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Tradizioni popolari in Toscana

Tradizioni popolari in Toscana

Il Museo di Firenze rappresenta il luogo ideale dal quale iniziare un percorso antropologico in Toscana, le cui tappe sono costituite dai numerosi musei demo-etno-antropologici che rispecchiano le multiformi tradizioni popolari della regione. Spesso questi musei sono nati dal basso, per iniziativa di cittadini o associazioni locali, ed hanno beneficiato a posteriori della rilevante tradizione di studi demologici, particolarmente attiva nella cultura antropologica italiana.

Vetrina dedicata a Paolo Mantegazza e alle popolazioni della Lapponia, Museo di Storia Naturale di Firenze - Sezione di Antropologia.
Paolo Mantegazza e l'etnografia in Toscana

Nella seconda metà dell’Ottocento l’antropologia in Toscana ebbe un significativo impulso grazie all’opera del medico e antropologo darwiniano Paolo Mantegazza. Per documentare l’evoluzione dell’uomo e lo sviluppo della civiltà, egli concepì nel 1869 il Museo di Antropologia e Etnologia di Firenze. Era il primo museo universitario antropologico d’Europa. Nello stesso anno ricoprì, presso l’Istituto di Studi Superiori di Firenze, la prima cattedra italiana di Antropologia. Nel 1871 fondò la "Società Italiana di Antropologia ed Etnologia" e istituì una biblioteca specializzata. Fu anche il fondatore della Società Fotografica Italiana, di grande rilievo anche per l’antropologia allorché la fotografia fu concepita come reperto scientifico, spesso fondamentale per cogliere i contesti.

 

Il Museo di Firenze va oltre la dimensione regionale e nazionale, esponendo oggetti di antropologia fisica e culturale raccolti durante le spedizioni etnografiche, molte in paesi extra-europei. Di particolare interesse storico risultano anche gli strumenti antropometrici costruiti tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento.

 

Fra i musei che conservano materiali etnografici extraeuropei, ma di dimensioni ben più contenute, sono da segnalare il Museo Missionario Etnografico Francescano di Fiesole, che esibisce reperti etnografici (abiti, strumenti musicali, prototipi di stampi da tipografia, statuette di giada, porcellane ed avori) raccolti dai missionari, soprattutto in Cina e in Egitto; il Museo Civico di Montaione che, in uno spazio dedicato all’etnografia, mostra una collezione di oggetti africani e, infine, le collezioni del Museo del Castello di Porciano, che presentano, in un’apposita sezione, alcuni oggetti di artigianato ottocenteschi degli indiani Sioux del North Dakota.

Tornio a vite per la spremitura delle vinacce, Museo Etnografico Provinciale "Don Luigi Pellegrini", San Pellegrino in Alpe (Castiglione di Garfagnana).
Un percorso scientifico fra le tradizioni popolari

La demologia, termine con il quale si qualificano gli studi sulla cultura popolare, costituisce un ambito significativo dell’antropologia culturale. Quest’ultima si sviluppò come disciplina scientifico-sociale nel complesso dibattito originatosi in Europa e negli Stati Uniti nella seconda metà dell’Ottocento, anche se progetti di mettere in atto una scienza della cultura dell’uomo erano già emersi nel secolo precedente.

 

L’interesse per le tradizioni popolari, per le usanze e le concezioni del volgo ricevettero un forte impulso grazie all’enfasi romantico-risorgimentale del concetto di "popolo", concepito come l’«anima» della nazione, la cui spontaneità e genuinità fu contrapposta all’artificiosità della cultura "alta".

 

In Italia, gli studi sulle origini del patrimonio della tradizione orale, veicolata da una generazione all’altra attraverso racconti, leggende, canti, proverbi, si svilupparono successivamente rispetto agli altri paesi europei, come la Germania e la Gran Bretagna. Per gran parte dell’Ottocento, la ricerca italiana si concentrò sulla poesia popolare. Tuttavia intorno alla metà del Novecento si intensificò l’attività demo-etno-antropologica, favorita dalle riflessioni di Ernesto De Martino e dalle analisi sul folclore di Antonio Gramsci.

 

La specificità dell’oggetto di studio, la conseguente costituzione di un ambito disciplinare relativamente autonomo, lo sviluppo di metodologie controllate e rigorose, la definizione di tecniche di indagine sempre più raffinate, l’elaborazione di un linguaggio specifico hanno definitivamente inquadrato l’antropologia culturale e, conseguentemente, la demologia, nell’ambito delle scienze socio-umane. A buon diritto, dunque, possiamo far rientrare negli itinerari storico-scientifici un percorso di carattere demologico.

Barroccio, Museo del Castello di Porciano, Stia.
I percorsi di visita etnografici in Toscana

Dalla montagna alle valli, dalle campagne alle zone umide, la Toscana è costellata di moltissimi musei demo-etno-antropologici che documentano il patrimonio spirituale e materiale delle culture a oralità diffusa. Essi costituiscono una fondamentale chiave di accesso sia per comprendere la cultura popolare tradizionale e le relazioni dinamiche con la vita di oggi, sia per cogliere l’elemento folclorico e separarlo dalla mera celebrazione di consumo turistico. Nei musei sono esposti prevalentemente reperti dell’Ottocento e del Novecento, sebbene siano talora presenti anche oggetti dei secoli immediatamente precedenti. Scopo principale di tali istituzioni è quello di preservare, conservare e rigenerare nella memoria collettiva la passata organizzazione del lavoro e la struttura sociale rurale senza inutili intenti celebrativi.

 

Le peculiari identità popolari della regione si sono formate non solo grazie ai contesti urbani con le loro vicissitudini storico-politiche, restituite poi nell’immaginario collettivo attraverso l’organizzazione delle grandi città, ma si sono costruite anche nelle complementari attività delle culture rurali che nei secoli hanno modellato un paesaggio estremamente vario, spesso celebrato nelle cronache di viaggio. Ampi frammenti di paesaggio rimangono ancora oggi. Ed è proprio da questi frammenti che possono partire viaggi nelle tradizioni delle aree montane, nel mondo rurale collinare, nelle valli e nelle piane, nelle strade del vino e nelle zone palustri. Data la capillarità di tali musei, il percorso, se vuole essere approfondito, non può che selezionare fra quanto proposto.

Zangole per la produzione del burro, Museo Etnografico della Lunigiana, Villafranca in Lunigiana.
La vita quotidiana in montagna

Le tradizioni della montagna sono documentate da un esteso sistema museale che copre l'intera fascia appenninica e sub-appenninica.

 

Le attività agricole, pastorali, artigianali, domestiche e la cultura popolare della Lunigiana sono presentate nel Museo Etnografico della Lunigiana di Villafranca e nella Raccolta Museale "Mario Nadotti" di Lusignana. Il Museo Etnologico delle Apuane "Luigi Bonacoscia" di Massa documenta invece la cultura popolare della fascia costiera. Accanto agli oggetti relativi alle attività domestiche, rurali ed artigianali, troviamo anche le testimonianze sulla estrazione e sulla lavorazione del marmo. La lavorazione del marmo è ben attestata anche dal Museo del Lavoro e delle Tradizioni Popolari della Versilia Storica ubicato nel bel palazzo mediceo di Seravezza.

 

Testimonianze delle attività rurali della Garfagnana si ritrovano nelle ricche collezioni etnografiche del Museo Etnografico Provinciale "Don Luigi Pellegrini" a San Pellegrino in Alpe. Le varie fasi dello sfruttamento del castagno con i relativi attrezzi sono esposte nel Museo del Castagno a Colognora. Originale è il Museo della Figurina di Gesso e dell'Emigrazione di Coreglia Antelminelli, che documenta l'attività di manifattura del gesso e il fenomeno dell'emigrazione del "figurinaio" nella Media Valle del Serchio dal Seicento ai giorni nostri.

 

Le multiformi attività della montagna pistoiese sono documentate nelle varie sezioni del locale Ecomuseo. A Rivoreta si può visitare il Museo della Gente dell'Appennino Pistoiese che esibisce una collezione etnografica con oggetti di uso comune e strumenti dei lavori tipici della montagna (carbonaio, boscaiolo). A Pàvana il Polo Didattico della Pietra propone pannelli informativi e materiali didattici, oltre a itinerari lungo i quali sono mostrati gli oggetti legati all'arte della lavorazione della pietra. A Pracchia la storica Ferriera Sabatini mostra il mondo della lavorazione del ferro nell'Appennino, documentato anche nel Museo del Ferro di Pontepetri. La vita quotidiana della Montagna Pistoiese, dal processo di lavorazione delle castagne alla produzione di carbone, è presentata in Val d'Orsigna e nel Museo del Carbonaio di Baggio. Alle Piastre il Comparto Produttivo del Ghiaccio della Madonnina permette di osservare le ghiacciaie e le relative strutture idrauliche per ottenere il ghiaccio naturale per congelamento. Le tradizionali attività estrattive e la lavorazione della pietra serena di Vellano, capoluogo della "Svizzera Pesciatina", sono presentate nel locale Museo Storico Etnografico del Minatore e del Cavatore.

 

Nella montagna fiorentina, a Raggioli, troviamo il Museo della Civiltà Contadina e dell'Artigianato della Montagna, che conserva una collezione etnografica della vita di montagna con oggetti di uso comune, arnesi da calzolaio, falegname, maniscalco, attrezzi per il lavoro nei campi e nel bosco. Simili testimonianze si trovano numerose anche in Mugello. Nel piccolo nucleo di Grezzano, in una casa colonica restaurata, si trova il Museo della Civiltà Contadina di Casa d'Erci; nel seminterrato della Rocca di Firenzuola ha sede il Museo della Pietra Serena; sempre nel comune di Firenzuola possiamo visitare il Museo del Paesaggio Storico dell'Appennino di Moscheta e il Museo Storico Etnografico di Bruscoli. La vita dell'Appennino è ancora documentata nel trecentesco Palazzo dei Capitani, sede del Museo delle Genti di Montagna di Palazzuolo sul Senio. Una ricostruzione in miniatura degli ambienti artigiano e contadino si può vedere nel Museo di Vita Contadina e Artigiana con Personaggi in Movimento di Sant'Agata. Il viaggio tra i mestieri del Mugello si può concludere nel Museo dei Ferri Taglienti che documenta la cultura e la produzione dei coltelli tipica del paese di Scarperia.

 

Le tradizioni, credenze, usi e costumi della cultura agro-silvo-pastorale tipica del Casentino sono registrate nelle varie sezioni del locale Ecomuseo. Esse sono costituite dal Centro di Documentazione della Cultura Rurale del Casentino nell'antico borgo di Castel Focognano, dal Museo della Casa Contadina di Subbiano, dal Museo del Bosco e dalla Montagna di Stia, dal Museo della Castagna di Raggiolo e di Ortignano, dal Museo del Carbonaio e dal Museo della Civiltà Castellana di San Niccolò. Inoltre, le varie modalità d'impiego dell'acqua, da fondamentale risorsa nell'alimentazione a determinante elemento per la produzione di energia per azionare le macchine di mulini, gualchiere e ferriere, sono riportate nel Museo dell'Acqua di Capolona. Meritano infine una visita le collezioni di attrezzi legati al mondo contadino, gli oggetti di uso quotidiano, gli strumenti per la filatura e gli antichi arredi del Castello di San Niccolò.

 

La vita rurale e il lavoro artigianale della montagna dell'Amiata sono documentate nelle collezioni dei secoli XIX e XX della Casa Museo di Monticello Amiata e del Museo Etnografico di Santa Caterina. Particolarmente interessante è anche il Parco Museo della Peschiera di Santa Fiora.

Sala 2: lo scalpellino, Museo Storico Etnografico del Minatore e del Cavatore, Pescia.
Il mondo rurale nelle colline, nelle valli e nelle piane

Numerosi sono anche i musei etnografici che documentano le attività rurali nelle valli e nelle piane del territorio regionale.

 

L'attività contadina della piana lucchese è ben documentata nella Mostra Permanente Attrezzi di Vita Contadina di San Leonardo in Treponzio e nella Mostra Etnografica Permanente di Capannori.

 

A Vaiano possiamo visitare il Centro di Documentazione Storico-Etnografica della Val di Bisenzio che si propone di salvaguardare la memoria storica del territorio attraverso le collezioni dei reperti della vita rurale. Sono documentati anche strumenti legati alle diverse tappe della proto-industria locale.

 

Le attività contadine della piana fiorentina sono presentate nella Raccolta Etnografica "Casa del Guidi" di Sesto Fiorentino. Inoltre il Museo della Paglia e dell'Intreccio "Domenico Michelacci" di Signa esibisce attrezzi, manufatti, oggetti e materiale iconografico relativi alla lavorazione e alla commercializzazione della paglia a Signa e nel mondo, documentando uno straordinario patrimonio legato all'economia toscana tra i secoli XVIII e XX.

 

Nel Valdarno troviamo l'interessante Museo della Civiltà Contadina, situato nel complesso monumentale della Pieve di San Romolo a Gaville, e il Museo dei Mestieri e delle Arti del Legno di Cascina che intende ricostruire e valorizzare l'evolversi degli antichi mestieri del legno su cui si è sviluppata l'economia locale.

 

In Valdera il Museo del Lavoro e della Civiltà Rurale di San Gervasio di Palaia espone oggetti relativi alla cura degli animali, alla tessitura, alla produzione dell'olio e del vino, ai lavori artigianali e alla vita quotidiana. Una mostra permanente della Civiltà Contadina è allestita anche a Montefoscoli.

 

Le attività agricole e artigianali della Val di Cecina sono documentate dal Museo della Civiltà Contadina di Montecastelli Pisano. A Cecina, nella settecentesca Villa Guerrazzi, è allestito il Museo della Vita e del Lavoro della Maremma Settentrionale. Scendendo verso sud, a Venturina, troviamo il Museo della Civiltà del Lavoro, che documenta le attività rurali e produttive della Val di Cornia. Anche nel Museo di Storia Locale "Ildebrando Imberciadori" di Montepescali è possibile rinvenire alcuni attrezzi della civiltà contadina locale. Ancora più a sud, ad Albinia, il Museo della Cultura Contadina mostra gli aspetti che caratterizzarono le attività rurali nelle pianure meridionali della Maremma toscana, soprattutto in riferimento al periodo che va dal primo Novecento alla Riforma Fondiaria.

 

Spostandoci nel senese, a Buonconvento si può visitare il Museo della Mezzadria che propone la rievocazione di un modello sociale e produttivo, oggi vietato e scomparso, assai diffuso in Toscana. Il mondo dei mezzadri è presentato anche dal Museo etnografico del Bosco e della Mezzadria di Sovicille. Inoltre, nella campagna senese, a Serre di Rapolano si trova il Museo dell'Antica Grancia di Serre; all'interno è allestito un museo articolato in due settori: il Centro di Documentazione delle Grance e il Museo dell'Olio, ospitato in un antico frantoio. L'olivicoltura e la produzione dell'olio sono documentati anche nell'Antico Frantoio di Massa Marittima, dove si segnala anche un'Antica Falegnameria, fedele ricostruzione di una falegnameria tradizionale.

Strumenti per la produzione del vino, Museo della Vite e del Vino del Centro per la Cultura del Vino "I Lecci", Montespertoli.
La vite e il vino

Il mondo legato alla produzione del vino, che, insieme all’olio, rappresenta una delle principali tipicità della regione, è ben rappresentato in molti musei, sia con specifiche sezioni dedicate al mondo della vitivinicoltura, sia con musei "tematici". Fra questi ultimi si segnala il Museo della Vite e del Vino di Carmignano che documenta la lunga storia della produzione vinicola, che ha origine nell’opera di valorizzazione avviata dai granduchi medicei.

 

Nella storica Villa di Poggio Reale è allestito il Museo della Vite e del Vino del Chianti Rufina. L’esposizione mostra strumenti e macchinari per la coltivazione della vite e la produzione e conservazione del vino in uso tra il 1930 e il 1960. La struttura museale comprende anche una importante biblioteca storica, che raccoglie volumi, documenti, fotografie e filmati su aspetti della vitivinicoltura. Nelle terre del Chianti il Museo "Emilio Ferrari" di Cultura Contadina di San Donato in Poggio presenta arnesi da lavoro che testimoniano la cultura rurale chiantigiana. Specifiche sezioni sono dedicate all’ulivicoltura e alla viticoltura. A Radda il Piccolo Museo del Chianti si propone di dare un’idea della vita contadina chiantigiana prima dell’esodo dalle campagne.

 

A Montespertoli, nell’Empolese, si può visitare il Museo della Vite e del Vino del Centro per la Cultura del Vino "I Lecci" che illustra le varie fasi di produzione del vino: dalla raccolta dell’uva, alla vinificazione, all’imbottigliamento.

 

Infine, l’attività vinicola della campagna maremmana è documentata dai musei della Vite e del Vino di Roccastrada e di Scansano.

Osteria del Pellegrino, sede del Museo della Città e del Territorio e della Biblioteca Comunale di Monsummano Terme.
Le attività intorno alle zone umide

Le interazioni fra l'uomo e gli ambienti palustri è documentata dal Museo della Città e del Territorio di Monsummano Terme, che presenta una sezione sul padule di Fucecchio. Una serie di attrezzi e di fotografie illustrano le modalità di svolgimento del lavoro e i cicli produttivi connessi alla pesca, i mezzi di navigazione e la raccolta di erbe palustri. Una esposizione dedicata alle attività palustri si trova anche nel Museo Storico della Caccia e del Territorio ospitato nella bella Villa Medicea di Cerreto Guidi.

 

Gli antichi mestieri legati alle zone umide sono infine documentati nel Museo della Pesca e delle Tradizioni Lagunari di Talamone. Strumenti, antiche foto e attrezzi tradizionali per i vari tipi di pesca lagunare mostrano le attività messe in atto nella laguna di Orbetello.

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Scheda a cura Graziano Magrini

Data aggiornamento 28/feb/2008