Negli stessi anni delle scoperte celesti di Galileo, Johannes Kepler venne definendo una rivoluzionaria concezione dell’universo, fondata su presupposti teologici e metafisici ma delineata attraverso analisi rigorosamente matematiche. Le riflessioni di Kepler segnano il debutto della fisica celeste, cioè della spiegazione dei fenomeni planetari sulla base di principi fisici. La scoperta delle orbite ellittiche, percorse con velocità variabili dai pianeti, e delle tre leggi che portano il suo nome rese Kepler un punto di riferimento importante per i protagonisti della ricerca astronomica dei decenni successivi.
Attraverso un percorso fondato anch’esso sulla convergenza di ragionamento matematico e presupposti metafisici, Cartesio descrisse un universo creato da Dio, ma capace di autoregolarsi senza bisogno di interventi soprannaturali.
In decenni che videro lo sviluppo poderoso della strumentazione astronomica, la nascita dei primi grandi osservatori, ma anche il riaffiorare di visioni ermetiche che rilanciavano l’idea di un universo animato da forze occulte, Isaac Newton - che agiva anch’egli sotto l’impulso di profonde motivazioni religiose - portò a compimento l’opera avviata da Galileo. Newton dimostrò che una sola forza - l’attrazione gravitazionale - bastava a dar conto delle posizioni dei corpi celesti, delle loro dimensioni relative, dei loro moti e velocità orbitali. L’apoteosi della scienza newtoniana contribuì a imporre un’immagine dell’universo come orologio perfettamente funzionante. La vasta produzione di complessi planetari meccanici favorì la diffusione di questa visione in tutta Europa.