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Storia del teatro: lo spazio scenico in Toscana

Storia del teatro: lo spazio scenico in Toscana

La nascita di una letteratura teatrale presuppose, sin dai suoi primordi, la realizzazione di edifici funzionali alla visione delle rappresentazioni. I teatri romani presenti in Toscana testimoniano delle raffinate conoscenze nel campo dell’acustica e della prospettiva dell’epoca. Col risorgere di un teatro di corte e “borghese”, a partire dal XVII secolo nacque una nuova idea di spazio scenico che portò alla realizzazione in Toscana di alcuni fra i più precoci esempi di edificio teatrale moderno.

Teatro greco di Segesta, Trapani.
Il teatro prima dell'avvento di Roma

Anche se le fonti antiche attestano chiaramente l’esistenza di una letteratura teatrale etrusca, nessuna testimonianza monumentale di edificio o spazio scenico di epoca anteriore a quella romana è sopravvissuta fino a noi nel territorio dell’attuale Toscana. L’erudito di epoca augustea Varrone ricorda, ad esempio, le opere di un certo Volnio, scrittore di tragedie in lingua etrusca, che si suppone prendessero a modello la coeva produzione del mondo greco. Soltanto in via ipotetica è possibile immaginare che il teatro in Etruria imitasse, anche da un punto di vista architettonico e strutturale, i modelli ellenici. Questi ultimi erano venuti evolvendosi in una forma architettonica che può dirsi compiuta già alla fine del V secolo a.C.

 

In Grecia l’edificio teatrale, nella sua forma matura, era composto principalmente da tre elementi: la cavea o koilon, la scena o skené e l’orchestra. Il primo termine identifica l’invaso semicircolare a gradoni ricavato sul pendio di un colle e destinato ad ospitare il pubblico. La scena, luogo dove avveniva l’azione teatrale, si evolvette da semplice tenda (è questo, infatti, il significato originario della parola greca skené) a facciata architettonica scandita da tre porte. L’orchestra, infine, spazio circolare posto tra la cavea e la scena, era dotato di corridoi laterali di accesso (parodoi) e destinato all'azione del coro. Il teatro era privo di copertura e si poteva avvalere, per la realizzazione di effetti spettacolari, di macchine per il sollevamento degli attori (mechané), di piattaforme scorrevoli (ekkúklema), e di svariati tipi di congegni come quelli per la simulazione dei fulmini e dei tuoni (keraunoskope î on e bronteîon).

Il teatro romano di Volterra.
Il teatro romano

Rispetto al modello greco il teatro di epoca romana presentava alcune varianti architettoniche dovute al modificarsi delle rappresentazioni sceniche che già Vitruvio, nel V libro del De Architectura, individuò con grande precisione. In particolare lo spazio destinato all’orchestra si fece assai più ridotto a causa della sempre minor importanza del coro nell’economia dello spettacolo. L'antica skené si trasformò in un'imponente frontescena a più piani (scaena frons), ricca di statue e decorazioni in marmo, la cui altezza, pari a quella della cavea, permetteva di fissare, all’occorrenza, un grande telone (velarium) a copertura del teatro. Alla cavea, che secondo Vitruvio doveva ospitare dei vasi risonatori in bronzo (echeia) per motivi di acustica, si accedeva attraverso le aperture dei vomitoria. Completavano l'allestimento un alto palcoscenico (pulpitum) e un sipario (sconosciuto ai greci) che si abbassava all'inizio delle rappresentazioni. L'utilizzo di macchinari mediati dal mondo greco, come i prismi triangolari girevoli per i cambi di scena (periaktoi), è testimoniato, oltre che dall'architetto augusteo, anche da un autore più tardo, Polluce, vissuto nel II secolo d.C. Dove, però, si manifestarono le innovazioni più significative fu nel caso dei teatri exaggerata, termine col quale si indicavano edifici costruiti su sostruzioni artificiali costituite da gallerie voltate sovrapposte. I traguardi raggiunti dall’ingegneria romana consentirono infatti, grazie all’uso dell’arco e delle malte, la realizzazione di grandiose cavee teatrali anche in terreni pianeggianti, consentendo per la prima volta di inserire il teatro nella griglia urbanistica regolare delle città.

 

Per quel che riguarda la Toscana, le più antiche testimonianze di edifici scenici non sono anteriori al I secolo a.C. e sono da ricondurre alle iniziative urbanistiche condotte in epoca romana negli antichi centri etruschi (ad esempio Fiesole e Volterra) e nelle città di nuova fondazione (Firenze e Lucca). Ragioni di carattere economico, unitamente alle caratteristiche morfologiche di molte località etrusche, indussero a preferire la soluzione di teatri ricavati sfruttando declivi naturali. È questo il caso del teatro di Volterra, indubbiamente uno dei meglio conservati, che consente di apprezzare le importanti differenze strutturali e architettoniche esistenti fra i teatri romani e i loro precedenti greci.

Jean Fouquet, il "Martirio di Santa Apollonia", miniatura, Musée Condé, Chantilly. La scena di martirio è impostata come una sacra rappresentazione.
Lo spazio scenico in epoca medievale

L'avvento del Medioevo segnò una svolta decisiva nella concezione dello spazio scenico. L'edificio teatrale concepito "classicamente" come luogo preposto allo svolgimento dello spettacolo non esisteva più. La crisi politica ed economica dell'Impero Romano d'Occidente e la condanna della Chiesa segnarono, infatti, la lenta decadenza dei teatri romani. Le rappresentazioni medievali si avvalevano, ora, di una pluralità di luoghi preesistenti, come chiese, piazze e strade. In particolare, per i drammi sacri che si svolgevano nelle chiese, esistevano una serie di "luoghi deputati" (mansiones), zone particolarmente significative da un punto di vista simbolico, a volte identificate da strutture appositamente costruite (zafaldi), destinate a rappresentare, ad esempio, luoghi reali come monti e fiumi, o località del racconto biblico come il sepolcro di Cristo, la città di Betlemme o il Paradiso. Non mancavano macchine sceniche per la riproduzione di effetti speciali, mentre documenti dell'epoca attestano la ricchezza della dotazione di costumi e suppellettili varie.

Teatro Mediceo: la porta del ricetto con al di sopra il busto di Francesco I de' Medici. Galleria degli Uffizi, Firenze.
Fra sacra rappresentazione e teatro di corte nella Toscana del Rinascimento

La tradizione medievale delle sacre rappresentazioni non si esaurì nel Medioevo, ma trasmise il suo apparato scenotecnico ai secoli successivi, arrivando ad influenzare il macchinario di epoca barocca. Per il periodo compreso tra la prima metà del Quattrocento e i decenni iniziali del secolo successivo esistono preziosi documenti coevi che, seppur soggetti ad interpretazioni talvolta discordanti, descrivono in maniera dettagliata i cosiddetti "ingegni" fiorentini, la cui ideazione viene fatta tradizionalmente risalire alle figure di Filippo Brunelleschi (1377-1446) e del Cecca (1447-1488). Si tratta degli apparati tecnici e dei meccanismi di illuminazione utilizzati per l'Annunciazione allestita, nel 1439, nella chiesa della SS. Annunziata (o, secondo un'interpretazione recente, nella chiesa di San Marco), per l'annuale rappresentazione dell'Ascensione nella chiesa di Santa Maria del Carmine e per l'Annunciazione di San Felice in Piazza.

 

A partire dal XV secolo, la tradizione delle sacre rappresentazioni fu affiancata dai primi esempi di spettacoli legati al fasto delle corti e dei palazzi signorili dell’epoca. Le riflessioni quattro-cinquecentesche sui temi della prospettiva e sul "mito" della città ideale e la contemporanea riscoperta di Vitruvio (la cui prima edizione a stampa, curata da Sulpicio da Veroli, risale al 1486) contribuirono alla restaurazione del teatro come spazio unificato in cui la scena viene realizzata per essere fruita perfettamente da un unico punto di vista, occupato dal principe mecenate. Per ovviare alla presenza di macchinari sempre più voluminosi, Vasari introdusse l'idea del retro palco, mentre Bernardo Buontalenti prefigurò gli accorgimenti della scena barocca combinando l'utilizzo dei prismi triangolari girevoli (i periaktoi della scena versatilis di romana memoria) con le quinte scorrevoli della scena ductilis.

 

Emblematici delle sperimentazioni del periodo sono il Teatro Olimpico di Vicenza, il Piccolo Olimpico di Sabbioneta e, per la Toscana, il Teatro Mediceo di Firenze, opera di Bernardo Buontalenti.

Teatro della Pergola a Firenze: il salone d'ingresso
La nascita del teatro moderno fra Seicento e Settecento

I secoli XVII e XVIII videro l'affermarsi di un nuovo tipo di edificio teatrale, la sala barocca o all'italiana, caratterizzata da una pianta allungata, originariamente ad U ed in seguito a ferro di cavallo, dotata di un imponente ed elaborato boccascena e di una serie di palchetti tramezzati accessibili da ingressi autonomi. Tale modello, affermatosi dopo un lungo periodo di sperimentazione che vide il passaggio dall'antica struttura a gradoni, ancora presente nel Teatro Farnese di Parma, alla pianta mistilinea del Teatro degli Immobili (poi Teatro della Pergola) di Firenze, venne a fissarsi definitivamente nel Teatro alla Scala di Milano (1778). Protagonisti indiscussi di questo periodo di cambiamento furono i membri della famiglia Galli Bibiena, una vera e propria dinastia di architetti e scenografi che, nel corso di tre generazioni (dalla fine del Seicento alla fine del Settecento), interpretarono le numerose ed eterogenee tendenze dell'epoca. Fautori, per motivi di acustica, di edifici a pianta svasata come il Teatro dei Rinnovati di Siena, furono al centro di aspre polemiche che vedevano, invece, nei teatri a pianta ellissoidale il concretizzarsi delle teorie scientifiche sorte in quest'epoca sull'argomento.

 

Per quanto riguarda l'apparato scenotecnico, il Seicento si caratterizzò per il definitivo affermarsi del boccascena come struttura architettonica portante e per l'abbandono del sistema dei periaktoi in favore di quinte piatte scorrevoli, disposte in diagonale verso il centro della scena e azionabili tramite funi legate ad un argano posizionato nel sottopalco. Per ospitare la dotazione di scene di repertorio e la grandiosa mole di macchinari furono create zone di servizio, mentre lo spazio scenico si allungò in profondità grazie anche a sapienti giochi ottici.

 

La situazione cambiò nel Settecento: se inizialmente la scenografia, soprattutto ad opera dei Bibiena, rinunciò all'asse centrale e si concretizzò, con la veduta ad angolo, in una prospettiva a fuochi multipli, nella seconda metà del secolo abbandonò progressivamente l’eccesso ornamentale di tipo barocco. Si affermò la cosiddetta scena-quadro che ridusse all'utilizzo di una tela dipinta per il fondale e di un numero esiguo di quinte e teloni quella che nel Seicento era stata una grandiosa macchina prospettica. L'apparato scenotecnico si semplificò, pur conservando e sviluppando i meccanismi e gli accorgimenti, come la graticcia e i gargami, che consentirono i cambi di scena grazie al sollevamento e all'abbassamento dei teli dal soffitto.

Palcoscenico del Teatro Castagnoli di Scansano.
Il teatro nell'Ottocento fra continuità e innovazione

L'Ottocento mantenne sostanzialmente invariata la concezione architettonica dell'impianto teatrale, mutuando dai secoli precedenti la sala all'italiana a ferro di cavallo e ordini di palchetti. Fu però in quest'epoca che le innovazioni di carattere tecnologico impressero un forte impulso al perfezionamento dell'apparato scenotecnico. In particolare, l'utilizzo dell'energia idraulica prima e di quella elettrica poi permisero soluzioni più agevoli per il movimento dei macchinari, ormai non più utilizzati per voli e apoteosi, ma soprattutto per lo spostamento di scene già montate su palcoscenici mobili. La nuova attenzione al "realismo storico" imponeva, infatti, oltre ad una ricerca meticolosa per la realizzazione dei costumi di scena e alla frequente presenza sul palco di animali vivi, anche una accurata ricostruzione degli ambienti, dotati, ora, di veri e propri soffitti, arredi e ingombranti oggetti d'uso che potevano essere utilizzati agevolmente nei cambi di scena solo se preventivamente montati su palchi mobili nascosti al pubblico. L'effetto di realismo venne, inoltre, accentuato dall'introduzione di nuovi sistemi di illuminazione: alle lampade ad olio che alla fine del Settecento si erano imposte sul vecchio sistema a candele, si sostituì, dalla prima metà dell'Ottocento, l'illuminazione a gas che, oltre a poter essere azionata a distanza, permetteva di graduare l'intensità della luce durante le rappresentazioni. L'avvento dell'energia elettrica, già sperimentata a Parigi attorno alla metà del secolo, ma introdotta per la prima volta in Italia solo nel 1883 alla Scala di Milano, rivoluzionerà, infine, la concezione dello spazio scenico, causando il progressivo abbandono del fondale dipinto.

 

Numerosi sono i teatri ottocenteschi della Toscana, dal Teatro Verdi di Pisa al Teatro Metastasio di Prato, dal Teatro Castagnoli di Scansano al Teatro del Giglio di Lucca (nato alla fine del Seicento ma ricostruito nei primi anni dell'Ottocento), al Teatro Pacini di Pescia (anch'esso edificato in periodo precedente ma attualmente visibile nella sua versione ottocentesca).

Costumi di scena, Museo e centro studi del Teatro, Scenografia e Costume, Bibbiena
Il Novecento: verso una nuova concezione del teatro

E' impossibile ridurre ad una formula la concezione dello spazio scenico del XX secolo. I fermenti degli ultimi anni dell'Ottocento, quali l'aspirazione ad un'"opera d'arte totale" vagheggiata da Wagner o la fondazione del Théatre Libre di Antoine, si innestarono in un contesto dominato dalle nuove avanguardie storiche, spesso divise tra una visione "primitiva" e quasi onirica della rappresentazione del mondo e una immagine della stessa tesa all'esaltazione delle nuove conquiste tecnologiche, fino allo straniamento dell'elemento umano, sostituito ora da marionette e automi.

Si venne delineando, con sempre maggior chiarezza, il nuovo ruolo del regista che, specialmente a partire da Craig e Appia, avrebbe conferito unità scenica allo spettacolo grazie alla riqualificazione di tutte le sue componenti. Bandita la scenografia tradizionale a favore di una combinazione sempre nuova e originale di elementi plastici variamente componibili, spesso realizzati con materiali innovativi, acquistò nuova e centrale importanza l'utilizzo della luce, sperimentata in tutte le sue potenzialità visive e cromatiche.

 

Per quanto riguarda gli edifici teatrali si assistette, da una parte, ad un ritorno verso gli antichi modelli del teatro greco e del teatro elisabettiano che, con l'abolizione dell'arcoscenico, permettevano di riportare lo spettatore al centro dello spazio, dall'altra alla ricerca di spazi alternativi: casi esemplari furono, attorno agli anni Trenta, l'allestimento de Il sogno di una notte di mezza estate, realizzato da Max Reinhardt nel Giardino di Boboli, e la Rappresentazione di Santa Uliva di Jacques Copeau, messa in scena nel chiostro di Santa Croce a Firenze.

A partire da questo periodo, e più ancora nella seconda metà del secolo, gli architetti non si concentrarono più sulla progettazione di edifici prettamente teatrali, ma sulla costruzione di poli multifunzionali che univano a sale teatrali sale cinematografiche, musei, biblioteche e sale conferenze. Un esempio significativo è costituito, in Toscana, dal Teatro Solvay di Rosignano, mentre tra le iniziative recenti si possono segnalare la creazione del Museo del Teatro, Scenografia e Costume di Bibbiena, unito idealmente al locale teatro dei Dovizi, e l'allestimento di biblioteche specializzate e piccoli spazi espositivi all'interno di teatri storici.

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Scheda a cura Elena Fani

Data aggiornamento 01/feb/2008