Tabernacolo dei Giustiziati, dettaglio con la Deposizione, Certaldo.
Tabernacolo dei Giustiziati, arcata con l'Annunciazione, Certaldo.
Negli anni tra il 1464 e il 1465 Benozzo soggiornò a Certaldo, piccola cittadina situata al centro della Val d’Elsa, che dal 1415 era divenuta sede di uno dei tre Vicariati in cui si suddivideva amministrativamente la Repubblica fiorentina e la cui giurisdizione si estendeva dalla Val d’Elsa alla Val di Pesa fino a tratti del Valdarno. Dai resoconti vicariali abbiamo notizia che a Certaldo si tenevano tutti i processi penali dell'epoca e venivano giudicati coloro che risiedevano nel territorio del Vicariato. Per tale ragione il Vicario di Certaldo commissionò all’artista un maestoso tabernacolo che a quel tempo era collocato vicino al ponte sul torrente Agliena, fuori dalle mura della città, dove per tradizione era eseguita la pena capitale, praticata a Certaldo attraverso la decollazione. I condannati venivano accompagnati in questa cappella per essere confortati dai confratelli della “Compagnia della Giustizia”, un’istituzione laica che si prendeva cura delle loro ultime ore di vita, esortandoli alla preghiera e al pentimento. Per questa tradizione il tabernacolo fu chiamato “dei giustiziati”. Proprio in questo contesto fu scelto il soggetto iconografico degli affreschi, la passione di Cristo e il martirio di alcuni santi, storie tratte dai Sacri Testi che dovevano aiutare i condannati a meglio sopportare il supplizio a cui andavano incontro; così la deposizione di Cristo dalla croce che occupava la parete principale simboleggiava il momento culminante della storia della salvezza e la possibile redenzione per quanti ammettevano i propri peccati. Sull’arcata esterna è raffigurata l’Annunciazione della Vergine, mentre la parete interna rappresenta la Deposizione, con Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo che, eretti su due scale, tolgono Gesù ormai morto dalla croce; il suo volto non presenta alcun segno delle sofferenze patite, un particolare questo che poteva rinfrancare i condannati a morte, e solo la ferita sul costato dalla quale fuoriesce il sangue simboleggia la sua passione. Alla scena partecipano alcuni apostoli e la Madonna accompagnata da Maria Maddalena. Il sottarco della facciata principale è decorato con Dio Padre circondato a destra dagli Evangelisti Matteo e Marco e a sinistra Luca e Giovanni. Le pareti dell’estradosso sono decorate con le figure dei santi Longino, Battista, Iacopo e Antonio. Sulle pareti esterne sono dipinti la Crocifissione e il Martirio di San Sebastiano; la facciata posteriore era invece dedicata al tema della Resurrezione, la scena che per prima appariva ai condannati accompagnati dalla Sala delle Udienze del Palazzo Vicariale al “pratello della Giustizia”, il piccolo spazio erboso sul ciglio del torrente.
La critica è ormai concorde nell’attribuire a Benozzo l’impianto compositivo, i disegni, la direzione dei lavori e l’esecuzione di alcune parti, mentre un ruolo importante è assegnato alla bottega ed in particolare a Giusto di Andrea il quale ricorda, nel suo Diario, che questo fu l’ultimo lavoro da lui eseguito a fianco del maestro prima di trasferirsi a Firenze, dove nel marzo del 1465 prese in affitto una bottega di pittura. Questa testimonianza ha permesso di datare l’opera ai primi mesi di quell’anno. A convalidare questa ipotesi si può ricordare una lettera inviata da Benozzo a Lorenzo de’ Medici il 4 luglio 1467, per ringraziarlo della sua intercessione nei confronti di un altro collaboratore (Giovanni della Cecca di Mugello accusato dagli Agostiniani di San Gimignano del furto di alcune lenzuola): nella missiva, infatti, si fa esplicito riferimento al cantiere certaldese come ad un lavoro concluso da tempo. La lettera permette di confermare anche il proficuo rapporto e il profondo legame tra Benozzo e la famiglia Medici.
Anche in questo tabernacolo sono andate perdute alcune parti affrescate a causa dei danni provocati dall’umidità e per tale motivo nel 1957 le pitture furono staccate e collocate nell’ex chiesa dei Santi Tommaso e Prospero, annessa al Palazzo Vicariale.
Serena Nocentini