da una legge ricordata da Plinio il Vecchio (Nat. Hist. III, 20, 138; XXXIII, 21, 78). Una conferma del progressivo smantellamento dell’attività siderurgica populoniese, è data dalla descrizione del geografo Strabone, vissuto nel periodo augusteo, che visitò una città impoverita le cui miniere, disseminate nei dintorni, gli apparvero deserte da tempo (Geog. V, 2, 7). Il territorio conobbe, infatti, in questo periodo un diverso sfruttamento incentrato sull’attività agricola: ne sono testimonianza le numerose ville di cui sono visibili i resti sulle isole dell’arcipelago (ad esempio villa delle Grotte a Portoferraio) e sulla costa. La situazione non dovette mutare sostanzialmente nel corso dell’Impero: al viaggiatore Rutilio Namaziano, approdato a Populonia nell’inverno del 417 d.C., la città apparve infatti ormai abbandonata dove «non si possono più riconoscere i monumenti dell’epoca trascorsa […] restano solo tracce fra crolli e rovine di muri, giacciono tetti sepolti in vasti ruderi» (De reditu suo 399-414).

Parco Archeominerario di San Silvestro.
Età medievale: la lenta rinascita

Per quasi cinque secoli il bacino minerario tirrenico non conobbe praticamente alcuna forma di sfruttamento. Fu soltanto in concomitanza con la progressiva rioccupazione del territorio, avvenuta a partire dal secolo X, che si tornò a considerare l’ipotesi di sfruttare gli antichi giacimenti. Il villaggio medievale di Rocca San Silvestro ne è un caso esemplare, poiché consente di ripercorrere la storia di questa nuova epoca d’oro dell’attività mineraria in Toscana (secoli X-XIV). Le miniere di piombo delle Colline Metallifere, da cui si ricavava il rame e l’argento, furono motivo di aspra contesa tra i Comuni della zona e proprio dal controllo di queste miniere Pisa ricavò per secoli il metallo prezioso con cui erano coniate le monete della Repubblica. A differenza di quelle di età etrusca, caratterizzate solitamente da pozzi stretti e non rivestiti internamente, le miniere di età medievale si riconoscono per i cunicoli più larghi e distanziati, sovente rinforzati all’interno da rivestimenti in muratura o in legno.

Porto Mediceo, Portoferraio.
Età rinascimentale: tra scienza e profitto

Nell'età della Rinascenza i trattati di tecnica mineraria, di costruzioni di macchine, di arte delle fortificazioni, di idraulica, definirono un nuovo rapporto fra sapere scientifico e sapere tecnico-artigianale, anche grazie al recupero della grande tradizione costruttiva del mondo classico. Le notevoli capacità tecniche e la genialità di personaggi come Filippo Brunelleschi, Francesco di Giorgio e Leonardo da Vinci contribuirono in modo significativo allo sviluppo della scienza e della tecnica. Forte impulso alle attività estrattive fu dato da Cosimo I de’ Medici, che con la fondazione di "Cosmopoli" (Portoferraio), città nata con finalità militari, agevolò il commercio e il trasporto del ferro dalle miniere elbane agli stabilimenti di lavorazione del Granducato. Grazie al rinnovato interesse per le antiche aree estrattive di età etrusca lo sfruttamento delle miniere si fece ancor più sistematico. Un caso esemplare è fornito ancora oggi dalla miniera del Temperino, il cui complesso affianca ai cunicoli di età etrusca i pozzi di età medicea.

Macchina per la lavorazione del ferro, Ex Complesso Siderurgico ILVA, Follonica.
Età moderna: il formarsi di un'industria siderurgica

Il fenomeno di rinnovato sfruttamento del ricco sottosuolo metallifero toscano non conobbe sosta neanche nei secoli seguenti. Giovanni Targioni Tozzetti, in pieno Settecento, dopo accurati studi sul territorio, indicò nel recupero di alcune miniere abbandonate una delle condizioni per la ripresa dell'economia granducale. Nel corso dell'Ottocento Leopoldo II tentò di rilanciare l'industria mineraria ed estrattiva: furono così riattivate alcune antiche miniere di rame, allume, piombo, zolfo e mercurio. Furono tuttavia il ferro e l’industria ad esso collegato a ricoprire, ancora per tutto il secolo XIX, un ruolo di indiscusso primo piano. Ne furono protagonisti, in particolare, i distretti minerari elbani che, dal 1815, erano confluiti nel demanio granducale. Nella prima metà dell'Ottocento si assisté ai primi esempi di impiego del ferro nelle costruzioni che pose le basi per un proficuo rapporto fra arte e industria. La nuova tecnologia fu utilizzata anche a Firenze dove furono gettati due ponti sospesi sull'Arno chiamati, in onore dei granduchi lorenesi, San Leopoldo e San Ferdinando, oggi non più esistenti. Rimangono, invece, Porta San Marco a Livorno e la chiesa di San Leopoldo a Follonica, il principale centro siderurgico della Toscana lorenese. Agli stessi anni risale anche il grandioso complesso della fonderia, oggi mirabilmente ristrutturato per servire in parte da contenitore al Museo del Ferro e della Ghisa.

Carrelli per il trasporto dei minerali e del personale, Museo della Miniera, Massa Marittima.
Età contemporanea: il tramonto di un'economia millenaria

Gli anni successivi all’Unità d’Italia non segnarono un rallentamento dell’attività estrattiva che, anzi, conobbe nuovo impulso grazie alla scoperta di importanti bacini metalliferi, come quello di Gavorrano, il cui sfruttamento ebbe inizio nel 1898 per iniziativa degli stessi abitanti del luogo. Nello stesso periodo vide la luce anche una delle più importanti industrie estrattive della storia italiana, la Montecatini, poi meglio nota col nome di Montedison, la cui parabola storica è ben illustrata nel Museo delle Miniere di Montecatini Val di Cecina.

 

Sarà solo l’agguerrita concorrenza dell’industria estrattiva extra europea, nei decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, a decretare la lenta agonia dell’industria metallifera toscana, di cui rimangono, a testimonianza, i numerosi musei e parchi minerari disseminati sul territorio, tra i quali è doveroso citare i due musei delle miniere di Massa Marittima , il Centro di Documentazione delle Miniere di Lignite di Cavriglia e, per l’importante settore estrattivo del mercurio, il Museo delle Miniere di Santa Fiora, incluso nel Parco Minerario del Monte Amiata.

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Scheda a cura Elena Fani

Data aggiornamento 19/gen/2008