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Ritratto di Messer Grazia, dettaglio del Tabernacolo della Madonna della Tosse, Castelfiorentino.
Grazia nasce a Castelnuovo di Valdelsa da Francesco di Cristoforo Spinelli, detto comunemente "Checco il mugnaio", in quanto aveva in affitto il mulino della comunità castelnovina, posto ai piedi del castello, sulla riva sinistra dell’Elsa, in luogo chiamato «Camagiore», ove attualmente è rimasto il toponimo "Il Mulinaccio". La famiglia non era originaria di Castelnuovo. Probabilmente il padre Francesco, con i fratelli Spinello, il maggiore, e Simone, il minore, si trasferì in Castelnuovo da una località limitrofa, nei primi anni del Quattrocento, spinto dalle agevolazioni fiscali che notoriamente Firenze attuava inizialmente nei territori di nuova conquista (come per il territorio di San Miniato, annesso nel 1370), per accattivarsi la simpatia delle nuove popolazioni sottomesse. Nel 1414 risultava tassato in Castelnuovo, mentre nel 1427, quarantenne, aveva una famiglia composta da una moglie, Iacopa, di 28 anni e dai figli Bartolomeo di un anno, Verdiana di 3, che moriranno prematuramente, e Grazia di 11 anni. Nel 1436 dichiarava: «sto nel molino di Chastello nuovo a macinare et toccha a mia parte delle cinque staia l’ uno. Et o’ una infermità per chagione della farina che mi va negli occhi quasi sono per acciecare». Nel frattempo erano nati anche i figli Leone di 3 anni e mezzo (morto anche lui in tenera età) e Elisabetta di 2 anni e mezzo, mentre «Gratia suo figliuolo non sa a metere per testa ne boca, d’anni 21 et a ordine sacro et sta a Sancto Romeo in Firenze».
Dalle scarne notizie che offrono le documentazioni fiscali, comprese le loro note approssimazioni relative all’età delle persone, si può ragionevolmente dedurre che Grazia sia nato a Castelnuovo tra gli anni 1415-1416 e avviato al sacerdozio nella parrocchia di San Romeo a Firenze. Probabilmente, il suo precettore spirituale fu prete Stefano di Michele Calzoni. Costui era nativo di Firenze, ma di agiata famiglia originaria di Castelfiorentino. Guidò la rettoria della canonica di Santa Maria di Castelnuovo dal 1415 al 1428, dove ebbe modo di conoscere il giovane Grazia ed avvicinarlo alle sue prime funzioni ecclesiastiche come "chierichetto". Nel 1428 fu nominato rettore della parrocchia di San Romeo a Firenze, che diresse almeno fino al 1449. Fu naturale pertanto che, quando il giovane Grazia decise di intraprendere la via del sacerdozio, trovasse in Firenze la sede più opportuna per i suoi studi teologici ed in prete Stefano il suo riferimento più consono. Questa sua formazione in ambito fiorentino farà sì che, nonostante la sua attività spirituale e temporale si sia svolta prevalentemente nel territorio di Castelnuovo, appartenente alla diocesi di Volterra, il suo carattere, i suoi atteggiamenti e le sue conoscenze furono strettamente legati all’ambiente ed al tempo del rinascimento fiorentino, che egli potette percepire fin dagli albori e viverlo interamente, durante la sua esistenza particolarmente lunga, che lo vide ancora vivo nel 1497 alla veneranda età, per l’epoca, di 82 anni. Forse morì in quell’anno stesso, ma comunque risulta sicuramente deceduto nel 1502.
Presi i voti sacerdotali, l’11 giugno 1437 era già attivo come "viceparroco" nella pieve di Coiano. Tra gli anni 1437-1451 divenne rettore delle chiese di San Bartolomeo a Santo Stefano, di Santa Croce di Retacchio (nel piviere di Coiano) e di San Prospero di Cambiano (nel piviere di Sant’Ippolito di Castelfiorentino), oltre che titolare delle cappellanie di San Giovanni Evangelista e di San Domenico, poste nella canonica di Santa Maria di Castelnuovo.
Il passo decisivo avvenne il 26 febbraio 1451 (stile comune) quando, per la morte di prete Pietro d’Antonio del Volpe di Castelfiorentino, gli venne assegnata la prioria della chiesa di Santa Maria di Castelnuovo: di fatto resterà idealmente il priore di Castelnuovo fino alla sua morte, anche se nel 1487 "resignò" il beneficio a Simone, figlio di suo cugino Taviano di Simone, riservandosi una pensione annua di sedici ducati di Camera d’oro e restando, non a caso, economo della chiesa.
Il 21 gennaio 1458 (stile comune), il vescovo di Volterra approvava e confermava i capitoli e le concessioni concernenti le riformazioni redatte il 14 ottobre 1456 e riguardanti l’oratorio di San Lorenzo, costruito dai frati francescani di Castelfiorentino sulla "piazza all’olmo" di Castelnuovo, ma che in seguito era stato trasformato in ospedale, molto probabilmente ad opera dello stesso Grazia, che ne veniva investito come spedalingo con il laico Biagio di Iacopo di Niccolò da Castelnuovo.
Costoro, con una consistente donazione eseguita il 17 settembre 1465, dotarono l’ospedale di beni terrieri ed immobiliari, nominando come patroni il comune di Castelnuovo, il cugino di Grazia, Taviano di Simone (e i suoi discendenti maschi o, in caso di estinzione, i nipoti Tonio, Giovanni e Paolo, figli di Elisabetta e di Simone di Paolo di Tedaldo) e l’ospedale di Santa Maria Nuova di Firenze. Si trattò di interessi di patronato che divennero alla fine facile motivo di litigi, ove seppero inserirsi abilmente, per aumentare il loro potere economico sul territorio, le famiglie fiorentine dei Pucci e dei Salviati. Non a caso, nel 1496 papa Alessandro IV concedeva l’amministrazione dell’ospedale alla Congregazione dei preti della Valdelsa (dedicata alla Vergine Maria ed allo Spirito Santo), di cui proprio Grazia era stato fondatore insieme ad altri sei preti, nel 1486, nella canonica di Santa Maria.
Fu, pertanto, una personalità indiscussa, quella di prete Grazia e le sue conoscenze culturali, frutto degli studi fiorentini, legate a "quel pizzico di abilità da prete" nelle gestioni patrimoniali, dovettero emergere in un ambiente sostanzialmente rurale, quale appare all’epoca il comune di Castelnuovo, sempre più terra di conquista, a partire dalla seconda metà del secolo XV, prima dei Salviati, poi definitivamente dei Pucci.
Le opere d’arte rimaste sul territorio ne dimostrano il mecenatismo e ne ricordano la figura. E’ rappresentato nella tavola d’altare dell’ospedale dei Santi Lorenzo e Barbara. Più reale e matura appare la sua immagine nell’affresco del tabernacolo della Madonna della T osse, commissionato a Benozzo Gozzoli nel 1484, «in su la strada nella via del melo», ove si fa raffigurare seguito da due giovani, probabili familiari, tra cui, il primo, riteniamo si tratti di Simone di Taviano, futuro prete. Il personaggio inginocchiato sulla sinistra dell’Assunzione di Maria potrebbe esser individuato in Giuliano di Francesco Salviati, che in Meleto aveva la sua residenza di campagna e conosceva prete Grazia: ciò dilaterebbe lo scenario sulla realizzazione di questo tabernacolo. Infine la committenza di Grazia del tabernacolo di Santa Maria della Marca di Castelfiorentino, resta la più enigmatica, anche in rapporto all’attiguo monastero delle clarisse. In esso, appunto, il 2 febbraio 1491 (stile comune), alla presenza di «magistro Benoçço Alesi pictore de Florentia», prete Grazia vendeva a Berto da Castelluccio una sua casa posta nel Borgo Nuovo di Castelfiorentino per il prezzo di tre fiorini, e, contemporaneamente, vendeva per venticinque fiorini, un pezzo di terreno che gli era stato donato dal notaio Pietro di Barnaba, a suor Brigida di ser Giuliano di Francesco Bardini da Firenze, badessa del monastero, con la possibilità, da parte delle monache stesse, di poterlo alienare. Furono certamente operazioni che contribuirono al finanziamento del tabernacolo, i cui beni, con la morte di prete Grazia, divennero presto motivo di contenzioso tra le monache e la famiglia Pucci.
Silvano Mori