Illustrazione della peste bubbonica (1411).
Il livello di conoscenza dei medici e degli eruditi del XIV secolo circa la causa, gli effetti e la terapia della peste era ancora basato sulle conoscenze del mondo antico. Ippocrate, Galeno e altri autori della tarda antichità avevano analizzato le cause e l’evoluzione delle malattie seguendo la teoria umorale. Secondo quest’ultima i disturbi della salute non erano altro che la cattiva mescolanza dei quattro umori: sangue, flemma, bile gialla e bile nera. Se una prevalenza della bile nera, fredda e secca, predisponeva alla melanconia, un'eccedenza di sangue, umore caldo e umido, stava ad indicare il pericolo di putrefazione degli organi interni, che nella convinzione dei medici del Medioevo rappresentava il vero processo di contagio della peste. Si pensava che questa putrefazione entrasse nell'organismo attraverso l'aria o il cibo.
Durante le memorabili epidemie di peste che dal 1348 invasero anche la penisola italiana, venivano in particolar modo invocati due santi: Sebastiano e Rocco.
Il primo era un ufficiale della guardia pretoria di Diocleziano che, convertitosi segretamente al Cristianesimo, si era tradito per essere intervenuto in difesa di due cristiani perseguitati. Fu quindi condannato a morte mediante il supplizio delle frecce e sopravvisse miracolosamente ai colpi infertigli dagli armigeri. Curato da una vedova di nome Irene, si ripresentò all’Imperatore facendo professione di fede, ma fu ucciso a bastonate.
Nella tradizione cristiana le ferite causate a Sebastiano dalle frecce erano paragonate ai segni (bubboni) della peste; il popolo quindi si rivolgeva al Santo nella speranza di salvarsi dall’epidemia così come egli si era salvato dai dardi. Esisteva inoltre un ulteriore legame tra queste armi e la peste: la collera divina era paragonata alle frecce scagliate da un arco e, già nel Medioevo, il diffondersi del morbo era visto come lo scatenarsi dell’ira di Dio.
L’altra figura implorata era Rocco, nato in Francia da una famiglia agiata della grande borghesia mercantile alla fine del XIII secolo. Secondo la tradizione, alla morte dei genitori donò ai poveri tutte le sue ricchezze e, nel 1348, si trasferì in Italia dove era infuriata la grande pestilenza. Durante le cure prestate ai pellegrini Rocco contrasse egli stesso il morbo. Tormentato da un dolorosissimo bubbone all’inguine, si ritrovò cacciato dagli altri ammalati, stanchi dei suoi lamenti, e si riparò in una grotta ad aspettare la morte. Fu un cane che lo salvò. La bestiola, accortasi della sua presenza e della sua sofferenza, gli portò ogni giorno un pezzo di pane, fin quando il suo padrone scoprì il rifugio del Santo e decise di curarlo.
San Rocco, una volta sanato, iniziò il suo viaggio per tornare in Francia - proseguendo la sua attività a favore degli appestati per la quale ancora oggi è ricordato -, ma fu coinvolto nelle complicate vicende politiche del tempo. Rinchiuso in prigione, solo dopo cinque anni fu riconosciuta la sua potenza miracolosa e quando la cella venne riaperta Rocco era già morto.
Serena Nocentini