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Graffiti e da vandalismi sugli affreschi del tabernacolo della Madonna della Tosse, Castelfiorentino.
Iscrizione sulla veste di un angelo nella parete di fondo del tabernacolo della Madonna della Tosse.
Depositi salini all'interno delle stesure del colore e dell'intonaco del tabernacolo della Madonna della Tosse.
Pulitura finale degli affreschi con l'applicazione di carta giapponese, imbevuta di una soluzione acquosa di bicarbonato di ammonio.
Pulitura finale degli affreschi con batuffoli di cotone, imbevuti in acqua demineralizzata
Il tabernacolo della Madonna della Tosse venne ideato nel 1484 da Benozzo Gozzoli ai piedi del castello di Castelnuovo, in prossimità dell'incrocio tra la strada di piano e la via che gli antichi abitanti del castello dovevano fare per recarsi al vicino mulino, posto sulla riva sinistra dell'Elsa. L'architettura del tabernacolo venne realizzata a forma di cappella, chiusa su tre lati, con volta a crociera e copertura a capanna, fino ad un'altezza di m. 4,50. Le dimensioni planimetriche presentano una profondità di m. 3,50, una larghezza della parete dell'altare di m. 3,35, mentre la larghezza dell'ingresso è di m. 3,85. Questo ampliamento della dimensione dell'ingresso rispetto alla parete di fondo, attraverso la realizzazione a ventaglio delle pareti laterali, doveva servire a creare un effetto prospettico e scenografico per coloro che dal castello scendevano a valle.
Già in epoca antica, per salvare le pitture da graffiti e da vandalismi era stato costruito un muro di tamponamento dell'ingresso, munito di una porta e due finestre ai lati. Il tamponamento, addossandosi alle due lesene laterali e all'archivolto, dovette rovinare parte delle decorazioni e delle iscrizioni presenti.
Nel 1853 venne rimosso il tamponamento suddetto e dall'Ingegnere Giov. Battista Petrioli fu costruito il paramento murario a 'faccia vista' in stile neo-gotico, così come è visibile tutt'oggi. Tale struttura muraria venne impostata leggermente in avanti rispetto all'archivolto d'ingresso originario, permettendo così di riscoprire interamente le decorazioni rimaste.
Nello stesso anno, come annota G. Tosi, venne rimosso l'altare che probabilmente non era originario, poiché dai frammenti di pittura rimasti è possibile ritenere che Benozzo Gozzoli nella parete di fondo abbia dipinto un altare a trompe l'oeil, corredato nella parte superiore della tavola raffigurante la Madonna che allatta il Bambino e Santi, completa di tutta la carpenteria.
La rimozione dell'altare mise in evidenza la firma del pittore "MA...F...M.. Beno florentinus depi.." trascritta da G. Carocci nel 1894. Un'attenta lettura attuale permette la seguente: "MAIA E.. M.. BENOZ. FIORENT..O.DIPIS..."
Gli affreschi sono stati strappati nel 1970 dallo studio Tintori, Rosi, Del Serra, applicando due tele con colla di bue a caldo. Il nuovo supporto della pellicola pittorica fu realizzato con due tele di calicot, mediante un adesivo a base acrilica e carbonato di calcio, rimuovendo, successivamente, con acqua calda vaporizzata, le tele servite allo strappo della pittura. I dipinti vennero applicati su sopporti in fibra di vetro e resina epossidica autoestinguente dello spessore di cm 0,4.
Sono da segnalare i numerosi vandalismi (quali iscrizioni, abrasioni, etc.) apportati agli affreschi da passanti e visitatori, eseguiti anche in epoca antica ed oggi fonte di 'curiosità storica'. Segnaliamo, fra le tante, la seguente incisione sulla veste di un angelo nella parete di fondo: "Die 2 junii 1542 fu fatto cardinali Ruberto Pucci et die XVI [sic!] januarii 1546 obiit".
Oggi l'intera cappella è stata ricollocata nel nuovo museo, ricostruendo la sua architettura nel rispetto delle dimensioni originarie e con la ricostruzione dei peducci con calchi. E' stata inoltre portata nel museo la targa in marmo originariamente posta sulla facciata della cappella e recante la data ed il nome del committente, sostituendola in loco con una copia.
Si è quindi provveduto ad eseguire una campagna di analisi e al successivo restauro degli affreschi.
Le pitture risultavano ricoperte da una sottile patina bianca e in alcune zone vi erano sollevamenti della pellicola pittorica. Le analisi chimiche eseguite per la determinazione dei sali solubili hanno evidenziato un contenuto di solfati non trascurabile, attribuibile non soltanto al deposito superficiale, ma probabilmente anche a infiltrazioni di depositi salini all'interno delle stesure del colore e dell'intonaco. I cloruri e nitrati sono risultati presenti in tracce e quindi ininfluenti sullo stato di conservazione dell'opera.
Tutte le dorature sono andate perdute nel tempo quasi completamente, così come le parti dipinte a secco, tanto da lasciare in vista i disegni preparatori.
Le operazioni di restauro sono procedute per fasi.
La prima fase è consistita nella rimozione del particellato solido e dei depositi di polvere ed è stata effettuata con pennelli di setola morbidi, eseguendo successivamente una blanda pulitura con spugne wischab.
I piccoli sollevamenti di colore sono stati consolidati con microiniezioni di resina acrilica (Acril 33/a) in soluzione acquosa, mentre per il consolidamento di alcuni distacchi dal supporto la soluzione acquosa è stata caricata con calcio carbonato micronizzato.
Visto che i materiali originali ed in particolare la pittura murale strappata aveva comportamenti non sempre omogenei, è stato preferibile procedere con gradualità, così da verificare i vari livelli di pulitura raggiunti.
La pulitura finale è stata eseguita con l'applicazione di carta giapponese, imbevuta di una soluzione acquosa di bicarbonato di ammonio al 3% e per tempi di contatto di 4 minuti; successivamente, terminato il tempo di contatto, la superficie pittorica è stata pulita con batuffoli di cotone, imbevuti in acqua demineralizzata.
La stuccatura delle viti e delle sezioni dei pannelli è stata eseguita con una malta a base acrilica, caricata con inerti (sabbia, pomice, tufo e carbonato di calcio) di varie granulometrie e pigmentazioni.
Infine le pitture sono state trattate con un biocida (Biotin N diluito al 1,5% in acqua) ad ampio spettro di attività, per una futura protezione da attacchi biologici.
L'ultima fase è consistita nella reintegrazione pittorica delle immagini, impiegando colori ad acquerello e, per ottenere una restituzione critica del testo pittorico, si è usata la metodologia della selezione cromatica nelle "lacune-mancanza" con "abbassamento di tono" in tutte le abrasioni vandalismi o perdite della pellicola pittorica.
Fabrizio Iacopini