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Studi universitari (1580-1589)

ritratto di galileo

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  • Ritratto di Andrea Cesalpino. Olio su tela di A. Battista Ricci, sec. XVI (Università di Pisa, Rettorato).
  • Galileo Galilei osserva la lampada nel Duomo di Pisa. Affresco di Luigi Sabatelli, 1840 (Museo di Storia Naturale di Firenze - Sezione di Zoologia "La Specola" - Tribuna di Galileo).
  • Pagina autografa de La bilancetta (BNCF, Ms. Gal. 45, c. 55r).
  • Bilancetta idrostatica (Istituto  Museo di Storia della Scienza, Firenze, Collezioni Medicee).

Già nel periodo dei primi studi universitari Galileo manifestò una certa insofferenza per l'accademia, che perdurerà negli anni, soprattutto quando sarà chiamato ad insegnarvi, e ispirerà il graffiante Capitolo contro il portar la toga (1589), dove sotto la ribellione all'obbligo di un abbigliamento consono a un "dottore", (la toga, appunto) traspariva, nemmeno troppo fra le righe, la critica a un metodo di lavoro, quello di coloro

 

che vanno il sommo bene investigando
e per ancor non v'hanno dato
drento ...,
perché non è dove lo
van cercando.

 

Duro era il giudizio su quella particolare tipologia di studioso, oltre che sui suoi indumenti. A un'idea di conoscenza come pedissequa ripetizione di una tradizione Galileo contrapponeva un'altra via:

 

a chi vuol una cosa ritrovare,
bisogna adoperar la fantasia

e giocar d'invenzione, e '
ndovinare .

 

E di fantasia Galileo fu dotato fin da ragazzo. Secondo Vincenzo Viviani, il suo allievo più giovane e tormentato biografo, nel 1583, trovandosi nel Duomo di Pisa e osservando l'oscillazione di una lampada, oggi conservata nel Camposanto monumentale, si chiese «se per avventura i tempi delle andate e tornate di quella, tanto per gli archi grandi che per i mediocri e per i minimi, fossero uguali». Dedusse cioè l'isocronismo del pendolo, e se ne convinse dopo aver misurato le oscillazioni con i battiti del proprio polso, sfruttando il senso del ritmo che gli veniva dagli studi musicali. Immaginazione encomiastica del Viviani? Probabilmente. Certo è però che del pendolo Galileo vide le prime applicazioni proprio in campo medico, per stabilire la frequenza delle pulsazioni dei pazienti, sintomo delle variazioni della temperatura corporea, ma poi se ne servì - e gli fu strumento indispensabile grazie alla precisione delle misurazioni - nella determinazione delle leggi del moto.

 

Non solo. La sua curiosità non era appagata dalle lezioni di medicina e di filosofia che all'università impartivano professori come Andrea Cesalpino, Girolamo Borri, Francesco de' Vieri (il Verino secondo) e Francesco Buonamici, legati com'erano tutti, pur nella varietà di posizioni e di capacità, alla tradizione aristotelica, o, nel caso di epigoni di un platonismo estenuato ridotto ormai a mere dispute isterilite, obbligati a conformarsi ad essa dagli statuti di Cosimo I. A seguire la penna, non proprio distaccata e obiettiva, di Vincenzo Viviani, Galileo non era mente che potesse «facilmente assentire a' soli detti et opinioni delli antichi o moderni scrittori, mentre potevasi col discorso e con sensate esperienze appagar se medesimo», e perciò si attirò l'odio di molti «acerrimi difensori d'ogni detto aristotelico» rifiutando di assoggettarsi a un'idea di scienza dogmatica e acritica, lui, studentello imberbe, contro le certezze granitiche e secolari dei dottori.

 

Non stimolati dall'aridità delle dispute aristoteliche di scuola, gli interessi del giovane Galileo si rivolsero presto alla geometria (nella quale aveva visto il fondamento delle leggi della musica e della prospettiva), pur contro la volontà del padre, che avrebbe contato per il figlio su una carriera di medico, sicuramente più vantaggiosa per il sostentamento della famiglia. Galileo trovò il suo primo maestro di geometria in Ostilio Ricci, matematico di Corte e precettore dei paggi del Granduca, sotto la cui guida poté leggere l'intero volume degli Elementi di Euclide, «con tener gli Ippocrati e i Galeni appresso..., per poter con essi prontamente occultarlo quando 'l padre gli fosse sopraggiunto». Gli studi medici, trascurati da Galileo anche in favore della lettura di Archimede, furono in seguito, con buona pace di Vincenzo, abbandonati.

 

Così, nel 1585, Galileo tornò a Firenze col nuovo bagaglio di conoscenze in campo geometrico acquisite negli anni precedenti, lasciando l'università senza laurearsi, pur essendo nella condizione di poterlo fare. Il motivo preciso di questa scelta non lo si conosce, ma, viste le premesse, non c'è da stupirsi. A questo secondo passaggio fiorentino risale la stesura de La bilancetta, un testo mai pubblicato, ma il cui autografo è giunto fino a noi, frutto dello studio di Archimede. Partendo dalla notizia tramandata da Vitruvio dell'inganno al tiranno Gerone perpetrato da un orefice che aveva sostituito con l'argento parte dell'oro della sua corona (inganno smascherato da Archimede «co'l mezzo dell'acqua»), Galileo capì che il modo per poter «esquisitamente trovare la mistione di due metalli» era «co'l mezzo di una bilancia». La bilancia, con la quale si sarebbe misurato il peso delle sostanze prima in aria, poi in acqua, cioè in mezzi di ineguale densità, avrebbe permesso di stabilirne i diversi pesi specifici, in base alle leggi dell'idrostatica archimedea.

 

E prosecuzione ideale dei lavori di Archimede, che aveva affrontato il problema riguardo alle figure piane, sono anche i Theoremata circa centrum gravitatis solidorum, risalenti probabilmente a questo periodo, anche se pubblicati solo nel 1638 all'interno dei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze. Gli studi sui centri di gravità dei solidi, considerati semplicemente punti, e perciò elementi geometrici, dimostrano non solo l'alto livello delle conoscenze matematiche già raggiunte dal giovane Galileo, ma anche la precoce virata rispetto alla fisica aristotelica, incentrata sulle ‘qualità' dei corpi e indifferente alle loro ‘quantità'. Proprio nell'opera di Archimede Galileo, come molti contemporanei, aveva trovato le basi di questa matematizzazione della fisica, che lo avrebbero portato nel giro di pochi anni a contrapporsi energicamente ai vecchi metodi di tradizione scolastica.

 

Nel 1589 Galileo partì da Firenze e vi sarebbe rientrato definitivamente solo dopo molti anni dedicati all'insegnamento universitario, prima allo Studio di Pisa, poi a quello di Padova.

 

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Scheda a cura di Sara Bonechi

Data aggiornamento 16/gen/2008