Il vetro in Toscana
Noto sin dalle epoche più remote, il vetro fu oggetto di procedimenti di lavorazione sempre più raffinati nel corso del tempo. La Toscana svolse un ruolo di primo piano nella produzione vetraria italiana ed europea sin dal XIII secolo. A partire dall’età medicea i maestri vetrai toscani si specializzarono non solo nella realizzazione di raffinati vetri artistici, ma anche di sofisticati strumenti destinati alla farmaceutica e alla sperimentazione scientifica.
Tecnica e arte del vetro dalle origini all'età moderna
Il vetro è un materiale solido amorfo ottenuto mediante la fusione di una miscela complessa di elementi che, utilizzati in proporzioni variabili, conferiscono al prodotto finale caratteristiche diverse. Dalle analisi condotte su reperti di epoca pre-industriale è emerso che tale mistione era costituita principalmente da silice (vetrificante), a cui si aggiungevano ossidi alcalini, come la soda e il potassio, per abbassarne il punto di fusione (e per questo detti fondenti), carbonato di calcio per aumentare la resistenza chimica del prodotto finale (stabilizzante) e un decolorante. Oltre a questi e ad altri componenti minori, nella miscela si potevano, infine, introdurre frammenti di vecchi oggetti vitrei precedentemente macinati che abbassavano ulteriormente il punto di fusione della massa vetrosa. A questa necessità, particolarmente sentita in età pre-industriale per la difficoltà di ottenere con gli antichi forni a legna temperature molto elevate, si provvedeva inoltre, per il vetro a base sodica, con un procedimento in due tempi che prevedeva prima la preparazione di un semilavorato, la fritta, ottenibile a temperature relativamente basse (700°C-800°C), e solo in un secondo tempo la fusione di quest'ultimo. Questo processo, testimoniato anche da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, avveniva in forni a due o più vani sovrapposti, generalmente a pianta circolare, secondo una tipologia rimasta sostanzialmente invariata per tutto il periodo pre-industriale, come testimoniato dai ritrovamenti archeologici e dall'analisi dei documenti iconografici d'epoca.
Gli esordi della produzione vetraria in Toscana
Allo stato attuale dell'indagine, l'unica testimonianza sicura di una produzione vetraria di periodo romano in ambito toscano sembra essere costituita dai ritrovamenti di Piazza della Signoria a Firenze che hanno portato all'identificazione di una vetreria databile, probabilmente, tra la fine del IV e il V secolo d.C.
Sebbene non di provenienza locale, interessante per una panoramica storica sulla produzione vetraria è la raccolta del Museo del Vetro nel castello di Poggio alle Mura presso Montalcino che, oltre ad illustrare l'evoluzione delle tecniche e delle forme dal III millennio a.C. ai nostri giorni, espone una ricca collezione di vetri romani.
Testimonianze archeologiche e figurative tra XIII e XV secolo
A partire dal XIII secolo le attestazioni di una produzione vetraria toscana si fanno più frequenti. Accanto ai numerosi frammenti di vasellame vitreo, pertinenti sia ad oggetti di uso comune sia a prodotti di pregio riservati ai ceti più elevati, gli scavi sistematici condotti dalla seconda metà del Novecento hanno permesso di localizzare, tra i numerosi centri produttivi della Toscana, alcuni centri di eccellenza localizzabili nella Valdelsa. Nei comprensori di Montaione e di Gambassi Terme, in particolare, sono stati riportati alla luce impianti produttivi di epoca medievale, come l'officina vetraria di Germagnana, documentata nella locale mostra permanente.
Tra le forme più comunemente attestate per il periodo in esame si distinguono i bicchieri cilindrici o troncoconici a pareti lisce e quelli a stampo con motivi geometrici a rilievo, la cui decorazione, a lungo ritenuta prerogativa toscana, si è rivelata piuttosto comune in ambito italiano ed europeo. Altra tipologia ben documentata è costituita dalle bottiglie a collo stretto e corpo globulare e, in misura minore, da fiale da spezieria. Più rari, invece, i calici, che si diffonderanno in epoca successiva, e il vasellame da mensa composto da coppe e brocche, probabile appannaggio dei ceti più elevati. Bicchieri e bottiglie di vetro sono frequentemente rappresentati nei dipinti dell'epoca, in particolare quelli relativi al racconto biblico (Ultima cena, Nozze di Cana ecc.), mentre dei contenitori in vetro legati alla pratica medica, come la matula utilizzata per l'analisi dell'urina del malato, si possono citare tre interessanti testimonianze: la formella trecentesca del Campanile di Giotto raffigurante un "ambulatorio" medievale e oggi conservata nel Museo dell'Opera di Santa Maria del Fiore di Firenze, l'affresco quattrocentesco Cura e governo degli infermi di Domenico di Bartolo nello Spedale di Santa Maria della Scala di Siena e il coevo dipinto di Beato Angelico Guarigione del diacono Giustiniano, nel Museo di San Marco a Firenze. Tra le produzioni del periodo è, infine, doveroso ricordare, oltre alle comuni lastre da finestra, le vetrate istoriate delle chiese toscane, in particolare i cicli quattrocenteschi della Cattedrale di Pisa e del Duomo di Firenze.
La produzione del vetro sotto la dinastia dei Medici
Già dalla seconda metà del Quattrocento, tra la produzione veneziana, che aveva preso il sopravvento a livello europeo soprattutto grazie alla scoperta e al perfezionamento del vetro cristallino, e quella fiorentina iniziò a delinearsi un diverso orientamento di gusti sempre più legato, nel caso della Toscana, al programma propagandistico della casata regnante. Se la produzione di pregio di gran parte del Cinquecento fiorentino era ancora opera di vetrai veneziani trasferitisi a Firenze, tra la fine del XVI secolo e l'inizio di quello successivo la produzione della cerchia fiorentina si emancipò dai modelli muranesi per acquisire un carattere autonomo. Sotto Francesco I, Ferdinando I e Cosimo II furono riorganizzate le botteghe e attivate nuove fonderie, come quella nel Casino Mediceo di San Marco o quella aperta nel giardino di Boboli a Firenze; le nuove forme vetrarie dal gusto tipicamente manieristico, oltre a trovare posto in trattati e repertori dell'epoca, tra cui spicca per importanza l'Arte vetraria di Antonio Neri, sono mirabilmente raffigurate nei dipinti coevi, come gli affreschi di Alessandro Allori nella villa medicea di Poggio a Caiano. Si tratta di calici a stelo, bicchieri conici, vasi con coperchio, piatti da parata e trionfi da tavola (nati per stupire e divertire i commensali), di cui esiste un'importante collezione nel Museo di Storia della Scienza di Firenze.
A partire dal Seicento assunsero particolare rilevanza anche i vetri legati alla sperimentazione scientifica, come quelli utilizzati dall'Accademia del Cimento, tra cui si possono annoverare termometri, areometri e ampolle di vario tipo, ancora una volta conservati presso il Museo di Storia della Scienza di Firenze. Una menzione a parte deve essere fatta per il vetro ottico, il cui perfezionamento apportò un miglioramento delle lenti per occhiali, la cui raffigurazione non è rara nei dipinti del XVII secolo, come dimostra anche il quadro di Giovanni Bilivert nel Museo di San Marco a Firenze. Fu proprio in questi anni, del resto, che Galileo, grazie all'uso combinato di due lenti, una obiettiva piano-convessa e una oculare piano-concava, giunse a scoprire col suo cannocchiale i principali satelliti di Giove.
Non vanno, infine, dimenticati, tra gli oggetti di uso comune, i vasi da farmacia, di cui restano interessanti testimonianze nel Museo di Arte Medievale e Moderna di Arezzo, nelle farmacie dei monasteri di Camaldoli e della Verna, nell'Antica Spezieria dello Spedale Serristori di Figline Valdarno, nell'Officina Profumo Farmaceutica di Santa Maria Novella a Firenze e nella Spezieria di Santa Fina di San Gimignano.
- Antica Farmacia del Monastero di Camaldoli
- Antica Spezieria dello Spedale Serristori
- Casino Mediceo di San Marco
- Giardino di Boboli
- Museo Galileo - Istituto e Museo di Storia della Scienza
- Museo del Santuario de La Verna
- Museo Statale d'Arte Medievale e Moderna
- Officina Profumo Farmaceutica di Santa Maria Novella
- Spezieria di Santa Fina
- Villa Medicea 'Ambra'
- Cosimo II de' Medici
- Ferdinando I de' Medici
- Francesco I de' Medici
- Museo Galileo - Sala VIII. L'Accademia del Cimento
- Antonio Neri: L'arte vetraria
- Lente obiettiva di Galileo
Dai Lorena all'Unità d'Italia
Fatta eccezione per la vetreria dedicata ad uso farmaceutico e a sperimentazioni chimico-fisiche, oggetto di studio e di conservazione da parte di istituzioni pubbliche e private, fino a pochi anni fa la conoscenza dell'attività vetraria nella Toscana dei secoli XVIII e XIX risultava estremamente lacunosa. Studi recenti ne hanno rimesso in luce l'importanza in relazione ad un realtà storico-culturale estremamente vivace.
A partire dal Settecento si assiste ad una progressiva semplificazione delle forme che, in contrasto con i virtuosismi barocchi dei vetri seicenteschi, recuperano l'originario carattere di economicità e funzionalità. La nuove misure protezionistiche attuate dal Granduca, che rendevano estremamente difficile l'arrivo di prodotti o manodopera specializzata forestiera, e l'affermazione della classe borghese, che nel desiderio di avvicinarsi ai fasti nobiliari richiedeva prodotti sempre più raffinati, indussero le fornaci toscane ad imitare i prodotti di pregio stranieri e veneziani in cristallo. È in questa realtà che si inserì l'attività di fabbriche come quelle di Montaione e di Colle Val d'Elsa. I "Maestri di Montajone" sono citati espressamente in un Bando emesso da Francesco Stefano nel 1738 che, al fine di salvaguardare la produzione locale, sanciva il divieto per i vetrai della zona di andare a lavorare oltre i confini del granducato. Risale, invece, al 1820 l'inaugurazione della prima fornace per "cristalli" a Colle Val d'Elsa, la cui attività, sotto la direzione di François Mathis prima e di Giovan Battista Schmid poi, è ben documentata nel locale Museo del Cristallo.
A questa produzione di carattere più "elitario" continuò ad affiancarsi la fabbricazione di vasellame più comune, generalmente di vetro verde, legato alla conservazione dei prodotti agricoli della regione. Si trattava, in generale, di una produzione a carattere artigianale, condotta da imprese a conduzione familiare, la cui attività rimaneva circoscritta all'ambito del proprio territorio.
Dall'Unità d'Italia agli inizi del Novecento
I rivolgimenti storico-politico-economici ed i fermenti artistici e scientifici che caratterizzarono gli anni compresi tra il 1860 e la prima metà del Novecento incisero profondamente sulla produzione vetraria del periodo. Purtroppo, la perdita di gran parte della documentazione e degli impianti di produzione, soprattutto a seguito dei due conflitti mondiali, hanno reso arduo il compito di tracciare un quadro corretto della produzione vetraria in Toscana. Ad un primo periodo di crisi, dovuto al costo elevato per l'importazione delle materie prime dall'estero, si contrappose, nell'ultimo ventennio del XIX secolo, una inversione di tendenza che vide l'aumento della gamma dei prodotti, ora nettamente distinti tra vetro bianco per articoli da tavola e da farmacia e vetro verde per bottiglie, fiaschi e damigiane. In quest'ultima produzione si distinsero le fabbriche empolesi, tra le quali la più grande era quella di Carlo del Vivo.
Nel passaggio al nuovo secolo si assistette anche ad un cambiamento delle strutture produttive: le fabbriche, ormai a carattere industriale, si dotarono di forni alimentati a gas - ideati nel 1856 da Friedrich Siemens - e in un secondo momento di macchine semiautomatiche, come la soffiatrice ad aria compressa Boucher o la macchina Owens per la lavorazione a stampo. Le strade ferrate di recente costruzione, infine, favorendo l'approvvigionamento di materie prime e il trasporto delle merci, incrementarono ulteriormente l'attività industriale della zona.
Le nuove forme protezionistiche attuate all'indomani dell'Unità d'Italia resero sempre più difficile l'importazione dei prodotti dall'estero, ora sottoposti a forti tariffe doganali. Fu in questo clima che il governo francese, i cui vetri venivano ormai smerciati a fatica nella penisola, decise di ovviare al problema impiantando direttamente a Pisa una filiale della società Saint Gobain. La fabbrica, che prese il nome di Fabbrica Pisana di specchi e lastre colate della Società Saint-Gobain, divenne in breve tempo una delle più importanti della Toscana, in diretta concorrenza con la Società Anonima Vetraria Italiana, nata a Livorno nel 1884 e, in misura minore, con le ditte di Pisa e di Firenze; la Fabbrica di Cristallerie e Vetrerie di Colle Val d'Elsa, dopo la morte dello Schmid avvenuta nel 1885, stava, invece, attraversando un periodo di crisi.
Agli inizi del XX secolo la crisi del settore vetrario investì tutte le fabbriche della penisola, risolvendosi solo nel periodo tra le due Guerre, quando si registrò un picco produttivo legato anche a nuove sperimentazioni che portarono alla creazione, negli anni Trenta, di materiali innovativi come il SECURIT (cristallo temperato resistente agli urti prodotto a Pisa) o il VETROFLEX (il più moderno isolante termico dell'epoca, fabbricato a Livorno).
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Scheda a cura Elena Fani
Data aggiornamento 02/feb/2008