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La sfida della longitudine

Al tempo di Galileo, le continue perdite di navi e intere flotte erano le drammatiche conseguenze della difficoltà di determinare la longitudine in mare aperto. Per stabilire questa coordinata occorre accertare la differenza tra l’ora del luogo nel quale ci si trova e quella di un altro luogo preso come riferimento. La soluzione può essere offerta da cronometri precisi o stabilendo il tempo di fenomeni celesti prevedibili (come le eclissi). Appena scoperti i satelliti attorno a Giove, Galileo pensò di utilizzare i loro periodi regolari come orologio celeste di estrema precisione, che avrebbe consentito di stabilire la longitudine confrontando il tempo di occultazione dei pianeti dietro il corpo di Giove, fornito dalle tavole, con l’ora locale. Si impegnò nella compilazione di tavole affidabili e mise a punto un formidabile computer analogico, il giovilabio, per renderne più agevole l’utilizzo. Convinto di poter ottenere risultati positivi, avviò trattative con la monarchia spagnola e con gli Stati Generali d’Olanda, ai quali sperava di cedere il proprio ritrovato.

Il metodo galileiano presupponeva la disponibilità di un misuratore preciso del tempo. Galileo concepì l’idea di utilizzare le oscillazioni isocrone del pendolo per misurare piccoli intervalli di tempo. Christian Huygens (1629-1695) dimostrò che il pendolo veramente isocrono era quello cicloidale. Egli costruì (1673) un orologio con pendolo cicloidale che non dette però i risultati sperati. La soluzione definitiva al dramma della longitudine fu offerta dal cronometro marino messo a punto da un costruttore inglese di orologi, John Harrison (1693-1776), che intascò nel 1772 l’ingente premio messo a disposizione dalla monarchia inglese.