Fin dai tempi più remoti, l'uomo ha avvertito l'esigenza di comprendere i cicli che scandiscono il succedersi delle stagioni e il variare della durata del giorno e della notte e di calcolare lo scorrere del tempo. Per dare risposta a questi interrogativi di importanza cruciale per le attività agricole, per le pratiche religiose e per la vita economica e sociale, l'umanità ha osservato con attenzione i grandi luminari che solcano il cielo con i loro moti periodici.
I più antichi calendari furono infatti basati sui cicli del Sole e della Luna.
Nelle civiltà antiche prevalse inizialmente la tendenza a fondare il calendario sul ciclo lunare. Il nostro satellite completa un'intera lunazione in 29 giorni e mezzo. In un anno solare si verificano dunque 12 lunazioni, per un totale di 354 giorni: 11 giorni in meno dell'anno solare.
Il ciclo lunare non è sincronizzato col succedersi delle stagioni, che è determinato dal percorso della Terra intorno al Sole e dall'inclinazione dell'asse terrestre di 23 gradi e mezzo sull'eclittica.
L'astronomo greco Metone notò tuttavia che 235 lunazioni corrispondevano quasi esattamente a 19 anni solari. Il ciclo metonico consentiva di sincronizzare il calendario lunare con l'anno solare e con lo scorrere delle stagioni.
Gli antichi popoli della Mesopotamia adottarono un calendario lunisolare nel quale l'inizio del mese era stabilito dall'apparizione della prima falce di Luna dopo il Novilunio. Il calendario lunare era mantenuto in accordo con il solare grazie all'aggiunta, stabilita dal Re, di un mese intercalare.
Gli Egizi, come narra Erodoto, utilizzarono un calendario scandito dal percorso apparente del Sole. Aveva una durata di 365 giorni esatti, risultanti da 12 mesi di 30 giorni ai quali venivano aggiunti 5 giorni all'inizio di ogni anno. L'elemento regolatore del calendario civile e religioso era costituito dalla riapparizione della stella Sirio (identificata con la dea Iside), della costellazione del Cane Maggiore che annunciava l'inondazione annuale del Nilo. Sirio torna ad essere visibile all'orizzonte orientale, prima del sorgere del Sole, intorno al 20 luglio, dopo essere rimasta invisibile per circa 70 giorni. La levata eliaca di Sirio e il variare nel corso dell'anno della posizione del Sole all'alba erano osservati da punti di riferimento fissi, come gli obelischi. L'anno solare egizio era più corto dell'anno solare vero di circa sei ore; ciò comportava lo scarto di un giorno ogni 4 anni.
A Romolo, primo re di Roma, è attribuito il più antico calendario romano, che avrebbe avuto solo 10 mesi, come sembra indicare la successione dei loro nomi. A marzo, aprile, maggio e giugno, seguivano infatti il quintile, il 5° mese, il sestile, il 6° mese e poi settembre, 7° mese e così via. I mesi avevano una durata di 30 giorni, tranne marzo, maggio, il quintile e ottobre che ne avevano 31, per un totale di soli 304 giorni, una durata talmente breve da far dubitare che il calendario romuleo sia effettivamente esistito.
A Numa Pompilio, successore di Romolo, la tradizione attribuisce la prima riforma del calendario, mutuato da quello lunare dei Greci che avevano un anno di 354 giorni (equivalenti a 12 lunazioni di 29 giorni e mezzo ciascuna), ottenuto alternando mesi di 29 giorni a mesi di 30 giorni.
Per far corrispondere il calendario lunare con l'anno solare, un anno sì e uno no, veniva intercalato un mese, detto mercedonio, della durata alternativamente di 22 o 23 giorni. Il mercedonio cadeva dopo il 23 febbraio, giorno della festa dei Saturnalia. Il Collegio dei Pontefici, l'organo dell'antica Roma preposto al culto religioso e alla gestione del calendario, manipolava tuttavia a fini politici le intercalazioni, creando sfasature tra anno solare e anno civile. Succedeva, ad esempio, che le ricorrenze primaverili venissero festeggiate in pieno inverno.
Nel 46 a.C., Giulio Cesare promulgò la riforma del calendario, che porta il suo nome, realizzata con la consulenza dell'astronomo alessandrino Sosigene. La riforma giuliana segnò il passaggio al calendario solare. La durata media dell'anno solare fu fissata in 365 giorni e un quarto, ottenuta con un ciclo quadriennale di tre anni di 365 giorni e uno di 366. A tale scopo, la riforma stabilì anche per i mesi di gennaio, agosto e dicembre una durata di 31 giorni, mentre ai rimanenti mesi di 29 giorni fu aggiunto un giorno ciascuno. Il giorno supplementare del quarto anno del ciclo si otteneva duplicando il 24 di febbraio, il sesto giorno prima delle calende di marzo, che quindi fu detto «bis sextus», cioè sesto giorno ripetuto. Di qui il termine 'anno bisestile'.
Nel 44 a.C. Marco Antonio cambiò il nome del mese Quintilis in Iulius, l'attuale luglio, in onore di Giulio Cesare. Nell'8 d.C. il mese Sextilis fu chiamato Augustus, l'attuale agosto, in onore di Ottaviano. L'anno del calendario giuliano presentava ancora tuttavia uno scarto di circa 11 minuti rispetto all'effettiva durata dell'anno solare. Ne derivava che, nel XVI sec., la data dell'equinozio di primavera era spostata di 10 giorni rispetto all'evento astronomico.
In pieno Rinascimento Papa Gregorio XIII istituì un'apposita Commissione per la Riforma del Calendario. Dopo lunghe discussioni si impose la proposta avanzata dal medico calabrese Luigi Lilio di considerare bisestili solo gli anni multipli di 100 divisibili per 400. Negli ultimi 4 secoli, non sono stati così bisestili gli anni 1700, 1800 e il 1900.
Per annullare lo scarto di 10 giorni accumulatosi nei 15 secoli trascorsi dall'introduzione del calendario giuliano, si passò dal giovedì 4 ottobre 1582 al venerdì 15 ottobre. L'equinozio di primavera tornava così a coincidere col 21 marzo, data fissata dal Concilio di Nicea nel 325 d.C. Il Concilio aveva stabilito anche che la festa mobile della Pasqua andava celebrata la domenica successiva al primo plenilunio dopo l'equinozio di primavera. La riforma gregoriana ristabiliva dunque una corrispondenza precisa tra l'evento astronomico e la ricorrenza religiosa.
Il calendario gregoriano venne promulgato, con bolla papale, nel 1582. Adottato inizialmente solo nel mondo cattolico, si diffuse progressivamente nel resto del pianeta ed è ancora oggi quasi universalmente in uso.